In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo (…)
Ascensione è la navigazione del cuore, che ti conduce dalla chiusura in te all’amore che abbraccia l’universo (Benedetto XVI). A questa navigazione del cuore Gesù chiama gli undici, un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose e fedeli. Li spinge a pensare in grande, a guardare lontano, ad essere il racconto di Dio “a tutti i popoli”. Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Nel momento dell’addio Gesù allarga le braccia sui discepoli, li raccoglie e li stringe a sé, prima di inviarli.
Ascensione è un atto di enorme fiducia di Gesù in quegli uomini e in quelle donne che lo hanno seguito per tre anni, che non hanno capito molto, ma che lo hanno molto amato: affida alla loro fragilità il mondo e il vangelo e li benedice. È il suo gesto definitivo, l’ultima immagine che ci resta di Gesù, una benedizione senza parole che da Betania raggiunge ogni discepolo, a vegliare sul mondo, sospesa per sempre tra cielo e terra. Mentre li benediceva si staccò da loro e veniva portato su, in cielo.
Gesù non è andato lontano o in alto, in qualche angolo remoto del cosmo. È asceso nel profondo delle cose, nell’intimo del creato e delle creature, e da dentro preme come benedizione, forza ascensionale verso più luminosa vita. Non esiste nel mondo solo la forza di gravità verso il basso, ma anche una forza di gravità verso l’alto, che ci fa eretti, che fa verticali gli alberi, i fiori, la fiamma, che solleva l’acqua delle maree e la lava dei vulcani. Come una nostalgia di cielo. Con l’ascensione Gesù è asceso nel profondo delle creature, inizia una navigazione nel cuore dell’universo, il mondo ne è battezzato, cioè immerso in Dio. Se solo fossi capace di avvertire questo e di goderlo, scoprirei la sua presenza dovunque, camminerei sulla terra come dentro un unico tabernacolo, in un battesimo infinito.
Luca conclude, a sorpresa, il suo vangelo dicendo: i discepoli tornarono a Gerusalemme con grande gioia. Dovevano essere tristi piuttosto, finiva una presenza, se ne andava il loro amore, il loro amico, il loro maestro. Ma da quel momento si sentono dentro un amore che abbraccia l’universo, capaci di dare e ricevere amore, e ne sono felici (ho amato ogni cosa con l’addio (Marina Cvetaeva). Essi vedono in Gesù che l’uomo non finisce con il suo corpo, che la nostra vita è più forte delle sue ferite. Vedono che un altro mondo è possibile, che la realtà non è solo questo che si vede, ma si apre su di un “oltre”; che in ogni patire Dio ha immesso scintille di risurrezione, squarci di luce nel buio, crepe nei muri delle prigioni. Che resta con me “il mio Dio, esperto di evasioni.” (M. Marcolini).
Letture: Atti 1,1-11; Salmo 46; Ebrei 9,24-28;10.19-23; Luca 24,46-53
Ermes Ronchi
Avvenire
La festività dell’Ascensione per alcune persone può essere una commemorazione ingannevole. Certo, questo giorno ci ricorda l’esaltazione di Gesù. Ma non si deve mai intendere questa celebrazione come il superamento dell’«umano» per trascendere ad un piano superiore, che sarebbe il piano del «divino». Gesù risorto e glorificato continua ad essere la pienezza dell’umano e continua ad essere l’immagine del divino incarnato nell’umano.
Gesù continua ad essere umano e divino. Ma per noi uomini Gesù glorioso continua ad essere la manifestazione del Trascendente nell’immanente. Gesù non se n’è andato in cielo perché sollevassimo i nostri occhi dalla terra. Per questo solo sulla terra ed a partire dalla nostra condizione terrena che possiamo pensare a Dio e parlare di Dio. E questo è possibile perché Gesù, essendo glorificato, continua ad essere umano.
Questa festa non vuole dirci che in questo giorno si ricorda l’entrata di Gesù nella gloria del Padre. Questo è successo lo stesso venerdì Santo nel momento di morire. E neanche si deve interpretare questa festa come la «sostituzione» di Gesù con lo Spirito, come immagine e rivelazione di Dio in questo mondo. No, Gesù continua ad essere sempre e fino alla fine dei tempi immagine della presenza di Dio tra gli uomini. La missione dello Spirito è darci la forza di cui abbiamo bisogno perché questo ricordo di Gesù e la presenza di Dio siano sempre qualcosa di attuale e di presente nel mondo.
Questa festa ci dice che Gesù è il centro dei tempi. Le cose antiche oramai sono passate. Ci resta solo la forza dello Spirito, che ci ricorda e rende attuale questa centralità della presenza umanizzata di Dio in tutto ciò che di umano, bello, felice e piacevole possiamo trovare in questo mondo. In questo senso – e solo in questo senso – si può affermare ciò che non pochi teologi (seguendo H. Conzelmann) hanno affermato, cioè che Gesù è “il centro del tempo”. È il centro in quanto in lui si uniscono la pienezza dell’umano con la pienezza del divino.
p. José María Castillo
Il dialogo
Ascensione del Signore
Anno C
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo (…)
Ascensione è la navigazione del cuore, che ti conduce dalla chiusura in te all’amore che abbraccia l’universo (Benedetto XVI). A questa navigazione del cuore Gesù chiama gli undici, un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose e fedeli. Li spinge a pensare in grande, a guardare lontano, ad essere il racconto di Dio “a tutti i popoli”. Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Nel momento dell’addio Gesù allarga le braccia sui discepoli, li raccoglie e li stringe a sé, prima di inviarli.
