Letture: Esodo 3,1-8a.13-15; Salmo 102; Prima Lettera ai Corinzi 10,1-6.10-12; Luca 13,1-9
Lo abbiamo già incontrato, curvo sulle radici, sudato e sporco di polvere, chino a zappettare o a camminare, con occhi splendenti di fiducia, spargendo semi in abbondanza: sì, lo abbiamo già incrociato sulle nostre strade, questo Dio contadino instancabile, che non si ferma mai, che ricomincia sempre daccapo e non si lascia abbattere dalle delusioni e dai tradimenti. Perché così è la vita, inguaribilmente ottimista. E così è Dio: «Voglio lavorare ancora un anno intorno a quel fico e forse porterà frutto». Ancora un anno.
Questo è l’unico miracolo ed è quello di Dio: vedere sempre una piccola probabilità nello stoppino fumigante, nella canna incrinata. È un Dio che si accontenta e si aggrappa ad un fragile “forse” e lascia un altro anno di respiro ai tre anni di inutilità, perché si fida, oltre ogni speranza. Forse. Parola dubitativa di quando tutto può succedere e tutto ancora farsi. Forse ti troverò, forse mi salverò, forse guarirò, forse ritornerò… Forse, si apre alle possibilità, si incanta sul futuro o, più semplicemente, sul dopo.
Clicca qui per continuare a leggere questo commento su Avvenire
Don Luigi Verdi
La parabola è un racconto immaginario che sottintende un significato istruttivo. Molto praticata dal Talmud, il commentario ebraico delle Scritture, è ampiamente utilizzata nella predicazione del Nuovo Testamento. La narrativa alla quale appartiene la parabola come la metafora si serve della divagazione per esprimersi meglio. L’albero del fico fa parte del paesaggio mediterraneo. Piantarlo era un augurio di pace, per poter sostare alla sua ombra negli anni a venire.
In questa pagina di Luca la parabola ha bisogno di qualche informazione. L’uomo che ha piantato l’albero è impaziente di raccoglierne i frutti ma il fatto è che per la legge del libro Levitico chi pianta un albero non può prenderne i frutti proprio per tre anni. Potrà farlo nel quarto. L’uomo della parabola conosce il precetto ma vuole violarlo. L’albero glielo fa rispettare rifiutando per tre anni fioritura e frutto. Nella scrittura sacra le specie viventi, animali e vegetali, partecipano dell’alleanza con la divinità.
Clicca qui per continuare a leggere questo commento su L’Osservatore Romano
Erri De Luca
III domenica di Quaresima
Anno C
Letture: Esodo 3,1-8a.13-15; Salmo 102; Prima Lettera ai Corinzi 10,1-6.10-12; Luca 13,1-9
Lo abbiamo già incontrato, curvo sulle radici, sudato e sporco di polvere, chino a zappettare o a camminare, con occhi splendenti di fiducia, spargendo semi in abbondanza: sì, lo abbiamo già incrociato sulle nostre strade, questo Dio contadino instancabile, che non si ferma mai, che ricomincia sempre daccapo e non si lascia abbattere dalle delusioni e dai tradimenti. Perché così è la vita, inguaribilmente ottimista. E così è Dio: «Voglio lavorare ancora un anno intorno a quel fico e forse porterà frutto». Ancora un anno.
Questo è l’unico miracolo ed è quello di Dio: vedere sempre una piccola probabilità nello stoppino fumigante, nella canna incrinata. È un Dio che si accontenta e si aggrappa ad un fragile “forse” e lascia un altro anno di respiro ai tre anni di inutilità, perché si fida, oltre ogni speranza. Forse. Parola dubitativa di quando tutto può succedere e tutto ancora farsi. Forse ti troverò, forse mi salverò, forse guarirò, forse ritornerò… Forse, si apre alle possibilità, si incanta sul futuro o, più semplicemente, sul dopo.
Clicca qui per continuare a leggere questo commento su Avvenire
Don Luigi Verdi
La parabola è un racconto immaginario che sottintende un significato istruttivo. Molto praticata dal Talmud, il commentario ebraico delle Scritture, è ampiamente utilizzata nella predicazione del Nuovo Testamento. La narrativa alla quale appartiene la parabola come la metafora si serve della divagazione per esprimersi meglio. L’albero del fico fa parte del paesaggio mediterraneo. Piantarlo era un augurio di pace, per poter sostare alla sua ombra negli anni a venire.
In questa pagina di Luca la parabola ha bisogno di qualche informazione. L’uomo che ha piantato l’albero è impaziente di raccoglierne i frutti ma il fatto è che per la legge del libro Levitico chi pianta un albero non può prenderne i frutti proprio per tre anni. Potrà farlo nel quarto. L’uomo della parabola conosce il precetto ma vuole violarlo. L’albero glielo fa rispettare rifiutando per tre anni fioritura e frutto. Nella scrittura sacra le specie viventi, animali e vegetali, partecipano dell’alleanza con la divinità.
Clicca qui per continuare a leggere questo commento su L’Osservatore Romano
Erri De Luca