[…] Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. […]
I sadducei si cimentano in un apologo paradossale, quello di una donna sette volte vedova e mai madre, per mettere alla berlina la fede nella risurrezione. Lo sappiamo, non è facile credere nella vita eterna. Forse perché la immaginiamo come durata anziché come intensità. Tutti conosciamo la meraviglia della prima volta: la prima volta che abbiamo scoperto, gustato, visto, amato… poi ci si abitua. L’eternità è non abituarsi, è il miracolo della prima volta che si ripete sempre. La piccola eternità in cui i sadducei credono è la sopravvivenza del patrimonio genetico della famiglia, così importante da giustificare il passaggio di quella donna di mano in mano, come un oggetto: «si prenda la vedova… Allora la prese il secondo, e poi il terzo, e così tutti e sette». In una ripetitività che ha qualcosa di macabro.
Neppure sfiorati da un brivido di amore, riducono la carne dolorante e luminosa, che è icona di Dio, a una cosa da adoperare per i propri fini. «Gesù rivela che non una modesta eternità biologica è inscritta nell’uomo ma l’eternità stessa di Dio» (M. Marcolini). Che cosa significa infatti la «vita eterna» se non la stessa «vita dell’Eterno»? Ed ecco: «poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio», vivono cioè la sua vita. Alla domanda banale dei sadducei (di quale dei sette fratelli sarà moglie quella donna?) Gesù contrappone un intero mondo nuovo: quelli che risorgono non prendono né moglie né marito.
Gesù non dice che finiranno gli affetti e il lavoro gioioso del cuore. Anzi, l’unica cosa che rimane per sempre, ciò che rimane quando non rimane più nulla, è l’amore (1 Cor 13,8). I risorti non prendono moglie o marito, e tuttavia vivono la gioia, umanissima e immortale, di dare e ricevere amore: su questo si fonda la felicità di questa e di ogni vita. Perché amare è la pienezza dell’uomo e di Dio. I risorti saranno come angeli. Come le creature evanescenti, incorporee e asessuate del nostro immaginario? O non piuttosto, biblicamente, annuncio di Dio (Gabriele), forza di Dio (Michele), medicina di Dio (Raffaele)? Occhi che vedono Dio faccia a faccia (Mt 18,10)?
Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi. In questa preposizione «di», ripetuta cinque volte, in questa sillaba breve come un respiro, è inscritto il nodo indissolubile tra noi e Dio. Così totale è il legame reciproco che Gesù non può pronunciare il nome di Dio senza pronunciare anche quello di coloro che Egli ama. Il Dio che inonda di vita anche le vie della morte ha così bisogno dei suoi figli da ritenerli parte fondamentale del suo nome, di se stesso: «sei un Dio che vivi di noi» (Turoldo).
Letture: 2 Maccabei 7,1-2.9-14; Salmo 16; 2 Tessalonicesi 2,16-3,5; Luca 20,27-38
Ermes Ronchi
Avvenire
Per comprendere questo racconto, in particolare il caso stravagante posto dai sadducei a Gesù, bisogna tenere presente che: 1) la teologia del partito sadduceo non ammetteva la resurrezione dei morti, un tema sul quale si differenziavano radicalmente dai farisei, che credevano nella resurrezione dopo la morte; 2) nell’antico Oriente era molto diffusa la “legge del levirato” (dal latino levir, cognato), che voleva perpetuare il nome ed assicurare il mantenimento della proprietà familiare. Questa legge era stata accettata dai giudei (Dt 25,5-10; Gen 38,8). Tutto ciò dimostra, tra le altre cose, che a partire da molto tempo fa il matrimonio è stato inteso come un’«unità economica» più che come l’«unione affettiva», emozionale o sessuale di un uomo e di una donna che sono innamorati.
Quello che interessa di meno in questo racconto è il caso grottesco presentato a Gesù dai farisei. E nella risposta di Gesù non interessa neanche il tema della sessualità, in quanto qui il vangelo starebbe insegnando che il sesso è questione di questa vita e dell’altra dopo la morte. Non dimentichiamo che nella legge del levirato la posta in gioco non era la sessualità, ma la discendenza ed il possesso dell’eredità, cosa che, nel caso in cui ci sia un’altra vita, non ci interessa più.
