Nella Crocifissione di Masaccio un piccolo alberello è posto sulla cima della croce, segno di speranza in un vortice di dolore.
Nella Crocifissione di Masaccio un piccolo alberello è posto sulla cima della croce, segno di speranza in un vortice di dolore.
Il piccolo alberello rigoglioso che sale dalla cima della croce dove è inchiodato Gesù non è la prima cosa che si nota quando si guarda la Crocifissione di Masaccio, conservata nel Museo di Capodimonte a Napoli. L’innovativo rosso così acceso della veste della Maddalena e la sua posa, di schiena con le braccia alzate, attirano lo sguardo dell’osservatore e li portano a vedere anche i volti straziati di Maria e Giovanni, in un vortice di dolore che sale fino a Cristo rappresentato con una fisicità naturalistica. In lui si nota subito la rivoluzionaria testa chinata incassata nelle spalle: in quel 1426 Masaccio stava sperimentando le regole della prospettiva, inventata pochi anni prima da Brunelleschi.
La tavola, infatti, si trovava nella cuspide di un monumentale polittico alto circa cinque metri realizzato per una cappella della chiesa di Santa Maria del Carmine a Pisa, del quale oggi sopravvivono solo alcune parti dopo che è stato smembrato alla fine del sedicesimo secolo. L’artista ha dunque dipinto Gesù in forte scorcio, come se lo si stesse guardando dal basso. Le figure ai piedi della croce, però, sono rappresentate frontalmente, non con la stessa prospettiva usata per Gesù. Masaccio ha dunque mescolato con naturalezza due punti di vista, per farci identificare con Maria, Giovanni o la Maddalena e dare l’impressione di trovarci sotto la croce, con un forte coinvolgimento emotivo.
In alto, ecco l’insolito alberello, riemerso durante un restauro eseguito tra il 1956 e il 1957 dopo che nel Seicento era stato coperto dal più consueto cartiglio con la scritta INRI per normalizzare l’immagine sacra. Come si legge su Avvenire, la scelta originale sembra rimandare alla liturgia del Venerdì santo quando, durante l’adorazione della croce, veniva cantato l’inno Crux fidelis, il cui testo latino è stato scritto da Venanzio Fortunato nel 570 circa: «Croce fedele, fra tutti unico albero nobile: / nessuna selva ne produce uno simile per fiore, fronda e frutto, / dolce legno che con dolci chiodi sostiene il dolce peso».
Il celebre poeta evoca qui il parallelismo tra Adamo e Cristo, già enunciato da Paolo nella lettera ai Romani e approfondito da Ireneo di Lione nel terzo secolo, secondo cui il frutto della croce pone fine alla storia che era cominciata con il frutto del peccato nel Paradiso terrestre. Vengono associati l’albero della vita piantato nell’Eden e il legno della croce, che secondo una leggenda diffusa in epoca medievale, a cui rimandano molte rappresentazioni artistiche, era stata innalzata sulla tomba del primo uomo. La croce, dunque, diventa fonte di nuova vita.
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