I domenica di Quaresima

Anno C

Letture: Deuteronomio 26,4-10; Salmo 90; Romani 10,8-13; Luca 4,1-13

Come Gesù, siamo tutti posti davanti alla fatica aspra e liberante di scegliere tra umano e disumano, tra più vita e meno vita. “Scegli” è l’imperativo di libertà che apre tutta la sezione della Legge antica: Io pongo davanti a te il bene e la vita, il male e la morte. Scegli dunque la vita (Deut 30,15). E non suona come un imperativo, ma come una preghiera di Dio ai suoi figli, una chiamata alla vita. Le tentazioni e le scelte di Gesù nel deserto ridisegnano il mondo delle relazioni umane: il rapporto con me stesso e con le cose (pietre o pane), con Dio e con gli altri (tutto sarà tuo). Dì a questa pietra che diventi pane! Non di solo pane, l’essere umano vive anche della contemplazione delle pietre del mondo, e allora vede che “nel cuore della pietra Dio sogna il suo sogno e di vita la pietra si riveste” (G. Vannucci). Perfino le pietre sono “sillabe del discorso di Dio.

Il divino e l’umano si incontrano nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta” (Laudato si’ 9). Il pane è un bene, un valore indubitabile, ma Gesù non ha mai cercato il pane a suo vantaggio, si è fatto pane a vantaggio di tutti. E risponde giocando al rialzo, offrendo più vita: Non di solo pane vivrà l’uomo. Se è sazio di solo pane, l’uomo muore. Nella seconda tentazione il diavolo rilancia: il mondo è mio, se ti prostri davanti a me, tutto questo sarà tuo. Lo spirito del male instaura un mercato con l’uomo, un mercimonio. Esattamente l’opposto dello stile con cui Dio agisce: lui non fa mai mercato dei suoi doni, dona amore senza clausole e senza condizioni, un bene mai mercenario. Dio non può dare semplici cose, perché “non può dare nulla di meno di se stesso” (Meister Eckart), ma “dandoci se stesso ci dà tutto” (Caterina da Siena).

La terza tentazione è una sfida aperta a Dio: Buttati, così vedremo uno stormo di angeli in volo… Un bel miracolo, la gente ama i miracoli, ti verranno dietro. Il diavolo è seduttivo, mette la maschera dell’amico, come per aiutare Gesù a fare meglio il messia. E in più la tentazione è fatta con la Bibbia in mano (sta scritto…). La risposta: non tenterai il Signore tuo Dio. Attraverso ciò che sembra il massimo della fede nella provvidenza, tu stai facendo la caricatura della fede, la riduci a pura ricerca del tuo vantaggio. Tu non cerchi Dio, cerchi solo il tuo profitto. Vuoi vincere il mondo con la croce? Non servirà, dice il diavolo. Assicurargli invece pane, potere ed effetti speciali, e ti seguirà. Ma Gesù non vuole vincere nessuno, lui vuole liberare. Attende liberi figli che tornino ad amare Dio da innamorati e non da sottomessi.

Ermes Ronchi
Avvenire

 

Il deserto della Quaresima nel quale siamo entrati è il luogo dove lo stesso Spirito ci guida per rivelarci il vero volto di Dio e il vero volto della nostra umanità. Entrambi risplendono con forza in Gesù, il figlio di Dio e il figlio di Adamo (cfr. Lc 3,38). Questa rivelazione passa attraverso la prova nel deserto, per quaranta giorni. Gesù ha vissuto un tempo di tentazione, di prova. Un tempo nel quale è stato provato per manifestare la sua verità, le ragioni del suo agire, la profonda relazione di fede con il Padre, la condivisione estrema della nostra condizione umana. La tentazione è quell’esperienza nella quale il nemico, il diavolo, cerca di separaci da Dio e dalla nostra verità di creature uscite dalle mani di Dio; ma, in realtà, in quella stessa esperienza, lo Spirito la fa venire alla luce in tutta la sua bellezza. Siamo provati come si prova “l’argento purificato nel crogiuolo” (Sal 66,10) che rivela tutto il suo splendore, liberato dalle scorie che lo offuscavano.

