Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Luca 22,14-23,56
Ce lo ha fatto capire fin dal principio, quando ha scelto di venire sulla terra non bardato di corazze e fulmini, ma nascosto nella tenera pelle di un bambino, profumata di latte e carezze. Ce lo ha dimostrato in tutta la sua vita, quando ha avuto sonno, sete, fame e stanchezza; quando ha provato il bisogno di appoggiarsi agli amici, quando non è riuscito a frenare le lacrime dinanzi all’amico morto o sulla città che lo avrebbe ucciso e quando ha avvertito l’ombra gelida della morte. Non è mai stato freddo e imperturbabile, non ci ha mai dato l’immagine di un Dio spavaldo, a cui non trema il cuore, ma di un Padre che corre incontro “commosso” al figlio che credeva perduto. Un Dio capace di piangere, un Dio fragile. Fragile fino alla morte.
La chiamano Passione di Gesù: nella nostra lingua il termine passione significa anche inclinazione, trasporto, desiderio, afflizione e intensa sofferenza. Tutti significati che stanno qua, in queste pagine di vangelo che ci parlano di un Dio così appassionato da morire scusando, che è più che perdonare: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”; un Dio così appassionato che continua a voler bene ai suoi amici nonostante i tradimenti e l’abbandono; un Dio che fa di un brigante il primo e sicuro santo della Chiesa. Forse è proprio l’amore che lo rende così fragile.
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Don Luigi Verdi
Il racconto lucano della passione e morte di Gesù è la storia di una contraddizione al cui centro si erge la scandalosa condanna di un innocente (per tre volte Pilato rileva che Gesù non ha commesso nulla di male: cf. Lc 23,14.15.22). Entrare nella passione e seguire Gesù nel cammino della croce significa per il credente accettare di essere svelato nelle proprie contraddizioni, nelle proprie false credenze e nelle proprie menzogne: solo vedendo la propria ombra e nominando la propria menzogna o la propria errata opinione o i propri pregiudizi, si potrà intraprendere un cammino di ritrovamento di verità.
Quel cammino ben espresso dalle folle che, dopo aver assistito alla crocifissione, “se ne andarono battendosi il petto” (Lc 23,48), dunque riconoscendo la propria responsabilità e colpevolezza. Giungere alla contemplazione del crocifisso e da lì al pentimento: questo il cammino che il racconto lucano fa percorrere.
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Luciano Manicardi
Domenica delle Palme
Anno C
Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Luca 22,14-23,56
Ce lo ha fatto capire fin dal principio, quando ha scelto di venire sulla terra non bardato di corazze e fulmini, ma nascosto nella tenera pelle di un bambino, profumata di latte e carezze. Ce lo ha dimostrato in tutta la sua vita, quando ha avuto sonno, sete, fame e stanchezza; quando ha provato il bisogno di appoggiarsi agli amici, quando non è riuscito a frenare le lacrime dinanzi all’amico morto o sulla città che lo avrebbe ucciso e quando ha avvertito l’ombra gelida della morte. Non è mai stato freddo e imperturbabile, non ci ha mai dato l’immagine di un Dio spavaldo, a cui non trema il cuore, ma di un Padre che corre incontro “commosso” al figlio che credeva perduto. Un Dio capace di piangere, un Dio fragile. Fragile fino alla morte.
La chiamano Passione di Gesù: nella nostra lingua il termine passione significa anche inclinazione, trasporto, desiderio, afflizione e intensa sofferenza. Tutti significati che stanno qua, in queste pagine di vangelo che ci parlano di un Dio così appassionato da morire scusando, che è più che perdonare: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”; un Dio così appassionato che continua a voler bene ai suoi amici nonostante i tradimenti e l’abbandono; un Dio che fa di un brigante il primo e sicuro santo della Chiesa. Forse è proprio l’amore che lo rende così fragile.
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Don Luigi Verdi
Il racconto lucano della passione e morte di Gesù è la storia di una contraddizione al cui centro si erge la scandalosa condanna di un innocente (per tre volte Pilato rileva che Gesù non ha commesso nulla di male: cf. Lc 23,14.15.22). Entrare nella passione e seguire Gesù nel cammino della croce significa per il credente accettare di essere svelato nelle proprie contraddizioni, nelle proprie false credenze e nelle proprie menzogne: solo vedendo la propria ombra e nominando la propria menzogna o la propria errata opinione o i propri pregiudizi, si potrà intraprendere un cammino di ritrovamento di verità.
Quel cammino ben espresso dalle folle che, dopo aver assistito alla crocifissione, “se ne andarono battendosi il petto” (Lc 23,48), dunque riconoscendo la propria responsabilità e colpevolezza. Giungere alla contemplazione del crocifisso e da lì al pentimento: questo il cammino che il racconto lucano fa percorrere.
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Luciano Manicardi