Letture: 1 Re 19, 16.19-21; Salmo 15; Galati 5, 1.13-18; Luca 9, 51-62
Sulla trama dell’ultimo viaggio, un villaggio di Samaria rifiuta di accogliere Gesù. Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? Eterna tentazione di farla pagare a qualcuno, la propria sconfitta. Gesù si volta, li rimprovera e si avvia verso un altro villaggio. Nella concisione di queste poche parole appare la grande forza interiore di Gesù, che non si deprime per un fallimento, non si esalta per un successo, non ricerca né il consenso né il dissenso, ma il senso: portare vangelo. Andiamo in un altro villaggio! appena oltre, un cuore è pronto per il sogno di Dio, una casa c’è cui augurare pace, un lebbroso grida di essere guarito. Gesù difende quei samaritani per difenderci tutti. Per lui l’uomo viene prima della sua fede, la persona conta più delle sue idee. E guai se ci fosse un attributo: ricco o fariseo, zelota o scriba; è un uomo e questo basta. Il vangelo prosegue con una piccola catechesi sulla sequela.
Il primo a venire incontro è un generoso: Ti seguirò, dovunque tu vada! Gesù deve avere gioito per lo slancio, per l’entusiasmo giovane di quest’uomo. Eppure risponde: Pensaci. Neanche un nido, neanche una tana. Ti va di posare il capo sulla strada? Il secondo riceve un invito diretto: Seguimi! E lui: sì, ma lascia che prima seppellisca mio padre. La richiesta più legittima, dovere di figlio, sacro compito di umanità. Gesù replica con parole tra le più spiazzanti: Lascia che i morti seppelliscano i morti! Perché è possibile essere dei morti dentro, vivere una vita che non è vita. Parole dure, cui però segue l’invito: tu vuoi vivere davvero? Allora vieni con me! Il Vangelo è sempre una addizione di bellezza, un incremento di umanità, promessa di vita piena.
Terzo dialogo: ti seguirò, Signore, ma prima lascia che vada a salutare quelli di casa. Ancora un “ma”, così umano che anche i profeti (Eliseo) l’hanno fatto proprio. E Gesù: chi pone mano all’aratro e poi si volge indietro, non è adatto al Regno. Hai davanti i campi della vita, non voltarti indietro: sulle sconfitte di ieri, sugli obiettivi mancati, sui cocci rimasti, sul male subito o compiuto, neppure con la scusa di fare penitenza, perché saresti sempre lì a mettere al centro te stesso: «non consultarti con le tue paure ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non pensate alle vostre frustrazioni ma al potenziale non realizzato ancora. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito ma di ciò che vi è ancora possibile fare” (Giovanni XXIII). Uomo d’aratro è ogni discepolo. Sarà un solco forse poco profondo, il mio; forse un solco poco diritto, ma il mio ci sarà. Il mio piccolo solco non mancherà. Poi passerà il Signore a seminare di vita i campi della vita.
P. Ermes Ronchi
Avvenire
Seguire Gesù è un impegno che esige sacrificio, fedeltà e perseveranza. Non basta una risposta occasionale. E allora, come possiamo seguire il nostro Maestro e Redentore? A questa domanda risponde il vangelo odierno. Il brano si apre con un’annotazione importante: «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». Inizia qui la parte centrale del vangelo secondo Luca, quella in cui Gesù persegue il suo cammino verso la città santa con estrema risolutezza, raccogliendo tutte le sue forze per far fronte alle difficoltà che lo attendono. Luca scrive che egli «mandò messaggeri davanti a sé». Gesù, dunque, invia avanti a sé alcuni messaggeri incaricati di annunciare il suo passaggio ma questi, giunti in un villaggio samaritano, vengono respinti a causa di un’antica rivalità religiosa tra i giudei e gli stessi samaritani. Non sempre Gesù è accolto con favore; quel che è certo, invece, è la sua volontà di non vendicarsi, di non reagire con la violenza allo sgarbo ricevuto. Ma questo non è l’atteggiamento spontaneo dei suoi discepoli che, rappresentati da Giacomo e Giovanni, gli impetuosi «figli del tuono» (cf Mc 3, 17), vorrebbero far scendere un fuoco dal cielo su chi li ha respinti: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?».