Al brano di oggi, posto all’inizio dell’esperienza adulta di Gesù, corrisponde l’ultima prova di Gesù sulla croce. Oggi infatti il diavolo “si allontana da Gesù fino al momento fissato” (Lc 4,13) e questo momento è quello cruciale dell’ultima tentazione, là dove Gesù rivelerà pienamente se stesso, nella sua verità in rapporto al Padre e agli uomini. Questa inclusione, che Luca sottolinea in modo particolare, ci permette di pensare che tutta l’esistenza terrena di Gesù sia stata segnata dalla tentazione (Luca infatti cita diversi episodi in cui si cerca di tentare Gesù: Lc 10,25; 11,16; 20,20). Ed è proprio questa prova che progressivamente rivela di che stoffa sia fatta la sua umanità. E la nostra. In Lui. Dopo il battesimo al Giordano, proprio là dove Gesù scende nelle acque della nostra umanità facendosi solidale con l’uomo peccatore, la voce del Padre lo riconosce come Figlio: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3,22). Gesù è il Figlio di Dio.

Subito dopo questo solenne riconoscimento del Padre, Luca ci narra in che modo Dio gli sia Padre, presentandoci la genealogia di Gesù: “Gesù… era figlio, come si riteneva, di Giuseppe, figlio di Eli… figlio di Adamo, figlio di Dio” (Lc 3,23.38). Gesù è figlio di Dio, passando per Adamo, il primo uomo. È un altro modo per dire che Gesù ha condiviso tutta la nostra condizione umana, è divenuto figlio dell’uomo, rendendosi “in tutto simile ai fratelli” (cfr. Eb 2,17). Per questo “è stato messo alla prova in ogni cosa, come noi” (cfr. Eb 4,15). Ad Adamo, il figlio di Dio messo alla prova dal serpente nel giardino, corrisponde Gesù, il figlio di Dio tentato nel deserto. Notiamo che Luca presenta le tentazioni in un ordine diverso rispetto a Matteo. Un ordine che segue il cammino terreno di Gesù dal deserto, dove inizia il suo ministero (la prima tentazione relativa al pane è collocata nel “deserto”); alla sua salita dalla Galilea verso la Giudea (il luogo alto dove il diavolo lo conduce per mostrargli i regni della terra nella seconda tentazione); fino al cuore di Gerusalemme dove Gesù salirà sulla croce (il pinnacolo del tempio della terza tentazione).

In questo percorso Gesù rivela progressivamente la via per la quale l’uomo, il nuovo Adamo, può vincere il tentatore lungo tutta la sua esistenza. “In quei giorni Gesù non mangiò nulla”. L’assenza di cibo nel deserto implica la morte. Il deserto è il luogo per eccellenza dove l’uomo non può procurarsi da se stesso il cibo che lo faccia vivere. Qui lo può ricevere solo come dono di Dio. Infatti il popolo di Israele nella sua attraversata del deserto sarebbe morto se Dio non avesse donato il pane dal cielo. Il deserto è il luogo dove emerge con maggiore evidenza quale sia la fonte della vita dell’uomo; Chi sia la fonte della vita dell’uomo. Allo stesso modo nel giardino, al principio della creazione, il primo uomo Adamo riceve nutrimento dagli alberi che Dio gli dona. La sua vita si nutre della relazione con il Creatore di tutte le cose. “Il diavolo gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane”. Gesù gli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo”.

