XXXIII domenica

Tempo ordinario, Anno B

Letture: Daniele 12,1-3; Salmo 15; Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32

E chi direbbe mai che sotto la scorza del ramo si nasconde un piccolo e fragile germoglio? E chi direbbe mai che dalle asperità di una vita può nascere altra vita? E chi oserebbe chiamare “tenero” un ramo nodoso, così duro che graffia le mani, per invitare a guardare meglio, a guardare bene, ad avere uno sguardo più profondo? Certo che a Lui non sfugge niente: quanto gli piacciono i dettagli a questo Dio. Le cose piccole e per noi insignificanti, come gli spiccioli della vedova della scorsa settimana, per Lui diventano eventi enormi, si trasformano in pietre da cui riparte il futuro, segnali che profumano di una speranza viva, concreta, già presente.

Oggi Gesù sposta i nostri occhi, come al solito ci consiglia di cambiare la direzione dei nostri sguardi e di prestare attenzione non al fragore della tempesta, ma alla silenziosa, umile e prepotente presenza della vita. E questo brano di Vangelo sembra quasi uno scherzo di Dio: si passa dalla paura alla speranza, dallo spavento alle lacrime di commozione. Un’altalena di emozioni, una montagna russa di brividi. “L’estate è vicina” quando senti solo un piccolo gonfiore della gemma, quando intorno è ancora tutto e solo buio e freddo, quando il cielo sembra crollarti addosso.

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Don Luigi Verdi

 

La fine del mondo è una storia senza fine. Nel corso dei secoli, i popoli hanno sempre temuto i cataclismi, vedendovi ora il capriccio degli dei, ora la collera divina — come nel Diluvio — o ancora un crudele caso della natura. Nel xxi secolo, questa paura addita un altro colpevole: l’Uomo stesso. Ritenendosi padrone della Terra, l’ha sfruttata oltremisura, scavata, esaurita, distruggendo fauna e flora, generando mille forme di inquinamento e causando un riscaldamento climatico che ormai minaccia ogni forma di vita.

Marco si riferisce forse a questo quando riporta le parole di Gesù? «Dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte» (Marco, 13, 24-25). È un mettere in guardia contro l’arroganza umana che, pretendendo di controllare le stelle, il sole e la luna, innesca una catastrofe ecologica? Ricollocato nel suo contesto storico, questo discorso assume un significato diverso. Denunciando la credenza che gli astri, divinizzati dai popoli vicini, governino il destino degli uomini, annuncia l’estinzione delle idolatrie.

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Éric-Emmanuel Schmitt