E qui Luca ha l’occasione di mostrare la misericordia del Signore, che gli apostoli sono ancora lontani dal comprendere. Il profeta Elia (cf 2Re 1, 10.12) aveva invocato un fuoco dal cielo, che per due volte bruciò cinquanta soldati mandati dal re a prenderlo. I due fratelli, Giacomo e Giovanni, vorrebbero la stessa cosa per i samaritani, poco accoglienti. Ma il Signore, che pregherà per i suoi crocifissori, è diverso da Elia e li rimprovera: «si voltò e li rimproverò». È lo stesso verbo che viene usato per scacciare i demòni, perché la proposta dei due apostoli è diabolica. Gesù, quindi, non risponde all’ostilità con l’ostilità: egli insegna e vive radicalmente quell’amore per il nemico (cf Lc 6, 27-35), e così mostra a chi lo segue come non si debba mai cadere nella terribile logica della «vendetta». Il discepolo di Gesù Cristo è sempre e solo chiamato a fare il bene, anche nei confronti di chi lo osteggia!
Durante questo cammino verso Gerusalemme, Luca ci presenta tre possibili discepoli: il primo e il terzo si propongono mentre il secondo viene chiamato da Gesù. Al primo individuo che dice: «Ti seguirò dovunque tu vada», Gesù sembra scoraggiarlo, insistendo sulla sua condizione itinerante. L’evangelista, infatti, scrive che Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Con questa risposta, il Maestro sente il bisogno di chiarire che con lui non si fa carriera e non si guadagnano onori e soldi perché è povero e rimarrà tale e chi vuole seguirlo avrà lo stesso tipo di vita. Al secondo è Gesù stesso che indirizza la sua chiamata: «Seguimi», ma si sente rispondere: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». La risposta di Gesù è netta: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Ciò significa che di fronte alla sua chiamata non c’è più tempo nemmeno per adempiere ai doveri di pietà familiare, molto importante nell’Antico Testamento (cf Es 20, 12; Tb 4, 3).
Bisogna dare il primato a Gesù, pertanto, la pietà filiale deve cedere il posto alla necessità di annunciare la vita eterna a tutti gli uomini che corrono il rischio di perderla per sempre. Vi è infine un terzo che dice a Gesù: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia», ma Gesù gli risponde: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». A costui il Signore fa notare che le esigenze del regno di Dio sono superiori a quelle della famiglia naturale e chi non è disposto a riconoscerlo non è adatto a predicare la venuta del Regno. Anche qui c’è un riferimento all’Antico Testamento: Elia quando chiamò Eliseo a seguirlo, questi chiese di avere il tempo di congedarsi dai familiari e il profeta lo concesse: «Elia trovò Eliseo. […] Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elia, passandogli vicino, gli gettò il suo mantello. Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elia, dicendogli: “Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò”. Elia disse: “Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te”» (I Lettura).
Ebbene, Gesù ha esposto con franchezza le esigenze della sua sequela, valide per tutti i cristiani. Come rispondere alla chiamata che nasce dal suo amore per noi? Con l’amore: amando Gesù al di sopra di tutto, più di ogni altro nostro amore (cf Mt 10, 37), e attraverso di lui gli altri, anche i nostri nemici. Ma per fare questo occorre considerare il Signore Gesù come il tesoro prezioso della nostra vita (cf Mt 13, 44) e ritenere che valga la pena vivere come lui ha vissuto. Del resto Gesù ha detto chiaramente: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (cf Lc 9, 24).
