Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. […]
Dieci lebbrosi che la sofferenza ha riunito insieme, che si appoggiano l’uno all’altro. Appena Gesù li vide… Notiamo il dettaglio: appena li vide, subito, spinto dalla fretta di chi vuole bene, disse loro: andate dai sacerdoti e mostrate loro che siete guariti! I dieci si mettono in cammino e sono ancora malati; la pelle ancora germoglia piaghe, eppure partono dietro a un atto di fede, per un anticipo di fiducia concesso a Dio e al proprio domani, senza prove: «La Provvidenza conosce solo uomini in cammino» (san Giovanni Calabria), navi che alzano le vele per nuovi mari.
I dieci lebbrosi credono nella salute prima di vederla, hanno la fede dei profeti che amano la parola di Dio più ancora della sua attuazione, che credono nella parola di Dio prima e più che alla sua realizzazione. E mentre andavano furono guariti. Lungo il cammino, un passo dopo l’altro la salute si fa strada in loro. Accade sempre così: il futuro entra in noi con il primo passo, inizia molto prima che accada, come un seme, come una profezia, come una notte con la prima stella, come un fiume con la prima goccia d’acqua. E furono guariti.
Il Vangelo è pieno di guariti, sono il corteo gioioso che accompagna l’annuncio di Gesù: Dio è qui, è con noi, coinvolto nelle piaghe dei dieci lebbrosi e nello stupore dell’unico che ritorna cantando. E al quale Gesù dice: la tua fede ti ha salvato!. Anche gli altri nove che non tornano hanno avuto fede nelle parole di Gesù. Dove sta la differenza? Il samaritano salvato ha qualcosa in più dei nove guariti. Non si accontenta del dono, lui cerca il Donatore, ha intuito che il segreto della vita non sta nella guarigione, ma nel Guaritore, nell’incontro con lo stupore di un Dio che ha i piedi nel fango delle nostre strade, e gli occhi sulle nostre piaghe. Nessuno si è trovato che tornasse a rendere gloria a Dio?
Ebbene «gloria di Dio è l’uomo vivente» (sant’Ireneo). E chi è più vivente di questo piccolo uomo di Samaria? Lui, il doppiamente escluso, che torna guarito, gridando di gioia, danzando nella polvere della strada, libero come il vento? Non gli basta tornare dai suoi, alla sua famiglia, travolto da questa inattesa piena di vita, vuole tornare alla fonte da cui è sgorgata. Altro è essere guariti, altro essere salvati. Nella guarigione si chiudono le piaghe, ma nella salvezza si apre la sorgente, entri in Dio e Dio entra in te, come pienezza. I nove guariti trovano la salute; l’unico salvato trova il Dio che dona pelle di primavera ai lebbrosi, che fa fiorire la vita in tutte le sue forme, e la cui gloria è l’uomo vivente, «l’uomo finalmente promosso a uomo» (P. Mazzolari).
Letture: 2 Re 5,14-17; Salmo 97; 2 Timoteo 2,8-13; Luca 17,11-19
Ermes Ronchi
Avvenire
Nel vangelo di Luca, il viaggio verso Gerusalemme occupa un’ampia sezione caratterizzata da insegnamenti attraverso parabole e azioni sul tema della sequela, della preghiera, dell’amore, del rapporto col denaro. È un invito ad entrare nel Regno, ad operare la conversione a Dio a partire dalla solidarietà coi poveri e gli esclusi, a conformare la vita a Cristo nostra salvezza. Gesù è in cammino tra la Galilea e la Samaria (v.11). Il ministero pubblico di Gesù si svolge prevalentemente in Galilea, terra di confine, luogo di incontro tra popoli, dove vi è una mentalità più aperta e disponibile ad accogliere la buona notizia. Egli si muove senza sosta, per incontrare soprattutto gli ultimi e gli emarginati, attraversando anche la Samaria, regione nemica di eretici e scismatici. In questo modo, Gesù si apre all’umanità intera, raggiungendo coloro che sono lontani, “le periferie esistenziali e gli scarti” secondo le parole di papa Francesco.
Al centro del brano odierno vi è l’incontro con un gruppo di lebbrosi (v. 12). Essi, secondo le severe prescrizioni dell’Antico Testamento, erano ritenuti impuri e per questo esclusi da ogni culto; con loro non poteva ammettersi alcun tipo di relazione o contatto, essendo relegati al di fuori della vita sociale (il genio di Pirandello, anche se in un contesto completamente diverso, espresse una tale radicale esclusione dalla comunità con la frase “morto per la vita, vivo per la morte”).
Secondo il rito previsto da Lv 14 il lebbroso poteva essere reinserito nella società solo se il sacerdote ne riconosceva la guarigione. Ciò spiega il senso delle parole di Gesù al v. 14. La lebbra, come le altre malattie era considerata punizione/maledizione divina, ma peggio delle altre comportava sia l’emarginazione fisica che quella psichica. Infatti, le piaghe e le ulcere,sfigurando i tratti e offuscando la bellezza della persona, rimando e lode al Signore, erano segno di abbandono anche da parte di Dio.
