Santissima Trinità

Anno C

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Memoria emozionante della Trinità, dove il racconto di Dio diventa racconto dell’uomo. Dio non è in se stesso solitudine: esistere è coesistere, per Dio prima, e poi anche per l’essere umano. Vivere è convivere, nei cieli prima, e poi sulla terra. I dogmi allora fioriscono in un concentrato d’indicazioni vitali, di sapienza del vivere. Quando Gesù ha raccontato il mistero di Dio, ha scelto nomi di casa, di famiglia: abbà, padre… figlio, nomi che abbracciano, che si abbracciano. Spirito, ruhà, è un termine che avvolge e lega insieme ogni cosa come libero respiro di Dio, e mi assicura che ogni vita prende a respirare bene, allarga le sue ali, vive quando si sa accolta, presa in carico, abbracciata da altre vite.

Abbà, Figlio e Spirito ci consegnano il segreto per ritornare pienamente umani: in principio a tutto c’è un legame, ed è un legame d’amore. Allora capisco che il grande progetto della Genesi: «facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza», significa «facciamolo a immagine della Trinità», a immagine di un legame d’amore, a somiglianza della comunione. La Trinità non è una dottrina esterna, è al di qua, è dentro, non al di là di me. Allora spirituale e reale coincidono, verità ed esistenza corrispondono. E questo mi regala un senso di armoniosa pace, di radice santa che unifica e fa respirare tutto ciò che vive.

In principio c’è la relazione (G. Bachelard). «Quando verrà lo Spirito di verità, vi guiderà… parlerà… dirà… prenderà… annunzierà». Gesù impiega tutti verbi al futuro, a indicare l’energia di una strada che si apre, orizzonti inesplorati, un trascinamento in avanti della storia. Vi guiderà alla verità tutta intera: la verità è in-finita, «interminati spazi» (Leopardi), l’interezza della vita. E allora su questo sterminato esercito umano di incompiuti, di fragili, di incompresi, di innamorati delusi, di licenziati all’improvviso, di migranti in fuga, di sognatori che siamo noi, di questa immensa carovana, incamminata verso la vita, fa parte Uno che ci guida e che conosce la strada.

Conosce anche le ferite interiori, che esistono in tutti e per sempre, e insegna a costruirci sopra anziché a nasconderle, perché possono marcire o fiorire, seppellire la persona o spingerla in avanti. La verità tutta intera di cui parla Gesù non consiste in concetti più precisi, ma in una sapienza del vivere custodita nell’umanità di Gesù, volto del Padre, respiro dello Spirito: una sapienza sulla nascita e sulla morte, sulla vita e sugli affetti, su me e sugli altri, sul dolore e sulla infinita pazienza di ricominciare, che ci viene consegnata come un presente, inciso di fessure, di feritoie di futuro.

Letture: Proverbi 8,22-31; Salmo 8; Romani 5,1-5; Giovanni 16,12-15

Ermes Ronchi
Avvenire

 

Frequentemente capita che gli uomini di Chiesa non considerino qualcosa che è assolutamente fondamentale. Cioè, che Dio è il Trascendente, ovvero non sta alla nostra portata. Non lo conosciamo e non possiamo conoscerlo. È quello che i teologi hanno ripetuto insistentemente quando hanno detto che “Dio è sempre più grande” (Deus semper maior) di quanto noi esseri umani possiamo pensare su di lui. Quest’espressione è stata una formula che vuole esprimere la nostra incapacità di raggiungere la conoscenza dell’essere stesso di Dio, cioè di come è

Dio in sé. Questo non è possibile per noi mortali. Il problema nel quale si è imbattuta la teologia cristiana è stato quello della sua incoerenza. Perché da una parte abbiamo affermato che Dio è colui che ci trascende, ma al tempo stesso ci siamo messi a spiegarlo come se lo conoscessimo. Forse in ciò si è manifestato il nostro anelito di incontrare chi mai in questa vita potremo conoscere.

È vero che nel NT Dio si rivela a noi come Padre, come Gesù il Figlio, come Spirito. Da ciò la teologia ha dedotto che in Dio ci sono tre persone, realmente distinte, che tuttavia sono uno stesso ed unico Dio. In fondo, non è questione di numeri, ma del desiderio e della necessità di intercomunicazione e di donazione reciproca che noi uomini abbiamo e che vogliamo vedere in Dio, come modello esemplare della nostra reciproca donazione. Karl Rahner ha parlato, nello spiegare questa complicata problematica, della Trinità “immanente” (quella che non possiamo raggiungere) e della Trinità “economica” (quella che è al nostro livello perché in lei incontriamo il modello di dedizione reciproca tra di noi).

In questo giorno non si tratta di comprendere quello che mai potremo capire. Si tratta di vedere nella donazione, nell’uguaglianza, nella comunicazione delle persone divine il modello esemplare di ciò che deve essere la nostra convivenza. Vivere per gli altri, una vita che è donazione e comunicazione. Mai solitudine, mai isolamento, sempre apertura e chiarezza. La fede in Dio diventata etica di chi esiste per gli altri.

p. José María Castillo
Il dialogo