Letture: Daniele 7,13-14; Salmo 92; Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33-37
Ma come? Non avevi detto che il tuo regno era vicino, piccolo quanto un granellino di senape però già qua sulla terra, che poi sarebbe diventato un albero alto e maestoso dove avrebbero risuonato i cinguettii degli uccelli? Non ci avevi detto che era nascosto in tre libbre di farina e che quei pochi grammi di lievito avrebbero gonfiato tutta la pasta, fermentandola e trasformandola in pane caldo e croccante? E non ci avevi insegnato a chiederlo quel regno nella preghiera al Padre, non avevi mandato i tuoi discepoli a due a due a proclamare che non bisognava più aspettarlo, che ormai era finita l’attesa e si doveva guardare non più in alto, ma intorno a noi per scorgerlo?
Ci sono mondi e mondi: c’è il mondo del potere politico e religioso, dove chi governa ed è re schiaccia la massa, imponendo le sue verità; si fa dio sulla terra perché, per un re, Dio è colui che sottomette e spadroneggia, che usa la violenza dei suoi eserciti per vincere. «Se il mio regno fosse di questo mondo i miei servitori avrebbero combattuto». Ma c’è anche un mondo, quello che porta Gesù, dove re è colui che si inginocchia davanti ai piedi sporchi dei suoi amici, un re che dà il pane invece di impossessarsene, che dà la vita invece di ordinare di toglierla, che libera dalla legge invece di comandarla.
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Don Luigi Verdi
In quest’ultima domenica dell’Anno liturgico celebriamo la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, una festa di istituzione relativamente recente, che però ha profonde radici bibliche e teologiche. Il titolo di re, riferito a Gesù, è molto importante nei Vangeli e permette di dare una lettura completa della sua figura e della sua missione di salvezza. L’odierno brano evangelico ci parla di un regno, il regno di Cristo, raccontando la situazione umiliante in cui si è trovato Gesù dopo essere stato arrestato nel Getsemani: legato, insultato, accusato e condotto dinanzi alle autorità di Gerusalemme. E poi, viene presentato al procuratore romano, come uno che attenta al potere politico, a diventare il re dei giudei. Pilato allora fa la sua inchiesta e in un interrogatorio drammatico gli chiede per ben due volte «se Egli sia un re».
E Gesù dapprima risponde che il suo regno «non è di questo mondo». Poi afferma: «Tu lo dici: io sono re». È evidente da tutta la sua vita che Gesù non ha ambizioni politiche. Ricordiamo che dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasta del miracolo, avrebbe voluto proclamarlo re, per rovesciare il potere romano e ristabilire il regno d’Israele. Ma per Gesù il regno è un’altra cosa, e non si realizza certo con la rivolta, la violenza e la forza delle armi. Perciò si era ritirato da solo sul monte a pregare (cf Gv 6,5-15). Adesso, rispondendo a Pilato, gli fa notare che i suoi discepoli non hanno combattuto per difenderlo. Dice: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei».
La storia ci insegna che i regni fondati sul potere delle armi e sulla prevaricazione sono fragili e prima o poi crollano. Ma il regno di Dio è fondato sul suo amore e si radica nei cuori, conferendo a chi lo accoglie pace, libertà e pienezza di vita. «Dio è amore» (cf 1Gv 4,8) e vuole stabilire nel mondo il suo regno di amore, di giustizia e di pace. E questo è il regno di cui Gesù è il re, e che si estende fino alla fine dei tempi. Gesù oggi ci chiede di lasciare che Lui diventi il nostro re. Un re che con la sua parola, il suo esempio e la sua vita immolata sulla croce ci ha salvato dalla morte, e indica – questo re – la strada all’uomo smarrito, dà luce nuova alla nostra esistenza segnata dal dubbio, dalla paura e dalle prove di ogni giorno. Ma non dobbiamo dimenticare che il regno di Gesù non è di questo mondo. Egli potrà dare un senso nuovo alla nostra vita, a volte messa a dura prova anche dai nostri sbagli e dai nostri peccati, soltanto a condizione che noi non seguiamo le logiche del mondo e dei suoi re.
Ebbene, al centro di questo percorso di rivelazione della regalità di Gesù Cristo sta ancora una volta il mistero della sua morte e risurrezione. Quando Gesù viene messo in croce, i capi dei giudei lo deridono dicendo: «È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui» (cf Mt 27,42). In realtà, proprio in quanto è il Figlio di Dio, Gesù si è consegnato liberamente alla sua passione, e la croce è il segno paradossale della sua regalità, che consiste nella vittoria della volontà d’amore di Dio Padre sulla disobbedienza del peccato. È proprio offrendo se stesso nel sacrificio di espiazione che Gesù diventa il Re universale, come dichiarerà Egli stesso apparendo agli apostoli dopo la risurrezione: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» (cf Mt 28,18).