La ripugnanza esteriore era considerata rivelativa di un gravissimo decadimento morale: secondo la mentalità dell’epoca vi era un profondo legame tra malattia e peccato e non si faceva distinzione tra peccato e peccatore. Per questo era il sacerdote ad accertarne lo stato, scongiurando in tal modo ogni contagio sia fisico che spirituale. L’evangelista parla infatti di purificazione, liberazione (v.14). Due aspetti vengono sottolineati dall’evangelista: l’identità dell’unico che torna per rendere gloria a Dio ringraziando Gesù, letteralmente facendo eucarestia (v.16) e la dichiarazione sulla fede (v. 19). Il samaritano che ritorna prefigura l’accoglienza che gli altri popoli riserveranno alla Parola rispetto alla maggioranza dei giudei (Commentario del Nuovo testamento D. Marguerat) ed è espressione dell’apertura all’universalità della salvezza.
Fin dall’Antico Testamento la misericordia di Dio è verso tutti gli uomini e la grazia non è esclusività di Israele, come Gesù proclama in Lc 4, 23-25 ricordando il miracolo del profeta Elia per la vedova di Sarepta di Sidone e la guarigione da parte di Eliseo del lebbroso Naamàn il Siro (I lettura). E come afferma dopo aver guarito il servo del centurione romano, miracolo che similmente a quello di oggi si svolge a distanza senza parole o gesti: “neanche in Israele ho trovato una fede così grande!” (Lc 7, 1-10).
È proprio la fede in Cristo, unico e definitivo mediatore di Dio, a rivelare il senso di questa guarigione prodigiosa, essa è “segno” della divinità di Gesù e preannuncio della vittoria sulla malattia e sulla morte. Riconoscerlo Signore significa rendere gloria a Dio (v.18) e accedere alla salvezza (v.19). Grazie alla fede solo il samaritano, passa dalla guarigione alla salvezza. Se per i nove la guarigione riguarda solo la dimensione fisica e corporale (Gesù Taumaturgo), per l’unico “straniero” si apre l’orizzonte della salvezza che riguarda l’integrità della persona nella sua dimensione fisica e spirituale (Gesù Salvatore).
Monica
Comunità Kairòs
XXVIII domenica
Tempo ordinario, Anno C
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. […]
Dieci lebbrosi che la sofferenza ha riunito insieme, che si appoggiano l’uno all’altro. Appena Gesù li vide… Notiamo il dettaglio: appena li vide, subito, spinto dalla fretta di chi vuole bene, disse loro: andate dai sacerdoti e mostrate loro che siete guariti! I dieci si mettono in cammino e sono ancora malati; la pelle ancora germoglia piaghe, eppure partono dietro a un atto di fede, per un anticipo di fiducia concesso a Dio e al proprio domani, senza prove: «La Provvidenza conosce solo uomini in cammino» (san Giovanni Calabria), navi che alzano le vele per nuovi mari.
I dieci lebbrosi credono nella salute prima di vederla, hanno la fede dei profeti che amano la parola di Dio più ancora della sua attuazione, che credono nella parola di Dio prima e più che alla sua realizzazione. E mentre andavano furono guariti. Lungo il cammino, un passo dopo l’altro la salute si fa strada in loro. Accade sempre così: il futuro entra in noi con il primo passo, inizia molto prima che accada, come un seme, come una profezia, come una notte con la prima stella, come un fiume con la prima goccia d’acqua. E furono guariti.
Il Vangelo è pieno di guariti, sono il corteo gioioso che accompagna l’annuncio di Gesù: Dio è qui, è con noi, coinvolto nelle piaghe dei dieci lebbrosi e nello stupore dell’unico che ritorna cantando. E al quale Gesù dice: la tua fede ti ha salvato!. Anche gli altri nove che non tornano hanno avuto fede nelle parole di Gesù. Dove sta la differenza? Il samaritano salvato ha qualcosa in più dei nove guariti. Non si accontenta del dono, lui cerca il Donatore, ha intuito che il segreto della vita non sta nella guarigione, ma nel Guaritore, nell’incontro con lo stupore di un Dio che ha i piedi nel fango delle nostre strade, e gli occhi sulle nostre piaghe. Nessuno si è trovato che tornasse a rendere gloria a Dio?
