XXIII domenica

Tempo ordinario, Anno C

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. […]»

Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre… e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù non instaura una competizione di sentimenti per le sue creature, perché sa che da questa ipotetica gara di emozioni non uscirebbe vincitore, se non presso pochi eroi o santi, dalla fede di fiamma. Ci ricorda invece che per creare un mondo nuovo, quello che è il sogno del Padre, ci vuole una passione forte almeno quanto quella degli amori familiari. È in gioco un nuovo modo di vivere le relazioni umane: mentre noi puntiamo a cambiare l’economia, Gesù vuole cambiare l’uomo.

Lo fa puntando tutto sull’amore, e con parole che sembrano eccessive, sembrano cozzare contro la bellezza e la forza degli affetti, perché la felicità di questa vita non sappiamo dove pesarla se non sul dare e sul ricevere amore. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non «ama di più». Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un «di più». Il discepolo è colui che sulla bellezza dei suoi amori stende una più grande bellezza. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento, non una esclusione ma una aggiunta: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello e vitale.

Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare. Seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me… La croce: e noi la pensiamo metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, di una malattia da sopportare, o addirittura del perdere la vita. In realtà la vita si perde come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia. Per cui il vero dramma non è morire, ma non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena spendere la vita.

Nel Vangelo la croce è la sintesi dell’intera storia di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce. Prendi su di te una porzione grande di amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami. Terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Perché la tua vita non dipende dai tuoi beni, «un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti. Un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi). Gesù chiede sì una rinuncia, ma a ciò che impedisce il volo. Chi lo fa, scopre che «rinunciare per Te è uguale a fiorire» (M. Marcolini).

Letture: Sapienza 9,13-18; Salmo 89; Filemone 1,9-10.12-17; Luca 14,25-33

Ermes Ronchi
Avvenire

 

Nel vangelo di questa domenica Luca presenta le tre radicali condizioni che Gesù ha posto a quanti lo vogliono seguire. Il contesto qual è? Gesù sta andando verso Gerusalemme ed è seguito da tanta gente che, per un malinteso senso del messia, lo segue pensando poi di andare a spartirsi il potere e il bottino. Pensano che Gesù sia il glorioso messia, il figlio di Davide, che va a restaurare il defunto regno di Israele, e non hanno compreso che Gesù è il figlio di Dio, quello che non va a togliere il potere, ma a donare la propria vita a Gerusalemme. E scrive l’evangelista, vangelo di Luca, cap. 14 versetti 25-33, che “una folla numerosa” – molta folla – “andava con lui”.

Allora Gesù, sentendo questo equivoco, questa gente che lo segue per un malinteso senso, per l’interesse, “si voltò e disse loro …” – ed è la prima radicale condizione – “«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la propria vita…»” – in greco adopera il termine yuc» (psyché) che significa ‘se stesso’ – “«non può essere mio discepolo». Gesù in precedenza denunciando, al pranzo con il fariseo, i legami di interesse che legavano questa cricca, questa setta, e i legami dettati dall’amicizia, dalla parentela, dagli interessi; ebbene, nel gruppo di Gesù tutto questo deve essere sciolto.

Talmente sciolto che l’adesione a Gesù deve andare al di là dei vincoli familiari, e, in particolare, c’è l’immagine della moglie perché nella parabola che Gesù in precedenza ha comunicato ai suoi, uno degli ostacoli che uno presenta per andare a questo banchetto del regno è “ho preso moglie perciò non posso venire”. Quindi la prima condizione radicale è che l’adesione a lui deve andare al di sopra dei vincoli familiari, tutto il contrario di quello della cricca, della setta dei farisei, dove tutto si faceva per l’interesse del gruppo.

La seconda condizione radicale è l’accettazione del disprezzo della società e quindi la grande solitudine. Infatti, afferma Gesù, “«Colui che non porta la propria croce»” – letteralmente “chi non solleva la propria croce” – “«E non viene dietro a me, non può essere mio discepolo»”. E’ la seconda volta che appare il tema della croce, tema che, ricordo, non riguarda mai la sofferenza, i momenti tristi che la vita inevitabilmente fa incontrare – mai la croce nei vangeli ha questo significato – ma sollevare la croce significa accettare il disprezzo della società perché quelli che venivano condannati a questa infamia erano considerati la feccia della società. E, in particolare, Gesù si rifà al momento preciso in cui il condannato doveva lui sollevare l’asse orizzontale della croce. Da quel momento doveva andare verso il luogo dell’esecuzione circondato da ali di folla per le quali era un dovere religioso insultare e malmenare il condannato. Quindi la seconda condizione radicale è accettare la solitudine e il disprezzo da parte della società.

Poi Gesù, con due esempi che riguardano la torre e la guerra, chiede di calcolare le proprie forze però – ed è questo l’importante – non vuole scoraggiare chi non ha forza, ma di mettere la propria forza nell’azione dello Spirito. Quindi sapere i propri limiti e proprio per questo contare su quella che è la potenza per eccellenza di Gesù, la forza dello Spirito. E lo shock, la sorpresa finale, a quanti lo seguono per spartirsi il bottino dichiara: “«Così chiunque di voi»” – e qui a chi si attendeva chissà quale consiglio spirituale, chissà quale norma ascetica, Gesù pone come condizione per essere discepolo, la terza – “«Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»”.

La rinuncia a tutto quello che si possiede, non mettere la sicurezza in quello che si ha, ma mettere la propria sicurezza in quello che si dà, perché Gesù vuole al suo seguito soltanto persone libere. Infatti le tre condizioni per la sequela sono tutte scelte di libertà e per la libertà. In particolare questo fatto della rinuncia agli averi si rifà a quanto Gesù aveva detto in precedenza nella parabole, dove tra i pretesti per non partecipare a questo banchetto c’era quello che ha detto “ho comprato un campo” e l’altro “ho comprato cinque paia di buoi”. Quindi il possesso degli averi di quello che si ha è un impedimento. Bene, allora sono tre condizioni radicali, tutte quante all’insegna della libertà; soltanto chi è pienamente libero può seguire il Signore. Gli altri? Gli altri tutti a casa.

p. Alberto Maggi
Il dialogo