VIII domenica

Tempo ordinario, Anno C

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? […]

L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene. Il buon tesoro del cuore: una definizione così bella, così piena di speranza, di ciò che siamo nel nostro intimo mistero. Abbiamo tutti un tesoro buono custodito in vasi d’argilla, oro fino da distribuire. Anzi il primo tesoro è il nostro cuore stesso: «un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi). La nostra vita è viva se abbiamo coltivato tesori di speranza, la passione per il bene possibile, per il sorriso possibile, la buona politica possibile, una “casa comune” dove sia possibile vivere meglio per tutti. La nostra vita è viva quando ha cuore. Gesù porta a compimento la religione antica su due direttrici: la linea della persona, che viene prima della legge, e poi la linea del cuore, delle motivazioni profonde, delle radici buone.

Accade come per gli alberi: l’albero buono non produce frutti guasti. Gesù ci porta alla scuola della sapienza degli alberi. La prima legge di un albero è la fecondità, il frutto. Ed è la stessa regola di fondo che ispira la morale evangelica: un’etica del frutto buono, della fecondità creativa, del gesto che fa bene davvero, della parola che consola davvero e guarisce, del sorriso autentico. Nel giudizio finale (Matteo 25), non tribunale ma rivelazione della verità ultima del vivere, il dramma non saranno le nostre mani forse sporche, ma le mani desolatamente vuote, senza frutti buoni offerti alla fame d’altri. Invece gli alberi, la natura intera, mostrano come non si viva in funzione di se stessi ma al servizio delle creature: infatti ad ogni autunno ci incanta lo spettacolo dei rami gonfi di frutti, un eccesso, uno scialo, uno spreco di semi, che sono per gli uccelli del cielo, per gli animali della terra, per gli insetti come per i figli dell’uomo.

Le leggi profonde che reggono la realtà sono le stesse che reggono la vita spirituale. Il cuore del cosmo non dice sopravvivenza, la legge profonda della vita è dare. Cioè crescere e fiorire, creare e donare. Come alberi buoni. Ma abbiamo anche una radice di male in noi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello? Perché ti perdi a cercare fuscelli, a guardare l’ombra anziché la luce di quell’occhio? Non è così lo sguardo di Dio. L’occhio del Creatore vide che l’uomo era cosa molto buona! Dio vede l’uomo molto buono perché ha un cuore di luce. L’occhio cattivo emana oscurità, diffonde amore per l’ombra. L’occhio buono è come lucerna, diffonde luce. Non cerca travi o pagliuzze o occhi feriti, i nostri cattivi tesori, ma si posa su di un Eden di cui nessuno è privo: «con ogni cura veglia sul tuo cuore perché è la sorgente della vita» (Proverbi 4,23).

Letture: Siracide 27,5-8; Salmo 91; 1 Corinzi 15,54-58; Luca 6,39-45

Ermes Ronchi
Avvenire

 

Continua l’insegnamento di Gesù ai suoi discepoli e, dopo averli invitati ad essere figli dell’Altissimo, cioè ad essere benevoli verso gli ingrati e i malvagi, a non escludere nessuno dal raggio d’azione di questo amore e provare sentimenti addirittura materni nei confronti degli altri, ora Gesù mette in guardia i suoi discepoli da quei rischi sempre presenti in ogni comunità, ed erano i rischi della spiritualità farisaica, quello della pretesa dei discepoli di mettersi a fare la guida e il maestro degli altri. No, nella comunità di Gesù c’è una sola guida e un solo maestro: il Cristo.

Allora Gesù nel suo insegnamento dice ai discepoli Può forse un cieco guidare un altro cieco? Ecco, già la sola pretesa di essere la guida dell’altro rende cieca la persona. Il credente non è chiamato a fare da guida, l’unica guida è il Cristo, ma il credente è compagno, compagno di viaggio che sostiene l’altro, lo incoraggia, ma non la guida. E dice Gesù Se un cieco guida un altro ceco cadono tutte e due nella fossa incorrendo in quella che era la maledizione biblica del libro del Deuteronomio “maledetto chi fa smarrire il cammino al cieco”

E poi Gesù di nuovo mette in guardia, ma ora poi riprenderà il discorso della cecità, un discepolo non è più del maestro, ma ognuno che sia ben preparato sarà come il suo maestro. Gesù invita il discepolo a crescere, a diventare indipendente, a essere realizzato nella persona e non avere più bisogno di un maestro perché è lo Spirito che ti guida. Dio, il Padre di Gesù, non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando interiormente il suo Spirito che lo rende libero e indipendente.

Ma Gesù torna di nuovo sul tema della cecità e spiega qual è, Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? La pretesa di essere guida, maestro dell’altro può portare a correggere quelle che Gesù dice sono delle minuzie e il fatto che tu pretendi di correggere l’altro è perché c’hai una trave conficcata nel tuo. Allora Gesù continua in maniera ironica Come puoi dire a tuo fratello lascia che ti tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Come si fa a non vedere una trave che è nell’occhio? È la trave che è nell’occhio che fa vedere la pagliuzza negli occhi dei fratelli, ma non vedere la trave nell’occhio significa una presunzione, un senso di superiorità; è quella che Gesù definisce una ipocrisia.

E Gesù invita, ma apparentemente perché poi scoraggia, togli prima la trave nel tuo occhio e allora ci vedrei bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. È quella che nella spiritualità si chiama la correzione fraterna, ma quando uno è riuscito a togliersi la trave che ha conficcato nell’occhio gli passa la voglia di andare a cercare le pagliuzze negli occhi dei fratelli. E poi Gesù dà un criterio per l’autenticità del discepolo, quali sono? Sono i frutti. Quando questi frutti sono di vita, arricchiscono la vita, comunicano vita vengono da Dio. Gesù fa l’esempio comprensibile a tutti Non vi è albero buono, letteralmente bello, continua Luca con questa immagine del bello, che produca un frutto cattivo, è ovvio, né vi è d’altronde un albero cattivo che produca un frutto buono, bello. Quindi il criterio dell’autenticità non è la dottrina, l’ortodossia, ma il frutto che si produce. Se uno stile di vita, se un messaggio produce vita, arricchisce la vita degli altri viene senz’altro da Dio perché Dio è l’autore della vita.

E conclude Gesù l’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore, il cuore in quella cultura è la mente, è la coscienza, trae fuori il bene. Cosa significa questo? Chi si alimenta di bene inevitabilmente produce il bene per gli altri. Ecco perché è importante alimentarsi soltanto di quello che Luca parla del bello, del buono perché quello che in noi diventa fonte di alimento poi è quello che produce alimento per gli altri. E, la liturgia non ce l’ha, ma c’è il versetto 46 che è importante, perché mi chiamate Signore Signore e poi non fate quel che vi dico? Ecco quello che chiama Signore Signore, cioè perfetta dottrina, perfetta ortodossia, ma poi non fa quello che dice Gesù per Gesù è una persona inutile. E allora questo è quello che l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro tira fuori il male. Quindi è un invito da parte di Gesù di mettersi sempre a fianco del bello, alimentarsi del bello per essere persone belle che trasmettono il buono agli altri.

p. Alberto Maggi
Il dialogo