Don Lucio D’Abbraccio
XIII domenica
Tempo ordinario, Anno C
Letture: 1 Re 19, 16.19-21; Salmo 15; Galati 5, 1.13-18; Luca 9, 51-62
Sulla trama dell’ultimo viaggio, un villaggio di Samaria rifiuta di accogliere Gesù. Vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? Eterna tentazione di farla pagare a qualcuno, la propria sconfitta. Gesù si volta, li rimprovera e si avvia verso un altro villaggio. Nella concisione di queste poche parole appare la grande forza interiore di Gesù, che non si deprime per un fallimento, non si esalta per un successo, non ricerca né il consenso né il dissenso, ma il senso: portare vangelo. Andiamo in un altro villaggio! appena oltre, un cuore è pronto per il sogno di Dio, una casa c’è cui augurare pace, un lebbroso grida di essere guarito. Gesù difende quei samaritani per difenderci tutti. Per lui l’uomo viene prima della sua fede, la persona conta più delle sue idee. E guai se ci fosse un attributo: ricco o fariseo, zelota o scriba; è un uomo e questo basta. Il vangelo prosegue con una piccola catechesi sulla sequela.
Il primo a venire incontro è un generoso: Ti seguirò, dovunque tu vada! Gesù deve avere gioito per lo slancio, per l’entusiasmo giovane di quest’uomo. Eppure risponde: Pensaci. Neanche un nido, neanche una tana. Ti va di posare il capo sulla strada? Il secondo riceve un invito diretto: Seguimi! E lui: sì, ma lascia che prima seppellisca mio padre. La richiesta più legittima, dovere di figlio, sacro compito di umanità. Gesù replica con parole tra le più spiazzanti: Lascia che i morti seppelliscano i morti! Perché è possibile essere dei morti dentro, vivere una vita che non è vita. Parole dure, cui però segue l’invito: tu vuoi vivere davvero? Allora vieni con me! Il Vangelo è sempre una addizione di bellezza, un incremento di umanità, promessa di vita piena.
Terzo dialogo: ti seguirò, Signore, ma prima lascia che vada a salutare quelli di casa. Ancora un “ma”, così umano che anche i profeti (Eliseo) l’hanno fatto proprio. E Gesù: chi pone mano all’aratro e poi si volge indietro, non è adatto al Regno. Hai davanti i campi della vita, non voltarti indietro: sulle sconfitte di ieri, sugli obiettivi mancati, sui cocci rimasti, sul male subito o compiuto, neppure con la scusa di fare penitenza, perché saresti sempre lì a mettere al centro te stesso: «non consultarti con le tue paure ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non pensate alle vostre frustrazioni ma al potenziale non realizzato ancora. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito ma di ciò che vi è ancora possibile fare” (Giovanni XXIII). Uomo d’aratro è ogni discepolo. Sarà un solco forse poco profondo, il mio; forse un solco poco diritto, ma il mio ci sarà. Il mio piccolo solco non mancherà. Poi passerà il Signore a seminare di vita i campi della vita.
P. Ermes Ronchi
Avvenire
Seguire Gesù è un impegno che esige sacrificio, fedeltà e perseveranza. Non basta una risposta occasionale. E allora, come possiamo seguire il nostro Maestro e Redentore? A questa domanda risponde il vangelo odierno. Il brano si apre con un’annotazione importante: «Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». Inizia qui la parte centrale del vangelo secondo Luca, quella in cui Gesù persegue il suo cammino verso la città santa con estrema risolutezza, raccogliendo tutte le sue forze per far fronte alle difficoltà che lo attendono. Luca scrive che egli «mandò messaggeri davanti a sé». Gesù, dunque, invia avanti a sé alcuni messaggeri incaricati di annunciare il suo passaggio ma questi, giunti in un villaggio samaritano, vengono respinti a causa di un’antica rivalità religiosa tra i giudei e gli stessi samaritani. Non sempre Gesù è accolto con favore; quel che è certo, invece, è la sua volontà di non vendicarsi, di non reagire con la violenza allo sgarbo ricevuto. Ma questo non è l’atteggiamento spontaneo dei suoi discepoli che, rappresentati da Giacomo e Giovanni, gli impetuosi «figli del tuono» (cf Mc 3, 17), vorrebbero far scendere un fuoco dal cielo su chi li ha respinti: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?».