Ma in che cosa consiste il potere regale di Gesù? Non è quello dei re e dei grandi di questo mondo; è il potere divino di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. È il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. Questo Regno della Grazia non si impone mai, e rispetta sempre la nostra libertà. Cristo è venuto a «rendere testimonianza alla verità» – come dichiarò di fronte a Pilato -: chi accoglie la sua testimonianza, si pone sotto la sua «bandiera», secondo l’immagine cara a sant’Ignazio di Loyola. Ad ogni coscienza, dunque, si rende necessaria – questo sì – una scelta: chi voglio seguire? Dio o il maligno? La verità o la menzogna? Scegliere Cristo non garantisce il successo secondo i criteri del mondo, ma assicura quella pace e quella gioia che solo Lui può dare. Lo dimostra, in ogni epoca, l’esperienza di tanti uomini e donne che, in nome di Cristo, in nome della verità e della giustizia, hanno saputo opporsi alle lusinghe dei poteri terreni con le loro diverse maschere, sino a sigillare con il martirio questa loro fedeltà.
Quando l’angelo Gabriele portò l’annuncio a Maria, Le preannunciò che il suo Figlio avrebbe ereditato il trono di Davide e regnato per sempre (cf Lc 1,32-33). E la Vergine Santa credette ancor prima di donarLo al mondo. Dovette, poi, senz’altro domandarsi quale nuovo genere di regalità fosse quella di Gesù, e lo comprese ascoltando le sue parole e soprattutto partecipando intimamente al mistero della sua morte di croce e della sua risurrezione. Chiediamo a Maria di aiutare anche noi a seguire Gesù, nostro Re, come ha fatto Lei, e a renderGli testimonianza con tutta la nostra esistenza. Ci aiuti Lei ad accogliere Gesù come Re della nostra vita e a diffondere il suo regno, dando testimonianza alla verità che è l’amore.
Don Lucio D’Abbraccio
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
Tempo ordinario, Anno B
Letture: Daniele 7,13-14; Salmo 92; Apocalisse 1,5-8; Giovanni 18,33-37
Ma come? Non avevi detto che il tuo regno era vicino, piccolo quanto un granellino di senape però già qua sulla terra, che poi sarebbe diventato un albero alto e maestoso dove avrebbero risuonato i cinguettii degli uccelli? Non ci avevi detto che era nascosto in tre libbre di farina e che quei pochi grammi di lievito avrebbero gonfiato tutta la pasta, fermentandola e trasformandola in pane caldo e croccante? E non ci avevi insegnato a chiederlo quel regno nella preghiera al Padre, non avevi mandato i tuoi discepoli a due a due a proclamare che non bisognava più aspettarlo, che ormai era finita l’attesa e si doveva guardare non più in alto, ma intorno a noi per scorgerlo?
Ci sono mondi e mondi: c’è il mondo del potere politico e religioso, dove chi governa ed è re schiaccia la massa, imponendo le sue verità; si fa dio sulla terra perché, per un re, Dio è colui che sottomette e spadroneggia, che usa la violenza dei suoi eserciti per vincere. «Se il mio regno fosse di questo mondo i miei servitori avrebbero combattuto». Ma c’è anche un mondo, quello che porta Gesù, dove re è colui che si inginocchia davanti ai piedi sporchi dei suoi amici, un re che dà il pane invece di impossessarsene, che dà la vita invece di ordinare di toglierla, che libera dalla legge invece di comandarla.
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Don Luigi Verdi
In quest’ultima domenica dell’Anno liturgico celebriamo la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, una festa di istituzione relativamente recente, che però ha profonde radici bibliche e teologiche. Il titolo di re, riferito a Gesù, è molto importante nei Vangeli e permette di dare una lettura completa della sua figura e della sua missione di salvezza. L’odierno brano evangelico ci parla di un regno, il regno di Cristo, raccontando la situazione umiliante in cui si è trovato Gesù dopo essere stato arrestato nel Getsemani: legato, insultato, accusato e condotto dinanzi alle autorità di Gerusalemme. E poi, viene presentato al procuratore romano, come uno che attenta al potere politico, a diventare il re dei giudei. Pilato allora fa la sua inchiesta e in un interrogatorio drammatico gli chiede per ben due volte «se Egli sia un re».
