Un percorso all’interno del Libro dei Salmi, per un cammino di maturità umana e di fede. Salmi da 73 a 89.
Un percorso all’interno del Libro dei Salmi, per un cammino di maturità umana e di fede. Salmi da 73 a 89.
La tradizione ebraica ha diviso i centocinquanta salmi che compongono il Salterio in cinque libretti per fare il parallelo con la Torah: cinque i libri della Torah, l’insegnamento del Signore, e cinque i libri della preghiera con cui il popolo risponde al suo dono. Nel nostro primo incontro p. Gregorio ci suggeriva di leggere di seguito, uno dopo l’altro, queste preghiere in poesia e ci offriva una suggestiva chiave di lettura secondo cui i cinque libretti del Salterio costituiscono l’offerta di un percorso umano che parte dalla nascita, attraversa la giovinezza con i suoi ideali, conosce i momenti di stanca e di crisi, e giunge alla piena maturità umana e spirituale.
1. «Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo»
La prima sottolineatura che vorrei fare riguarda la modalità e la qualità della relazione tra Dio e la comunità dei credenti o il singolo orante, così come la riscontriamo nei salmi. È una relazione animata da un grande pathos, presente sia in coloro che pregano i salmi, sia in Dio; una relazione viva, palpitante, appassionata. Direi un rapporto a tu per tu, alla pari, pur nella consapevolezza della distanza incolmabile che c’è tra noi e Dio: Lui è il Signore e noi le creature; Lui è il Santo e noi semplicemente donne e uomini fragili e peccatori. Eppure, questa distanza il Signore stesso, in qualche modo, l’ha voluta colmare nel momento in cui ha fatto Alleanza con il popolo di Israele, dicendo: «Io sarò il vostro Dio e voi il mio popolo!» (Lv 26,12).
In forza di questa Alleanza, la preghiera del popolo e del singolo fedele è dialogo filiale, animato e sostenuto dalla fede/fiducia in lui. Tale fiducia rende la preghiera ardita e vibrante, in cui l’orante, nelle varie situazioni della vita e della storia, osa chiedere «perché Signore?», «fino a quando, Signore?», «Sorgi, Signore! Alza la tua mano!» (Sal 10). E il Signore a volte tace, a volte risponde alle istanze del popolo: oppure lo rimprovera per il non-ascolto della sua Parola e la durezza del cuore nell’accogliere la sua volontà. E così, in questo rapporto schietto e sincero, la preghiera dei salmi è lode e ringraziamento al Signore per ogni dono; è lamento e supplica per le ingiustizie e le sofferenze della vita; è richiesta di perdono per i peccati e le infedeltà.
La nostra riflessione di questa sera avrà due momenti: nel primo, daremo uno sguardo d’insieme ai salmi del Terzo Libretto, per sottolineare la nota dominante che è il lamento che il popolo rivolge al Signore per la difficile situazione che sta vivendo; nel secondo faremo una lettura approfondita del Sal 73. I salmi che compongono il Terzo Libretto sono 17 e vanno dal 73 all’89. Lo sfondo storico nel quale si situano questi salmi è il quinto secolo prima di Cristo, un tempo drammatico per Israele: l’invasione dell’esercito Babilonese, la distruzione di Gerusalemme (a. 587), cui segue l’esilio e, infine, il ritorno in patria per iniziativa di Ciro, Re di Persia (a. 538), e l’immane fatica per la ricostruzione.
Il Sal 72, che chiude il secondo libro, contiene le promesse che Dio fa alla Casa di Davide e che realizzerà al tempo del Re-Messia discendente di Davide: «Nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbonderà la pace finché non si spenga la luna» (v. 7), canta il salmista; e aggiunge: «Egli avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita del misero. In lui saranno benedette tutte le stirpi della terra e tutti i popoli lo diranno beato» (v. 17). Questa prospettiva ideale del Re-Messia, proiettata in un futuro imprecisato, si scontra subito con la realtà attuale: la rovina del Regno di Giuda. Infatti, con la presa di Gerusalemme, il Re è fatto prigioniero dai Babilonesi e deportato in terra straniera. L’orante del Sal 89 si lamenta con il Signore: «Ma tu ti sei adirato contro il tuo consacrato, hai rotto l’alleanza con il tuo servo, profanato nel fango la sua corona» (vv. 39-40). Un lamento e una accusa forte. Da qui lo sbandamento e l’inevitabile crisi di tutto il popolo, che chiede conto al Signore di quanto è accaduto.