E qui Luca ha l’occasione di mostrare la misericordia del Signore, che gli apostoli sono ancora lontani dal comprendere. Il profeta Elia (cf 2Re 1, 10.12) aveva invocato un fuoco dal cielo, che per due volte bruciò cinquanta soldati mandati dal re a prenderlo. I due fratelli, Giacomo e Giovanni, vorrebbero la stessa cosa per i samaritani, poco accoglienti. Ma il Signore, che pregherà per i suoi crocifissori, è diverso da Elia e li rimprovera: «si voltò e li rimproverò». È lo stesso verbo che viene usato per scacciare i demòni, perché la proposta dei due apostoli è diabolica. Gesù, quindi, non risponde all’ostilità con l’ostilità: egli insegna e vive radicalmente quell’amore per il nemico (cf Lc 6, 27-35), e così mostra a chi lo segue come non si debba mai cadere nella terribile logica della «vendetta». Il discepolo di Gesù Cristo è sempre e solo chiamato a fare il bene, anche nei confronti di chi lo osteggia!
Durante questo cammino verso Gerusalemme, Luca ci presenta tre possibili discepoli: il primo e il terzo si propongono mentre il secondo viene chiamato da Gesù. Al primo individuo che dice: «Ti seguirò dovunque tu vada», Gesù sembra scoraggiarlo, insistendo sulla sua condizione itinerante. L’evangelista, infatti, scrive che Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Con questa risposta, il Maestro sente il bisogno di chiarire che con lui non si fa carriera e non si guadagnano onori e soldi perché è povero e rimarrà tale e chi vuole seguirlo avrà lo stesso tipo di vita. Al secondo è Gesù stesso che indirizza la sua chiamata: «Seguimi», ma si sente rispondere: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». La risposta di Gesù è netta: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Ciò significa che di fronte alla sua chiamata non c’è più tempo nemmeno per adempiere ai doveri di pietà familiare, molto importante nell’Antico Testamento (cf Es 20, 12; Tb 4, 3).
Bisogna dare il primato a Gesù, pertanto, la pietà filiale deve cedere il posto alla necessità di annunciare la vita eterna a tutti gli uomini che corrono il rischio di perderla per sempre. Vi è infine un terzo che dice a Gesù: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia», ma Gesù gli risponde: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». A costui il Signore fa notare che le esigenze del regno di Dio sono superiori a quelle della famiglia naturale e chi non è disposto a riconoscerlo non è adatto a predicare la venuta del Regno. Anche qui c’è un riferimento all’Antico Testamento: Elia quando chiamò Eliseo a seguirlo, questi chiese di avere il tempo di congedarsi dai familiari e il profeta lo concesse: «Elia trovò Eliseo. […] Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il dodicesimo. Elia, passandogli vicino, gli gettò il suo mantello. Quello lasciò i buoi e corse dietro a Elia, dicendogli: “Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò”. Elia disse: “Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te”» (I Lettura).
Ebbene, Gesù ha esposto con franchezza le esigenze della sua sequela, valide per tutti i cristiani. Come rispondere alla chiamata che nasce dal suo amore per noi? Con l’amore: amando Gesù al di sopra di tutto, più di ogni altro nostro amore (cf Mt 10, 37), e attraverso di lui gli altri, anche i nostri nemici. Ma per fare questo occorre considerare il Signore Gesù come il tesoro prezioso della nostra vita (cf Mt 13, 44) e ritenere che valga la pena vivere come lui ha vissuto. Del resto Gesù ha detto chiaramente: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (cf Lc 9, 24).
Don Lucio D’Abbraccio