Gesù vuole sottolineare che in ogni caso il Dio che si rivela a noi in Gesù è Dio di vita. Ossia è un Dio necessariamente legato alla vita, non alla morte. Ecco perché, se Dio continua ad essere Dio per quelli che se ne vanno da questo mondo, il loro destino non è la morte, ma la vita. Non sappiamo come sarà questa vita. Quello che sappiamo è che con la morte non finisce la vita, la vita continua. E continua senza le limitazioni proprie di questa vita, tra cui le inevitabili limitazioni che comportano l’amore coniugale e familiare.
p. José María Castillo
Il dialogo
XXXII domenica
Tempo ordinario, Anno C
[…] Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. […]
I sadducei si cimentano in un apologo paradossale, quello di una donna sette volte vedova e mai madre, per mettere alla berlina la fede nella risurrezione. Lo sappiamo, non è facile credere nella vita eterna. Forse perché la immaginiamo come durata anziché come intensità. Tutti conosciamo la meraviglia della prima volta: la prima volta che abbiamo scoperto, gustato, visto, amato… poi ci si abitua. L’eternità è non abituarsi, è il miracolo della prima volta che si ripete sempre. La piccola eternità in cui i sadducei credono è la sopravvivenza del patrimonio genetico della famiglia, così importante da giustificare il passaggio di quella donna di mano in mano, come un oggetto: «si prenda la vedova… Allora la prese il secondo, e poi il terzo, e così tutti e sette». In una ripetitività che ha qualcosa di macabro.
Neppure sfiorati da un brivido di amore, riducono la carne dolorante e luminosa, che è icona di Dio, a una cosa da adoperare per i propri fini. «Gesù rivela che non una modesta eternità biologica è inscritta nell’uomo ma l’eternità stessa di Dio» (M. Marcolini). Che cosa significa infatti la «vita eterna» se non la stessa «vita dell’Eterno»? Ed ecco: «poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio», vivono cioè la sua vita. Alla domanda banale dei sadducei (di quale dei sette fratelli sarà moglie quella donna?) Gesù contrappone un intero mondo nuovo: quelli che risorgono non prendono né moglie né marito.
Gesù non dice che finiranno gli affetti e il lavoro gioioso del cuore. Anzi, l’unica cosa che rimane per sempre, ciò che rimane quando non rimane più nulla, è l’amore (1 Cor 13,8). I risorti non prendono moglie o marito, e tuttavia vivono la gioia, umanissima e immortale, di dare e ricevere amore: su questo si fonda la felicità di questa e di ogni vita. Perché amare è la pienezza dell’uomo e di Dio. I risorti saranno come angeli. Come le creature evanescenti, incorporee e asessuate del nostro immaginario? O non piuttosto, biblicamente, annuncio di Dio (Gabriele), forza di Dio (Michele), medicina di Dio (Raffaele)? Occhi che vedono Dio faccia a faccia (Mt 18,10)?
Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi. In questa preposizione «di», ripetuta cinque volte, in questa sillaba breve come un respiro, è inscritto il nodo indissolubile tra noi e Dio. Così totale è il legame reciproco che Gesù non può pronunciare il nome di Dio senza pronunciare anche quello di coloro che Egli ama. Il Dio che inonda di vita anche le vie della morte ha così bisogno dei suoi figli da ritenerli parte fondamentale del suo nome, di se stesso: «sei un Dio che vivi di noi» (Turoldo).
Letture: 2 Maccabei 7,1-2.9-14; Salmo 16; 2 Tessalonicesi 2,16-3,5; Luca 20,27-38
Ermes Ronchi
Avvenire
Per comprendere questo racconto, in particolare il caso stravagante posto dai sadducei a Gesù, bisogna tenere presente che: 1) la teologia del partito sadduceo non ammetteva la resurrezione dei morti, un tema sul quale si differenziavano radicalmente dai farisei, che credevano nella resurrezione dopo la morte; 2) nell’antico Oriente era molto diffusa la “legge del levirato” (dal latino levir, cognato), che voleva perpetuare il nome ed assicurare il mantenimento della proprietà familiare. Questa legge era stata accettata dai giudei (Dt 25,5-10; Gen 38,8). Tutto ciò dimostra, tra le altre cose, che a partire da molto tempo fa il matrimonio è stato inteso come un’«unità economica» più che come l’«unione affettiva», emozionale o sessuale di un uomo e di una donna che sono innamorati.
Quello che interessa di meno in questo racconto è il caso grottesco presentato a Gesù dai farisei. E nella risposta di Gesù non interessa neanche il tema della sessualità, in quanto qui il vangelo starebbe insegnando che il sesso è questione di questa vita e dell’altra dopo la morte. Non dimentichiamo che nella legge del levirato la posta in gioco non era la sessualità, ma la discendenza ed il possesso dell’eredità, cosa che, nel caso in cui ci sia un’altra vita, non ci interessa più.
Gesù vuole sottolineare che in ogni caso il Dio che si rivela a noi in Gesù è Dio di vita. Ossia è un Dio necessariamente legato alla vita, non alla morte. Ecco perché, se Dio continua ad essere Dio per quelli che se ne vanno da questo mondo, il loro destino non è la morte, ma la vita. Non sappiamo come sarà questa vita. Quello che sappiamo è che con la morte non finisce la vita, la vita continua. E continua senza le limitazioni proprie di questa vita, tra cui le inevitabili limitazioni che comportano l’amore coniugale e familiare.
p. José María Castillo
Il dialogo