Letture: Isaia 62,1-5; Salmo 95; Prima Lettera ai Corinzi 12,4-11; Giovanni 2,1-11
Dove ci siamo persi, dove e quando abbiamo cominciato a pensare che Dio ci vuole seri e compassati, meglio ancora, un po’ tristi e doloranti; quando ci siamo convinti che l’allegria non fa parte di questo mondo, ma è riservata all’aldilà; e se capita di essere allegri allora meglio sentirsi un po’ in colpa, perché non si addice a un credente tutto compunto e mesto, intento solo ad abbracciare la sua croce con stoica rassegnazione. Meno male che c’è scritto nero su bianco oggi nel Vangelo che all’inizio c’è la gioia e che, come primo segno, Gesù ha scelto la festa, il vino con cui brindare, l’allegria intatta e non sciupata da ciò che manca.
Sarebbe bello svegliarci ogni mattino con una voce che ci sussurra «non hai più vino»: sentircelo ripetere ci aiuterebbe a comprendere che forse abbiamo perso la gioia, la freschezza dello sguardo leggero sulle cose, che ci manca l’emozione del vibrare con la vita. È vero, abbiamo finito il vino della festa, quel pizzico di follia, quella danza che nasce spontanea quando senti che è l’amore che ti muove e ti conduce. Un amore senza un perché. E Gesù oggi ci mette la sua firma, autentica il fatto che la vita, quando c’è l’amore, è festa.
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Don Luigi Verdi
Il Vangelo di questa domenica, col quale ci immettiamo a tutti gli effetti nel Tempo Ordinario, inizia così: «Il terzo giorno, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea» (Gv 2,1). Questa indicazione temporale, che è stata rimossa per motivi liturgici, è in verità importantissima per comprendere tutto il racconto. Non è secondario che il nostro Tempo Ordinario cominci “il terzo giorno”. Un lettore attento, ripercorrendo il primo capitolo del Vangelo di Giovanni, si accorgerà facilmente che, in verità, quello del prodigio a Cana dovrebbe essere il quinto giorno secondo la cronologia che ci viene proposta dall’evangelista.
Ma nel Vangelo secondo Giovanni niente è come sembra, perché tutto ha un senso più profondo, che va al di là di ciò che appare immediatamente ai nostri occhi. Una cosa è evidente nel brano che abbiamo ascoltato: c’è un tempo dell’uomo (quello cronologico) e un tempo di Dio. Oggi siamo invitati a contemplare il dialogo tra questi due tempi nella vicenda di Gesù. Quello che apre il racconto è un tempo di risurrezione: il terzo giorno, appunto. La gioia della Pasqua si mescola alla gioia di una festa di nozze. Sembra però che questo tempo di Dio non sia ancora giunto alla sua pienezza.
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II domenica
Tempo ordinario, Anno C
Letture: Isaia 62,1-5; Salmo 95; Prima Lettera ai Corinzi 12,4-11; Giovanni 2,1-11
Dove ci siamo persi, dove e quando abbiamo cominciato a pensare che Dio ci vuole seri e compassati, meglio ancora, un po’ tristi e doloranti; quando ci siamo convinti che l’allegria non fa parte di questo mondo, ma è riservata all’aldilà; e se capita di essere allegri allora meglio sentirsi un po’ in colpa, perché non si addice a un credente tutto compunto e mesto, intento solo ad abbracciare la sua croce con stoica rassegnazione. Meno male che c’è scritto nero su bianco oggi nel Vangelo che all’inizio c’è la gioia e che, come primo segno, Gesù ha scelto la festa, il vino con cui brindare, l’allegria intatta e non sciupata da ciò che manca.
Sarebbe bello svegliarci ogni mattino con una voce che ci sussurra «non hai più vino»: sentircelo ripetere ci aiuterebbe a comprendere che forse abbiamo perso la gioia, la freschezza dello sguardo leggero sulle cose, che ci manca l’emozione del vibrare con la vita. È vero, abbiamo finito il vino della festa, quel pizzico di follia, quella danza che nasce spontanea quando senti che è l’amore che ti muove e ti conduce. Un amore senza un perché. E Gesù oggi ci mette la sua firma, autentica il fatto che la vita, quando c’è l’amore, è festa.
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Don Luigi Verdi
Il Vangelo di questa domenica, col quale ci immettiamo a tutti gli effetti nel Tempo Ordinario, inizia così: «Il terzo giorno, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea» (Gv 2,1). Questa indicazione temporale, che è stata rimossa per motivi liturgici, è in verità importantissima per comprendere tutto il racconto. Non è secondario che il nostro Tempo Ordinario cominci “il terzo giorno”. Un lettore attento, ripercorrendo il primo capitolo del Vangelo di Giovanni, si accorgerà facilmente che, in verità, quello del prodigio a Cana dovrebbe essere il quinto giorno secondo la cronologia che ci viene proposta dall’evangelista.
Ma nel Vangelo secondo Giovanni niente è come sembra, perché tutto ha un senso più profondo, che va al di là di ciò che appare immediatamente ai nostri occhi. Una cosa è evidente nel brano che abbiamo ascoltato: c’è un tempo dell’uomo (quello cronologico) e un tempo di Dio. Oggi siamo invitati a contemplare il dialogo tra questi due tempi nella vicenda di Gesù. Quello che apre il racconto è un tempo di risurrezione: il terzo giorno, appunto. La gioia della Pasqua si mescola alla gioia di una festa di nozze. Sembra però che questo tempo di Dio non sia ancora giunto alla sua pienezza.
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