Nel Salmo 77 incontriamo un orante che in una notte insonne, probabilmente mentre si trova in esilio a Babilonia, nella preghiera manifesta al Signore i dubbi, l’angoscia, gli interrogativi che condivide con tutta la comunità: ma Dio ci ama ancora?, si chiede, perché non agisce più in nostro favore? «È forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre?» (v. 7). E in un momento di esasperazione dice a se stesso, ma lo grida anche davanti a Dio: «Questo è il mio tormento, è mutata la destra dell’Altissimo!» (v. 11). Ecco la crisi, il dubbio, la delusione, la caduta del credente. Ma subito dopo il salmista fa memoria della salvezza tante volte operata da Dio nella storia di Israele: «Ricordo i prodigi del Signore, sì, ricordo le tue meraviglie di un tempo» (v. 12). «Hai riscattato il tuo popolo con il tuo braccio, i figli di Giacobbe e di Giuseppe» (v. 16). Allora riprende coraggio e il dubbio si tramuta in speranza, mentre dice al Signore: come un giorno lontano «guidasti il tuo popolo per mano di Mosè e Aronne» (v. 21), così oggi guida e salva anche noi! Un’altra modalità con cui il popolo di Israele affronta e supera le crisi è il pensiero rivolto alle promesse di Dio riferite al Messia. Lui sarà un Re di pace e di giustizia. In Lui avremo salvezza tutti.
2. «Per poco non inciampavano i miei piedi perché ho invidiato i prepotenti»
Il popolo, quindi, sta vivendo una crisi generalizzata: crisi politica, crisi sociale, crisi religiosa. C’è da ricostruire Gerusalemme che è ridotta in ruderi; c’è da riedificare il Tempio che è stato devastato dalle fiamme; c’è da ricomporre il tessuto umano e sociale aggravato dalla lunga deportazione nella quale alcuni si sono arricchiti, mentre molti sono gli impoveriti. Un aspetto particolare di questa crisi sociale è la fortuna e l’arroganza dei prepotenti e dei malvagi che la Bibbia chiama empi (noi li identifichiamo nei malavitosi, arrampicatori, mafiosi, corruttori, arrivisti e furbetti di quartiere). Il Sal 73, che apre il nostro libretto, affronta proprio questo problema antico quanto la vita dell’uomo sulla terra, ma attuale e ricorrente ancora oggi: la prosperità e la fortuna sfacciata dei malvagi e le sofferenze e le persecuzioni dei giusti e dei poveri. Fermeremo l’attenzione proprio su questo salmo perché, in qualche modo, richiama e sintetizza tutti gli altri.
I salmi del terzo libretto sono, in prevalenza, suppliche collettive, infatti prevale in essi la dimensione comunitaria della preghiera. Nel nostro salmo, invece, come in altri, troviamo l’io di un orante. In realtà, però, quell’io ha una valenza comunitaria infatti, l’esperienza dell’orante è proposta di un itinerario percorribile da tutti. Per il biblista Ludwig Monti il Sal 73 è «un prezioso gioiello». Gianfranco Ravasi lo qualifica come «un capolavoro di altissima tensione spirituale». Un altro biblista, Tiziano Lorenzin, lo definisce «una delle pagine più alte dell’A.T». Il filosofo ebreo Martin Buber dà una valutazione personalissima del nostro salmo: «un mirabile canto del cuore, una lirica che mi attrae tanto, e tanto più quanto più invecchio!».