Ebbene «gloria di Dio è l’uomo vivente» (sant’Ireneo). E chi è più vivente di questo piccolo uomo di Samaria? Lui, il doppiamente escluso, che torna guarito, gridando di gioia, danzando nella polvere della strada, libero come il vento? Non gli basta tornare dai suoi, alla sua famiglia, travolto da questa inattesa piena di vita, vuole tornare alla fonte da cui è sgorgata. Altro è essere guariti, altro essere salvati. Nella guarigione si chiudono le piaghe, ma nella salvezza si apre la sorgente, entri in Dio e Dio entra in te, come pienezza. I nove guariti trovano la salute; l’unico salvato trova il Dio che dona pelle di primavera ai lebbrosi, che fa fiorire la vita in tutte le sue forme, e la cui gloria è l’uomo vivente, «l’uomo finalmente promosso a uomo» (P. Mazzolari).
Letture: 2 Re 5,14-17; Salmo 97; 2 Timoteo 2,8-13; Luca 17,11-19
Ermes Ronchi
Avvenire
Nel vangelo di Luca, il viaggio verso Gerusalemme occupa un’ampia sezione caratterizzata da insegnamenti attraverso parabole e azioni sul tema della sequela, della preghiera, dell’amore, del rapporto col denaro. È un invito ad entrare nel Regno, ad operare la conversione a Dio a partire dalla solidarietà coi poveri e gli esclusi, a conformare la vita a Cristo nostra salvezza. Gesù è in cammino tra la Galilea e la Samaria (v.11). Il ministero pubblico di Gesù si svolge prevalentemente in Galilea, terra di confine, luogo di incontro tra popoli, dove vi è una mentalità più aperta e disponibile ad accogliere la buona notizia. Egli si muove senza sosta, per incontrare soprattutto gli ultimi e gli emarginati, attraversando anche la Samaria, regione nemica di eretici e scismatici. In questo modo, Gesù si apre all’umanità intera, raggiungendo coloro che sono lontani, “le periferie esistenziali e gli scarti” secondo le parole di papa Francesco.
Al centro del brano odierno vi è l’incontro con un gruppo di lebbrosi (v. 12). Essi, secondo le severe prescrizioni dell’Antico Testamento, erano ritenuti impuri e per questo esclusi da ogni culto; con loro non poteva ammettersi alcun tipo di relazione o contatto, essendo relegati al di fuori della vita sociale (il genio di Pirandello, anche se in un contesto completamente diverso, espresse una tale radicale esclusione dalla comunità con la frase “morto per la vita, vivo per la morte”).
Secondo il rito previsto da Lv 14 il lebbroso poteva essere reinserito nella società solo se il sacerdote ne riconosceva la guarigione. Ciò spiega il senso delle parole di Gesù al v. 14. La lebbra, come le altre malattie era considerata punizione/maledizione divina, ma peggio delle altre comportava sia l’emarginazione fisica che quella psichica. Infatti, le piaghe e le ulcere,sfigurando i tratti e offuscando la bellezza della persona, rimando e lode al Signore, erano segno di abbandono anche da parte di Dio.
La ripugnanza esteriore era considerata rivelativa di un gravissimo decadimento morale: secondo la mentalità dell’epoca vi era un profondo legame tra malattia e peccato e non si faceva distinzione tra peccato e peccatore. Per questo era il sacerdote ad accertarne lo stato, scongiurando in tal modo ogni contagio sia fisico che spirituale. L’evangelista parla infatti di purificazione, liberazione (v.14). Due aspetti vengono sottolineati dall’evangelista: l’identità dell’unico che torna per rendere gloria a Dio ringraziando Gesù, letteralmente facendo eucarestia (v.16) e la dichiarazione sulla fede (v. 19). Il samaritano che ritorna prefigura l’accoglienza che gli altri popoli riserveranno alla Parola rispetto alla maggioranza dei giudei (Commentario del Nuovo testamento D. Marguerat) ed è espressione dell’apertura all’universalità della salvezza.
Fin dall’Antico Testamento la misericordia di Dio è verso tutti gli uomini e la grazia non è esclusività di Israele, come Gesù proclama in Lc 4, 23-25 ricordando il miracolo del profeta Elia per la vedova di Sarepta di Sidone e la guarigione da parte di Eliseo del lebbroso Naamàn il Siro (I lettura). E come afferma dopo aver guarito il servo del centurione romano, miracolo che similmente a quello di oggi si svolge a distanza senza parole o gesti: “neanche in Israele ho trovato una fede così grande!” (Lc 7, 1-10).
È proprio la fede in Cristo, unico e definitivo mediatore di Dio, a rivelare il senso di questa guarigione prodigiosa, essa è “segno” della divinità di Gesù e preannuncio della vittoria sulla malattia e sulla morte. Riconoscerlo Signore significa rendere gloria a Dio (v.18) e accedere alla salvezza (v.19). Grazie alla fede solo il samaritano, passa dalla guarigione alla salvezza. Se per i nove la guarigione riguarda solo la dimensione fisica e corporale (Gesù Taumaturgo), per l’unico “straniero” si apre l’orizzonte della salvezza che riguarda l’integrità della persona nella sua dimensione fisica e spirituale (Gesù Salvatore).
Monica
Comunità Kairòs