XVI domenica

Tempo ordinario, Anno C

Letture: Genesi 18,1-10; Salmo 14; Colossesi 1,24-28; Luca 10,38-42

La casa è piena di gente, ci sono Gesù e i suoi; Maria, la giovane, seduta ai piedi dell’amico, i discepoli intorno, forse Lazzaro tra loro; Marta, la generosa, è nella sua cucina, alimenta il fuoco, controlla le pentole, si alza, passa e ripassa davanti al gruppo a preparare la tavola, affaccendata per tutti. Maria seduta ascoltava Gesù. Un uomo che profuma di cielo e una donna, seduti vicinissimi. Una scena di maestro-discepola così inconsueta per gli usi del tempo che pare quasi un miracolo. Tutti i pregiudizi sulle donne saltati in aria, rotti gli schemi. Presi l’uno dall’altra: lui totalmente suo, lei totalmente sua. La immagino incantata davanti alle parole del maestro e amico, come se fosse la prima volta. Conosciamo tutti il miracolo della prima volta. Poi, lentamente ci si abitua. L’eternità invece è non abituarsi mai, è il miracolo della prima volta che si ripete sempre, come nella casa dell’amicizia, a Betania. E poi c’è Marta, la padrona di casa, tutto compresa del suo ruolo santo.

Gli ospiti sono come angeli e c’è da offrire loro il meglio; teme di non farcela e allora “si fa avanti”, con la libertà dell’amicizia, e s’interpone tra Gesù e la sorella: “dille che mi aiuti!”. Gesù l’ha seguita con gli occhi, ha visto il riverbero della fiamma sul suo volto, ha ascoltato i rumori di là, sentito l’odore del fumo e del cibo quando lei passava, era come se fosse stato con Marta, in cucina. In quel luogo che ci ricorda il nostro corpo, il bisogno del cibo, la lotta per la sopravvivenza, il gusto delle cose buone, la trasformazione dei doni della terra e del sole ( J. Tolentino). Affettuosamente le risponde: Marta, Marta, tu ti affanni per troppe cose. Gesù non contraddice il servizio ma l’affanno; non contesta il suo cuore generoso ma il fare frenetico, che vela gli occhi. Riprendi il ritmo del cuore, del respiro, del flusso del sangue; abbi il coraggio di far volare più lente le tue mani, altrimenti tutto il tuo essere entra in uno stato di disagio e di stress.

Maria ha scelto la parte buona: Marta non si ferma un minuto, Maria invece è seduta, occhi liquidi di felicità; Marta si agita e non può ascoltare, Maria nel suo apparente “far niente” ha messo al centro della casa Gesù, l’amico e il profeta. Doveva bruciar- le il cuore quel giorno. Le due sorelle di Betania tracciano i passi della fede vera: passare dall’affanno di ciò che devo fare per Dio, allo stupore di ciò che Lui fa per me. I passi della fede di ogni credente: passare da Dio come dovere a Dio come stupore. Io sono Marta, io sono Maria; dentro di me le due sorelle si tengono per mano; battono i loro due cuori: il cuore dell’ascolto e il cuore del servizio.

P. Ermes Ronchi
Avvenire

 

Non possiamo leggere il racconto evangelico di questa liturgia non tenendo presente quanto Gesù ci ha insegnato proprio con la parabola del buon samaritano che precede questi versetti. Si comprendono e illuminano a vicenda in quella maestria che ha Luca di porre accanto delle situazioni che sembrano sempre agli antipodi. Gesù entra in questa casa di Betania, accolto con generosità da Marta che, da brava donna di casa, compie il suo dovere. Maria, sua sorella, invece di aiutarla nei lavori di casa che spettano alla donna, si siede ai piedi di Gesù e ascolta la sua parola. Questo gesto di Maria, che rompe con le consuetudini e fa di Maria una discepola (lo stare seduti su una stuoia ai piedi di un rabbi era infatti la formula tradizionale del discepolato maschile) crea però una tensione. “Dille dunque che mi aiuti”. Marta è colei che sa cosa deve fare, ha l’iniziativa ed è risucchiata in giro di qua e di là. Per lei la presenza del Signore rischia di diventare solo fatica. Doveri, obblighi per servirlo, che sia contento di lei.

Quante volte ognuno di noi si identifica con Marta: ci impegniamo, programmiamo, facciamo. Ci convinciamo che più diamo qualcosa (cose materiali, tempo, affetto) più avremo il diritto a ricevere una ricompensa. Non capita spesso, poi, sentendoci lasciati soli, stanchi, di sfogarci nelle nostre preghiere come fa Marta: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti»? Probabilmente quando arriviamo a questo punto è perché non abbiamo chiaro il centro della questione. Siamo ancora in quella logica tutta umana del “niente è gratuito”. Marta non è occupata dalla Presenza del Signore, come Maria, ma è preoccupata, distratta dai suoi progetti, dai suoi doveri, dal suo ruolo. Difficilissima conversione è quella di Marta che è quella di ogni discepolo in fondo: il centro religioso di Marta è ancora il proprio io che vuole fare tante cose per Dio. Come anche Pietro che era disposto a dare la vita per Gesù. Deve capire che è Gesù a morire per lui. Questo è essere cristiano. Non è che io devo amare Dio. È Dio che mi ama infinitamente.

Ora, rispondendo, le disse il Signore: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Rispondendo il Signore le disse: Marta, Marta cioè la chiama due volte (come Mosè, Mosè; Samuele, Samuele; Saulo, Saulo). Sono le grandi vocazioni! Gesù tiene molto a Marta perché è quella che ha più bisogno di vivere nella libertà che lui viene a portare, la libertà della gratuità dell’amore. Si può dire che Marta è chiamata più che richiamata. Sebbene Gesù abbia una destinazione chiara, cioè Gerusalemme e il suo esodo pasquale, questo cammino presenta anche soste ed incontri che diventano occasioni propizie per provocare sequele più mature. Gesù chiama Marta nuovamente a Lui, al centro motore di tutto il nostro vivere: servire. Il problema è la distrazione: quel cibo dice relazione o no. Marta è distratta, non c’è relazione, come il sacerdote e il levita sono distratti, sono dall’altra parte della strada innanzi al malcapitato. Gesù sta per salire a Gerusalemme e cerca il calore e l’affetto della casa dei suoi amici, cerca dei discepoli e delle discepole, non cerca cose.

Di una sola cosa c’è necessità. L’unica cosa necessaria è l’amore di Dio per noi, che ci fa essere ciò che siamo. E fa Dio essere quello che è Lui: Lui è amore e noi esseri amati. Nella misura in cui siamo amati possiamo amare e diventiamo uguali a Lui. È Lui il primo che ci dona qualcosa, anzi che si dona a noi. Maria capisce tutto ciò. Capisce che ciò di cui ha davvero bisogno è lasciarsi amare senza dover prima dimostrare qualcosa. Solo quando ci renderemo conto che la parte migliore non va guadagnata ma va solo accolta, potremo davvero fermarci come Maria e godere appieno di ciò che il Signore vuole donare a ognuno di noi. Il discepolo non è solo quello che ha cura dell’altro, ma è anche colui che è attento alla cura che Dio ha per lui, vorrebbe dire Luca. Se non dimentichiamo come questo racconto sia legato alla parabola del buon samaritano che lo precede potremmo concludere che Maria è colei che si è accorta della presenza di Gesù che è lì e della parola di Gesù che è parola di guarigione. Il samaritano cura versando olio, Gesù cura con il suo insegnamento. Lì l’umanità ferita, qui l’umanità in ascolto.

Monastero di Sant’Agata Feltria