3. Leggiamo il Salmo 73
La struttura del Salmo è semplice:
v. 1: annuncio del tema: la bontà di Dio;
vv. 2-12: la fortuna sfacciata dei malvagi;
vv. 13-20: la fatica di coloro che cercano di essere giusti, e di capire la loro condizione;
vv. 21-28: la novità di un’esperienza inaudita.
Le prime parole del salmo sono una professione di fede nella bontà di Dio verso Israele e, in particolare, verso coloro che hanno il cuore puro, cioè coloro che sono trasparenti nell’animo, liberi da ambiguità e doppiezza. Solo costoro possono sperimentare l’intimità con Dio. Il salmista fa questo atto di fede solo dopo aver attraversato il tunnel della prova; al termine di un cammino che lo ha visto correre il rischio di abbandonare la via di Dio e tutti i valori che lo hanno sostenuto fin dall’infanzia: «Per poco non inciampavo, quasi vacillavano i miei passi» (v. 2). Egli nella preghiera chiede conto a Dio di qualcosa che lo turba profondamente, anzi lo scandalizza: il successo sfacciato degli empi che egli si affretta a descrivere con puntiglio e precisione: la loro vita scorre senza problemi né fatica, fino alla morte; l’orgoglio li cinge come una collana; la violenza è il loro abito quotidiano; gli occhi spuntano a fatica dal grasso della faccia ben pasciuta. La loro prepotenza si coglie anche dal modo di parlare. La loro parola raggiunge il cielo ed è colma di malizia e arroganza. Ostentano tanta sicurezza da sentirsi invincibili.
Proprio per questa ostentata sicurezza essi trovano seguito nel popolo, al punto che molti abbandonano la comunità dei fedeli e li seguono. Quel che è più grave agli occhi dell’orante sono queste parole blasfeme che ha sentito pronunciare da alcuni di loro: «Come può saperlo Dio? C’è forse conoscenza nell’Altissimo?» (v. 11). Come a dire: delle nostre nefandezze, delle nostre malefatte Dio non conosce nulla… E anche se le conosce, non se ne cura affatto. Altri sono i suoi pensieri, altri i suoi interessi! Ovviamente, questa idea di Dio è l’esatto opposto di come ce lo descrive la rivelazione biblica. In realtà, Dio è assente dall’orizzonte della vita di questa gente, non c’è posto per lui nel loro cuore; eppure a loro va’ tutto bene: si godono la vita e sbeffeggiano Dio; mentre Lui, il Signore, tace, non interviene, non fa giustizia! Ed ecco la conclusione sconsolata dell’orante: «Così sono i malvagi: sempre sicuri, ammassano ricchezze» (v. 12).
Poi, con amarezza, il nostro salmista elenca le fatiche quotidiane, le sofferenze e le persecuzioni che sperimenta lui e tanti uomini giusti. Quindi chiede a se stesso, ma soprattutto a Dio: «Invano, dunque, ho conservato puro il mio cuore, e ho lavato nell’innocenza le mie mani! Perché sono colpito tutto il giorno e rimproverato ogni mattina?» (vv. 13-14). Queste parole amare e il lamento, da una parte suonano come una denuncia, dall’altra rivelano una tentazione che sta vivendo il salmista. La tentazione di abbandonare la via di Dio e rinnegare i sentieri dell’onestà e della giustizia nei quali ha camminato fino ad oggi, per passare dalla parte degli avversari e di vivere come loro assumendo la loro mentalità mondana.