E Gesù dapprima risponde che il suo regno «non è di questo mondo». Poi afferma: «Tu lo dici: io sono re». È evidente da tutta la sua vita che Gesù non ha ambizioni politiche. Ricordiamo che dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasta del miracolo, avrebbe voluto proclamarlo re, per rovesciare il potere romano e ristabilire il regno d’Israele. Ma per Gesù il regno è un’altra cosa, e non si realizza certo con la rivolta, la violenza e la forza delle armi. Perciò si era ritirato da solo sul monte a pregare (cf Gv 6,5-15). Adesso, rispondendo a Pilato, gli fa notare che i suoi discepoli non hanno combattuto per difenderlo. Dice: «Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei».
La storia ci insegna che i regni fondati sul potere delle armi e sulla prevaricazione sono fragili e prima o poi crollano. Ma il regno di Dio è fondato sul suo amore e si radica nei cuori, conferendo a chi lo accoglie pace, libertà e pienezza di vita. «Dio è amore» (cf 1Gv 4,8) e vuole stabilire nel mondo il suo regno di amore, di giustizia e di pace. E questo è il regno di cui Gesù è il re, e che si estende fino alla fine dei tempi. Gesù oggi ci chiede di lasciare che Lui diventi il nostro re. Un re che con la sua parola, il suo esempio e la sua vita immolata sulla croce ci ha salvato dalla morte, e indica – questo re – la strada all’uomo smarrito, dà luce nuova alla nostra esistenza segnata dal dubbio, dalla paura e dalle prove di ogni giorno. Ma non dobbiamo dimenticare che il regno di Gesù non è di questo mondo. Egli potrà dare un senso nuovo alla nostra vita, a volte messa a dura prova anche dai nostri sbagli e dai nostri peccati, soltanto a condizione che noi non seguiamo le logiche del mondo e dei suoi re.
Ebbene, al centro di questo percorso di rivelazione della regalità di Gesù Cristo sta ancora una volta il mistero della sua morte e risurrezione. Quando Gesù viene messo in croce, i capi dei giudei lo deridono dicendo: «È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui» (cf Mt 27,42). In realtà, proprio in quanto è il Figlio di Dio, Gesù si è consegnato liberamente alla sua passione, e la croce è il segno paradossale della sua regalità, che consiste nella vittoria della volontà d’amore di Dio Padre sulla disobbedienza del peccato. È proprio offrendo se stesso nel sacrificio di espiazione che Gesù diventa il Re universale, come dichiarerà Egli stesso apparendo agli apostoli dopo la risurrezione: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra» (cf Mt 28,18).
Ma in che cosa consiste il potere regale di Gesù? Non è quello dei re e dei grandi di questo mondo; è il potere divino di dare la vita eterna, di liberare dal male, di sconfiggere il dominio della morte. È il potere dell’Amore, che sa ricavare il bene dal male, intenerire un cuore indurito, portare pace nel conflitto più aspro, accendere la speranza nel buio più fitto. Questo Regno della Grazia non si impone mai, e rispetta sempre la nostra libertà. Cristo è venuto a «rendere testimonianza alla verità» – come dichiarò di fronte a Pilato -: chi accoglie la sua testimonianza, si pone sotto la sua «bandiera», secondo l’immagine cara a sant’Ignazio di Loyola. Ad ogni coscienza, dunque, si rende necessaria – questo sì – una scelta: chi voglio seguire? Dio o il maligno? La verità o la menzogna? Scegliere Cristo non garantisce il successo secondo i criteri del mondo, ma assicura quella pace e quella gioia che solo Lui può dare. Lo dimostra, in ogni epoca, l’esperienza di tanti uomini e donne che, in nome di Cristo, in nome della verità e della giustizia, hanno saputo opporsi alle lusinghe dei poteri terreni con le loro diverse maschere, sino a sigillare con il martirio questa loro fedeltà.
Quando l’angelo Gabriele portò l’annuncio a Maria, Le preannunciò che il suo Figlio avrebbe ereditato il trono di Davide e regnato per sempre (cf Lc 1,32-33). E la Vergine Santa credette ancor prima di donarLo al mondo. Dovette, poi, senz’altro domandarsi quale nuovo genere di regalità fosse quella di Gesù, e lo comprese ascoltando le sue parole e soprattutto partecipando intimamente al mistero della sua morte di croce e della sua risurrezione. Chiediamo a Maria di aiutare anche noi a seguire Gesù, nostro Re, come ha fatto Lei, e a renderGli testimonianza con tutta la nostra esistenza. Ci aiuti Lei ad accogliere Gesù come Re della nostra vita e a diffondere il suo regno, dando testimonianza alla verità che è l’amore.
Don Lucio D’Abbraccio