Ascensione è un atto di enorme fiducia di Gesù in quegli uomini e in quelle donne che lo hanno seguito per tre anni, che non hanno capito molto, ma che lo hanno molto amato: affida alla loro fragilità il mondo e il vangelo e li benedice. È il suo gesto definitivo, l’ultima immagine che ci resta di Gesù, una benedizione senza parole che da Betania raggiunge ogni discepolo, a vegliare sul mondo, sospesa per sempre tra cielo e terra. Mentre li benediceva si staccò da loro e veniva portato su, in cielo.
Gesù non è andato lontano o in alto, in qualche angolo remoto del cosmo. È asceso nel profondo delle cose, nell’intimo del creato e delle creature, e da dentro preme come benedizione, forza ascensionale verso più luminosa vita. Non esiste nel mondo solo la forza di gravità verso il basso, ma anche una forza di gravità verso l’alto, che ci fa eretti, che fa verticali gli alberi, i fiori, la fiamma, che solleva l’acqua delle maree e la lava dei vulcani. Come una nostalgia di cielo. Con l’ascensione Gesù è asceso nel profondo delle creature, inizia una navigazione nel cuore dell’universo, il mondo ne è battezzato, cioè immerso in Dio. Se solo fossi capace di avvertire questo e di goderlo, scoprirei la sua presenza dovunque, camminerei sulla terra come dentro un unico tabernacolo, in un battesimo infinito.
Luca conclude, a sorpresa, il suo vangelo dicendo: i discepoli tornarono a Gerusalemme con grande gioia. Dovevano essere tristi piuttosto, finiva una presenza, se ne andava il loro amore, il loro amico, il loro maestro. Ma da quel momento si sentono dentro un amore che abbraccia l’universo, capaci di dare e ricevere amore, e ne sono felici (ho amato ogni cosa con l’addio (Marina Cvetaeva). Essi vedono in Gesù che l’uomo non finisce con il suo corpo, che la nostra vita è più forte delle sue ferite. Vedono che un altro mondo è possibile, che la realtà non è solo questo che si vede, ma si apre su di un “oltre”; che in ogni patire Dio ha immesso scintille di risurrezione, squarci di luce nel buio, crepe nei muri delle prigioni. Che resta con me “il mio Dio, esperto di evasioni.” (M. Marcolini).
Letture: Atti 1,1-11; Salmo 46; Ebrei 9,24-28;10.19-23; Luca 24,46-53
Ermes Ronchi
Avvenire
La festività dell’Ascensione per alcune persone può essere una commemorazione ingannevole. Certo, questo giorno ci ricorda l’esaltazione di Gesù. Ma non si deve mai intendere questa celebrazione come il superamento dell’«umano» per trascendere ad un piano superiore, che sarebbe il piano del «divino». Gesù risorto e glorificato continua ad essere la pienezza dell’umano e continua ad essere l’immagine del divino incarnato nell’umano.
Gesù continua ad essere umano e divino. Ma per noi uomini Gesù glorioso continua ad essere la manifestazione del Trascendente nell’immanente. Gesù non se n’è andato in cielo perché sollevassimo i nostri occhi dalla terra. Per questo solo sulla terra ed a partire dalla nostra condizione terrena che possiamo pensare a Dio e parlare di Dio. E questo è possibile perché Gesù, essendo glorificato, continua ad essere umano.
Questa festa non vuole dirci che in questo giorno si ricorda l’entrata di Gesù nella gloria del Padre. Questo è successo lo stesso venerdì Santo nel momento di morire. E neanche si deve interpretare questa festa come la «sostituzione» di Gesù con lo Spirito, come immagine e rivelazione di Dio in questo mondo. No, Gesù continua ad essere sempre e fino alla fine dei tempi immagine della presenza di Dio tra gli uomini. La missione dello Spirito è darci la forza di cui abbiamo bisogno perché questo ricordo di Gesù e la presenza di Dio siano sempre qualcosa di attuale e di presente nel mondo.
Questa festa ci dice che Gesù è il centro dei tempi. Le cose antiche oramai sono passate. Ci resta solo la forza dello Spirito, che ci ricorda e rende attuale questa centralità della presenza umanizzata di Dio in tutto ciò che di umano, bello, felice e piacevole possiamo trovare in questo mondo. In questo senso – e solo in questo senso – si può affermare ciò che non pochi teologi (seguendo H. Conzelmann) hanno affermato, cioè che Gesù è “il centro del tempo”. È il centro in quanto in lui si uniscono la pienezza dell’umano con la pienezza del divino.
p. José María Castillo
Il dialogo