In questa prima tentazione, Satana mette alla prova Gesù nella sua relazione con il Padre, la fonte della Vita. Ma Gesù risponde come figlio dell’uomo, come il nuovo e vero Adamo, che non si procura la vita da se stesso, non trasforma le cose (“questa pietra”) in sorgente di vita per lui, ma rimane in una relazione vitale con il Padre, riconoscendo nella sua Parola ciò che lo nutre e lo sostiene (“mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato” Gv 4,34). Gesù è l’Adamo che non cede alla tentazione del serpente, che non mette in questione la prima parola d’amore del Padre su di lui (cfr. Gen 3). Gesù non sta minimizzando il bisogno di pane materiale dell’uomo. Ma sa bene che il pane da solo non è sufficiente per saziare la nostra fame di vita. Se il pane non è accompagnato dalla parola, cioè dalla relazione con qualcuno da cui lo riceviamo e con cui lo condividiamo, quel pane non sazia. Il pane è il segno dell’amore di Colui che ce lo ha donato. Ecco quindi che Gesù, il vero Adamo, è l’uomo che rimane in questa relazione con il Padre continuando ad affidarsi a Lui; e, al tempo stesso, è Colui che rivela il Padre come la fonte della vita dell’uomo.

“Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: Ti darò tutto questo potere e la loro gloria (…) se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo”. Nella seconda tentazione Satana mette alla prova Gesù nell’umana ricerca di raggiungere altezze straordinarie e di estendere il potere su spazi sempre più grandi. È l’offerta di“ tutto in un istante, tutto e subito, raggiungendo mete che superano il limite dell’uomo. Gesù, il figlio dell’uomo, non cade nell’inganno di esercitare un potere che si sottragga ai limiti dello spazio e del tempo che sono propri dell’umanità. Gesù custodisce il senso del limite umano e proclama così chi sia l’uomo di fronte alle realtà create (“tutti i regni della terra”) e, al tempo stesso, rivela che solo Dio è degno di adorazione.

Adorare significa letteralmente “rivolgere la parola a, invocare, supplicare, portare [la mano] alla bocca [inteso come atto di riverenza che si fa verso una persona degna di rispetto, dinanzi alla quale ci si inchina leggermente, toccando con la mano destra l’oggetto che si vuole onorare, mentre la sinistra si porta alla bocca, baciandola]”. Quindi, se adorare ha a che fare con il rivolgere la parola, Gesù non si pone in dialogo con il diavolo che gli offre tutto, ma riconosce che tutto gli è stato dato dal Padre (cfr. Lc 10,22). È da Lui infatti che Gesù riceverà ciò che ora il diavolo gli offre e lo riceverà nel momento in cui si lascerà condurre in alto sulla croce. Qui e non prima o altrove Gesù riceve dal Padre potere universale ed eterno su tutti i regni della terra, proprio perché Gesù ha il potere di dare la vita, perdendo se stesso. Qui Gesù ci rivela che il vero Adamo è “coronato di gloria e onore” (cfr. Sal 8) proprio per il suo abbandono fiducioso alla potenza di Dio; e al tempo stesso mostra che il Padre è un Dio che dona il suo Regno a tutti coloro che si affidano a Lui (“Oggi sarai con me nel mio regno” promette Gesù al malfattore che osa supplicarlo sulla croce, Lc 23,42-43).

“Se sei il Figlio di Dio, gettati giù di qui”. Nella terza tentazione viene messa alla prova la capacità di affidamento di Gesù nella sua relazione filiale con il Padre. Gesù non ha bisogno di gettarsi dal punto più alto del tempio di Gerusalemme per avere la prova dell’amore di Dio per Lui. Il Figlio, che vive affidato al Padre, oserà gettarsi nell’abisso della morte dall’alto della croce, continuando ad affidarsi a Lui anche di fronte al suo silenzio e al suo apparente abbandono: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Fino a questo punto giunge la fede del Figlio, perché Egli sa che la vita dell’uomo è nelle mani del Padre e che Lui non può abbandonare la creatura che ama. Nella prova del Figlio, riconosciamo la via per vivere tutte le prove che la vita ci offre: ne usciremo riconoscendo il vero volto del Padre e il volto più autentico della nostra umanità. Quella di figli nel Figlio.

Monastero di Sant’Agata Feltria