Letture: Geremia 17,5-8; Salmo 1; Prima Lettera ai Corinzi 15,12.16-20; Luca 6,17.20-26
Dicono che l’amore sia visionario, che faccia vedere agli occhi innamorati una versione dell’amato trasfigurata, tratteggiata solo sulla perfezione e sulla bellezza; come se l’amore forzasse la realtà e riuscisse a scovare cose che tutti gli altri non vedono. Dove lo sguardo distratto si ferma solo in superficie, lo sguardo innamorato penetra invece nei recessi nascosti, nelle profondità ancora ignote e da svelare, in quelle zone che non si sa di possedere, ma che stanno là, come promesse di pienezza, come un tesoro nascosto.
Di fonte ad una massa di poveri scalcagnati, ad una ciurma di reietti maleodoranti e sbrindellati, gli occhi innamorati del Maestro, “alzàti su di loro”, vedono sorrisi e pance piene, piedi che danzano e aria pura che entra nei polmoni. Come gli saranno brillati gli occhi a quel Dio capace di vedere oltre le apparenze e come saranno brillati gli occhi a quei poveracci che si sono sentiti chiamare beati: ma parla di me? Proprio di me che sono distrutto dal dolore, che sono vittima di violenza, oppresso dall’ingiustizia, angosciato dalla solitudine, affamato di pane e dignità?
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Don Luigi Verdi
La prima lettura (Ger 17,5-8) e il vangelo (Lc 6,17.20-26) della VI domenica dell’Ordinario dell’annata C sono caratterizzati da una polarità: nel testo profetico è espressa nei termini di “benedizione” e “maledizione”, nella pagina evangelica dalla tensione fra “beatitudini” e “guai”. Analoga polarità è presente anche nel Salmo responsoriale, il Salmo 1 (molto vicino al testo di Geremia), che presenta l’antitesi fra giusti e malvagi e che si apre con il macarismo (“Beato [makários, in greco] l’uomo”: Sal 1,1) rivolto all’uomo che medita giorno e notte la Legge del Signore e in essa trova la sua gioia.
Chi pone nella Legge del Signore il suo desiderio, non solo ne riceve saldezza e fecondità, ma diviene lui stesso fonte di benedizione per altri. E questo perché con la meditazione assidua, la Torah del Signore diventa la sua Legge: e “sua” si può benissimo riferire all’uomo stesso e non al Signore: “Beato l’uomo … / che nella Legge del Signore trova la sua gioia, / la sua Legge medita giorno e notte” (Sal 1,1). La volontà di Dio espressa nella Torah, introiettata dall’orante con l’ascolto, la ripetizione e la meditazione, radica il credente nella fonte di vita che fa di lui una sorgente di benedizione.
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Fr. Luciano Manicardi
VI domenica
Tempo ordinario, Anno C
Letture: Geremia 17,5-8; Salmo 1; Prima Lettera ai Corinzi 15,12.16-20; Luca 6,17.20-26
Dicono che l’amore sia visionario, che faccia vedere agli occhi innamorati una versione dell’amato trasfigurata, tratteggiata solo sulla perfezione e sulla bellezza; come se l’amore forzasse la realtà e riuscisse a scovare cose che tutti gli altri non vedono. Dove lo sguardo distratto si ferma solo in superficie, lo sguardo innamorato penetra invece nei recessi nascosti, nelle profondità ancora ignote e da svelare, in quelle zone che non si sa di possedere, ma che stanno là, come promesse di pienezza, come un tesoro nascosto.
Di fonte ad una massa di poveri scalcagnati, ad una ciurma di reietti maleodoranti e sbrindellati, gli occhi innamorati del Maestro, “alzàti su di loro”, vedono sorrisi e pance piene, piedi che danzano e aria pura che entra nei polmoni. Come gli saranno brillati gli occhi a quel Dio capace di vedere oltre le apparenze e come saranno brillati gli occhi a quei poveracci che si sono sentiti chiamare beati: ma parla di me? Proprio di me che sono distrutto dal dolore, che sono vittima di violenza, oppresso dall’ingiustizia, angosciato dalla solitudine, affamato di pane e dignità?
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Don Luigi Verdi
La prima lettura (Ger 17,5-8) e il vangelo (Lc 6,17.20-26) della VI domenica dell’Ordinario dell’annata C sono caratterizzati da una polarità: nel testo profetico è espressa nei termini di “benedizione” e “maledizione”, nella pagina evangelica dalla tensione fra “beatitudini” e “guai”. Analoga polarità è presente anche nel Salmo responsoriale, il Salmo 1 (molto vicino al testo di Geremia), che presenta l’antitesi fra giusti e malvagi e che si apre con il macarismo (“Beato [makários, in greco] l’uomo”: Sal 1,1) rivolto all’uomo che medita giorno e notte la Legge del Signore e in essa trova la sua gioia.
Chi pone nella Legge del Signore il suo desiderio, non solo ne riceve saldezza e fecondità, ma diviene lui stesso fonte di benedizione per altri. E questo perché con la meditazione assidua, la Torah del Signore diventa la sua Legge: e “sua” si può benissimo riferire all’uomo stesso e non al Signore: “Beato l’uomo … / che nella Legge del Signore trova la sua gioia, / la sua Legge medita giorno e notte” (Sal 1,1). La volontà di Dio espressa nella Torah, introiettata dall’orante con l’ascolto, la ripetizione e la meditazione, radica il credente nella fonte di vita che fa di lui una sorgente di benedizione.
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Fr. Luciano Manicardi