I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero […].
Maria e Giuseppe cercano per tre giorni il loro ragazzo: figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo padre e io angosciati ti cercavamo. La famiglia di Nazaret la sentiamo vicina anche per questa sua fragilità, perché alterna giorni sereni, tranquilli e altri drammatici, come accade in tutte le famiglie, specie con figli adolescenti, come era Gesù. Maria più che rimproverare il figlio, vuole capire: perché ci hai fatto questo? Perché una spiegazione c’è sempre, e forse molto più bella e semplice di quanto temevi. Un dialogo senza risentimenti e senza accuse: di fronte ai genitori, che ci sono e si vogliono bene – le due cose che importano ai figli – c’è un ragazzo che ascolta e risponde.
Grande cosa il dialogo, anche faticoso: se le cose sono difficili a dirsi, a non dirle diventano ancora più difficili. Non sapevate che devo occuparmi d’altro da voi? I figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non deve impostare la propria vita in funzione dei genitori, è come fermare la ruota della creazione. Non lo sapevate? Ma come, me lo avete insegnato voi il primato di Dio! Madre, tu mi hai insegnato ad ascoltare angeli! Padre, tu mi hai raccontato che talvolta la vita dipende dai sogni, da una voce: alzati prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.
Ma essi non compresero. E tuttavia Gesù tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. C’è incomprensione, c’è un dolore che pesa sul cuore, eppure Gesù torna con chi non lo capisce. Afferma: Io ho un altro Padre e tuttavia sta con questo padre. E cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e limitata. Sono santi i tre, sono profeti, eppure non si capiscono. E noi ci meravigliamo di non capirci nelle nostre case? Si può crescere in bontà e saggezza anche sottomessi alla povertà del mio uomo o della mia donna, ai perché inquieti di mio figlio, ai limiti dei genitori.
Gesù lascia il tempio e i maestri della Legge e va con Giuseppe e Maria, maestri di vita; lascia gli interpreti dei libri, e va con chi interpreta la vita, il grande Libro. Per anni impara l’arte di essere uomo guardando i suoi genitori vivere. Da chi imparare la vita? Da chi ci aiuta a crescere in sapienza e grazia, cioè nella capacità di stupore infinito. I maestri veri non sono quelli che metteranno ulteriori lacci o regole alla mia vita, ma quelli che mi daranno ulteriori ali, che mi permetteranno di trasformare le mie ali, le cureranno, le allungheranno. Mi daranno la capacità di volare. Di seguire lo Spirito, il vento di Dio. La casa è il luogo del primo magistero, dove i figli imparano l’arte più importante, quella che li farà felici: l’arte di amare.
Letture: 1 Samuele 1,20-22.24-28; Salmo 83; 1 Giovanni 3,1-2.21-24; Luca 2,41-52
Ermes Ronchi
Avvenire
Quando leggiamo il vangelo occorre sempre distinguere quello che l’evangelista ci vuol dire, e questa è la parola di Dio che è valida per sempre, da come lo dice, usando gli schemi teologici e letterari della sua cultura e del suo tempo. Questo a maggior ragione nel brano che la Chiesa, la liturgia, ci presenta per la festa della Santa Famiglia perché, se vediamo questo episodio dal punto di vista letterale, più che una santa famiglia sembra una famiglia veramente sconclusionata. Un figlio che rimane a Gerusalemme senza avvertire i genitori, i genitori che si accorgono dell’assenza del figlio soltanto dopo una giornata e il figlio addirittura che rimprovera i genitori. Vediamo allora cos’è che l’evangelista ci vuole trasmettere ricordando come iniziato questo vangelo.
Quando l’angelo ha annunciato a Zaccaria la nascita del figlio Giovanni Battista aveva detto che veniva per “portare il cuore dei padri verso i figli”. Era una citazione della profezia del profeta Malachia che però continuava “e il cuore di figli verso i padri”. Ebbene Luca non è d’accordo. Non è il nuovo che deve accogliere il vecchio, ma è il vecchio che deve sforzarsi per accogliere il nuovo, è quello che farà Gesù. Gesù non cammina, non segue le orme dei padri, ma sono i padri che devono accogliere la sua novità. I fatti sono risaputi, è la festa della Pasqua, è una delle tre grandi feste annuali per le quali gli ebrei si recavano a Gerusalemme, ci portano anche Gesù e Gesù rimane a Gerusalemme senza avvertire i genitori. I genitori se ne accorgono soltanto dopo un giorno di cammino ed ecco che arriva l’incidente.
Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio in mezzo, l’evangelista presenza Gesù come immagine della sapienza divina che siede in mezzo, ai maestri che li ascoltava e li interrogava e tutti sono stupefatti, sconvolti per la sua intelligenza e per le sue risposte. Ed ecco il punto centrale di questo episodio, l’incidente, al vederlo restarono stupiti, non si aspettavano i genitori di trovarlo lì, e sua madre gli disse, e qui la madre l’evangelista non parla mai di Maria, non la nomina mai. Quando i personaggi non sono presentati con il loro nome, ma sono anonimi significa che sono personaggi rappresentativi. Pertanto nella figura della madre l’evangelista vuole raffigurare l’attesa frustrata del popolo di Israele che non si riconosce in questo messia che si apre al nuovo.
Gli disse: Figlio”, e il termine greco indica significa bambino mio, uno sul quale io ho diritto, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo. Ebbene Gesù anziché scusarsi passa al contrattacco e la prima e unica volta in questo vangelo in cui Gesù si rivolge alla madre è per parole di aspro, severo rimprovero. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate?”, sta dando loro degli ignoranti e infatti dice non sapevate, qualcosa che dovevano sapere, che io devo, il verbo dovere adoperato dall’evangelista indica che è espressione della volontà divina, occuparmi delle cose del Padre mio? La madre ha detto a Gesù Ecco, tuo padre e io, Gesù le ricorda che suo padre non è Giuseppe, suo padre è un altro e lui deve stare nelle cose del Padre suo.
Ebbene scrive l’evangelista, commenta, che essi non compresero, è troppo grande questa novità, ciò che aveva detto loro, ma, ecco qui incomincia a svilupparsi e a crescere la figura della madre di Gesù che arriverà al punto di diventare poi la discepola del figlio, sua madre custodiva tutte queste cose, cioè ci rifletteva. È una grande novità, è qualcosa che la sconcerta, ma la madre di Gesù è grande perché non rifiuta il nuovo, ci pensa, ci riflette, e Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini. Qui il riferimento dell’evangelista è uno dei più grandi profeti della storia di Israele, il profeta Samuele, che anche lui cresceva davanti a Dio e agli uomini con la grazia. Quindi è una novità grande quella che l’evangelista ci presenta ed è un invito a lasciare il passato per aprirsi al nuovo. Soltanto che si apre al nuovo cammina con Gesù e va verso il Padre.
p. Alberto Maggi
Il dialogo
Santa Famiglia di Gesù
Anno C
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero […].
Maria e Giuseppe cercano per tre giorni il loro ragazzo: figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo padre e io angosciati ti cercavamo. La famiglia di Nazaret la sentiamo vicina anche per questa sua fragilità, perché alterna giorni sereni, tranquilli e altri drammatici, come accade in tutte le famiglie, specie con figli adolescenti, come era Gesù. Maria più che rimproverare il figlio, vuole capire: perché ci hai fatto questo? Perché una spiegazione c’è sempre, e forse molto più bella e semplice di quanto temevi. Un dialogo senza risentimenti e senza accuse: di fronte ai genitori, che ci sono e si vogliono bene – le due cose che importano ai figli – c’è un ragazzo che ascolta e risponde.
Grande cosa il dialogo, anche faticoso: se le cose sono difficili a dirsi, a non dirle diventano ancora più difficili. Non sapevate che devo occuparmi d’altro da voi? I figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non deve impostare la propria vita in funzione dei genitori, è come fermare la ruota della creazione. Non lo sapevate? Ma come, me lo avete insegnato voi il primato di Dio! Madre, tu mi hai insegnato ad ascoltare angeli! Padre, tu mi hai raccontato che talvolta la vita dipende dai sogni, da una voce: alzati prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto.
Ma essi non compresero. E tuttavia Gesù tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. C’è incomprensione, c’è un dolore che pesa sul cuore, eppure Gesù torna con chi non lo capisce. Afferma: Io ho un altro Padre e tuttavia sta con questo padre. E cresce dentro una famiglia santa e imperfetta, santa e limitata. Sono santi i tre, sono profeti, eppure non si capiscono. E noi ci meravigliamo di non capirci nelle nostre case? Si può crescere in bontà e saggezza anche sottomessi alla povertà del mio uomo o della mia donna, ai perché inquieti di mio figlio, ai limiti dei genitori.
Gesù lascia il tempio e i maestri della Legge e va con Giuseppe e Maria, maestri di vita; lascia gli interpreti dei libri, e va con chi interpreta la vita, il grande Libro. Per anni impara l’arte di essere uomo guardando i suoi genitori vivere. Da chi imparare la vita? Da chi ci aiuta a crescere in sapienza e grazia, cioè nella capacità di stupore infinito. I maestri veri non sono quelli che metteranno ulteriori lacci o regole alla mia vita, ma quelli che mi daranno ulteriori ali, che mi permetteranno di trasformare le mie ali, le cureranno, le allungheranno. Mi daranno la capacità di volare. Di seguire lo Spirito, il vento di Dio. La casa è il luogo del primo magistero, dove i figli imparano l’arte più importante, quella che li farà felici: l’arte di amare.
Letture: 1 Samuele 1,20-22.24-28; Salmo 83; 1 Giovanni 3,1-2.21-24; Luca 2,41-52
Ermes Ronchi
Avvenire
Quando leggiamo il vangelo occorre sempre distinguere quello che l’evangelista ci vuol dire, e questa è la parola di Dio che è valida per sempre, da come lo dice, usando gli schemi teologici e letterari della sua cultura e del suo tempo. Questo a maggior ragione nel brano che la Chiesa, la liturgia, ci presenta per la festa della Santa Famiglia perché, se vediamo questo episodio dal punto di vista letterale, più che una santa famiglia sembra una famiglia veramente sconclusionata. Un figlio che rimane a Gerusalemme senza avvertire i genitori, i genitori che si accorgono dell’assenza del figlio soltanto dopo una giornata e il figlio addirittura che rimprovera i genitori. Vediamo allora cos’è che l’evangelista ci vuole trasmettere ricordando come iniziato questo vangelo.
Quando l’angelo ha annunciato a Zaccaria la nascita del figlio Giovanni Battista aveva detto che veniva per “portare il cuore dei padri verso i figli”. Era una citazione della profezia del profeta Malachia che però continuava “e il cuore di figli verso i padri”. Ebbene Luca non è d’accordo. Non è il nuovo che deve accogliere il vecchio, ma è il vecchio che deve sforzarsi per accogliere il nuovo, è quello che farà Gesù. Gesù non cammina, non segue le orme dei padri, ma sono i padri che devono accogliere la sua novità. I fatti sono risaputi, è la festa della Pasqua, è una delle tre grandi feste annuali per le quali gli ebrei si recavano a Gerusalemme, ci portano anche Gesù e Gesù rimane a Gerusalemme senza avvertire i genitori. I genitori se ne accorgono soltanto dopo un giorno di cammino ed ecco che arriva l’incidente.
Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio in mezzo, l’evangelista presenza Gesù come immagine della sapienza divina che siede in mezzo, ai maestri che li ascoltava e li interrogava e tutti sono stupefatti, sconvolti per la sua intelligenza e per le sue risposte. Ed ecco il punto centrale di questo episodio, l’incidente, al vederlo restarono stupiti, non si aspettavano i genitori di trovarlo lì, e sua madre gli disse, e qui la madre l’evangelista non parla mai di Maria, non la nomina mai. Quando i personaggi non sono presentati con il loro nome, ma sono anonimi significa che sono personaggi rappresentativi. Pertanto nella figura della madre l’evangelista vuole raffigurare l’attesa frustrata del popolo di Israele che non si riconosce in questo messia che si apre al nuovo.
Gli disse: Figlio”, e il termine greco indica significa bambino mio, uno sul quale io ho diritto, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo. Ebbene Gesù anziché scusarsi passa al contrattacco e la prima e unica volta in questo vangelo in cui Gesù si rivolge alla madre è per parole di aspro, severo rimprovero. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate?”, sta dando loro degli ignoranti e infatti dice non sapevate, qualcosa che dovevano sapere, che io devo, il verbo dovere adoperato dall’evangelista indica che è espressione della volontà divina, occuparmi delle cose del Padre mio? La madre ha detto a Gesù Ecco, tuo padre e io, Gesù le ricorda che suo padre non è Giuseppe, suo padre è un altro e lui deve stare nelle cose del Padre suo.
Ebbene scrive l’evangelista, commenta, che essi non compresero, è troppo grande questa novità, ciò che aveva detto loro, ma, ecco qui incomincia a svilupparsi e a crescere la figura della madre di Gesù che arriverà al punto di diventare poi la discepola del figlio, sua madre custodiva tutte queste cose, cioè ci rifletteva. È una grande novità, è qualcosa che la sconcerta, ma la madre di Gesù è grande perché non rifiuta il nuovo, ci pensa, ci riflette, e Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini. Qui il riferimento dell’evangelista è uno dei più grandi profeti della storia di Israele, il profeta Samuele, che anche lui cresceva davanti a Dio e agli uomini con la grazia. Quindi è una novità grande quella che l’evangelista ci presenta ed è un invito a lasciare il passato per aprirsi al nuovo. Soltanto che si apre al nuovo cammina con Gesù e va verso il Padre.
p. Alberto Maggi
Il dialogo