Una cosa, però, lo trattiene dal fare questa scelta di campo: la Memoria della Tradizione dei Padri in cui è stato formato fin dalla sua infanzia. Dalla Tradizione egli ha appreso quel che Dio ha fatto per Israele al tempo dall’esodo: è sceso in Egitto con Mosè per prendersi con braccio forte e con mano tesa un popolo di schiavi e l’ha portato su ali d’aquila, attraverso il deserto, nella Terra Promessa (cf Dt cc.7-8). La memoria di questo evento e di tanti altri, esercita un benefico effetto a su quest’uomo in crisi: lo costringe ad attendere ancora, prima di abbandonare il campo della fede e buttare tutto all’aria. Poi ammette davanti a Dio nella sua preghiera: «Se avessi detto: parlerò come loro, avrei tradito la generazione dei tuoi figli» (v. 15), e continua a vivere come ha sempre fatto, anche se… con l’amaro in bocca! Intanto si sforza di staccare gli occhi da ciò che gli sta attorno, per cercare il senso profondo della realtà attraverso la riflessione e il ragionamento. Ma assai presto si rende conto che comprendere con la sua ragione la logica di Dio e il senso profondo delle cose è per lui un’impresa impossibile: «Riflettevo per comprendere, ma fu arduo agli occhi miei» (v. 16). Prende atto che la sua mente non può contenere il mistero di Dio, né comprendere le sue vie.
Allora, nel fallimento della sua riflessione il salmista cambia registro: apre il cuore perché entri in sintonia con il cuore di Dio e si lascia illuminare da lui, infatti nella preghiera esclama: «Finché non entrai nel santuario di Dio e compresi quale sarà la loro fine» (v. 17). Cosa è avvenuto in lui? Probabilmente l’orante ci sta dicendo che nel pellegrinaggio dentro di sé, nel santuario del suo cuore, il Signore ha acceso una luce inattesa che gli consente di vedere con altri occhi e da altra prospettiva la realtà che lo circonda e il problema che lo angustia. Comprende, innanzitutto, il destino dei malvagi e quale sarà l’approdo della loro vicenda umana: stanno camminando su luoghi scivolosi, incapaci di fermarsi prima di una completa rovina (v. 18). Comprende che questi tali, che all’apparenza sembrano persone sicure di sé e invincibili, in realtà sono attanagliate dalla paura della morte (v. 19). Il loro potere, la fama, la stima che riscuotono nella gente, sono cose inconsistenti come le immagini di un sogno che al risveglio svaniscono (v. 20).
Nel contempo il salmista riconosce che il suo comportamento è stato quello di un insensato, anzi di una bestia: «Quando era amareggiato il mio cuore e nell’intimo mi tormentavo, io ero insensato e non capivo, davanti a te stavo come una bestia» (vv. 20-21). Martin Buber in questo salmo vede concretizzarsi il primato del cuore sulla mente. Un cuore puro, cristallino e sgombro da pregiudizi, legge la realtà dal di dentro, e ne coglie il senso globale e autentico che essa ha agli occhi di Dio. Gesù proclamerà la beatitudine: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5,8), non solo perché contempleranno il suo volto, ma anche perché essi ricevono il dono di guardare la vita e la realtà con gli occhi di Dio, alla maniera sua, secondo la sua prospettiva!
4. Approdo finale: la gioia
Penso che anche per il nostro salmista sono illuminanti (come lo saranno per Gesù) le parole della Torah: «Non di solo pane vive l’uomo, ma anche di Parola di Dio» (cf. Dt 8,3), cioè di quella Parola che dà senso di pienezza alla vita. Come dire: prima ancora di andare alla ricerca del pane, è necessario per te individuare un fondamento solido che dia sostegno alla tua esistenza. Questo fondamento solido l’orante del Sal 73 lo trova nel momento in cui nella sua preghiera esclama: «Dio è la roccia del mio cuore, mia parte per sempre» (v. 26). Egli scopre e sceglie il Signore quale punto fermo e fondamento unico della sua vita; l’unica eredità che gli sta a cuore. Questa nuova consapevolezza lo pervade di gioia, una gioia incontenibile. La realtà che lo circonda, con le sue problematiche e contraddizioni, non è cambiata, rimane quella di prima, ma adesso è lui che è cambiato e guarda le persone e le cose con altri occhi e da altra prospettiva. La novità e il motivo della gioia sono racchiuse in questa espressione semplicissima “con te”, «Ma io sono sempre con te» (v. 23), «Con te nulla desidero sulla terra» (v. 25). Sono parole che suonano come un’esplosiva dichiarazione d’amore a questo Dio che egli incontra in modo così nuovo per la prima volta, e da lui si sente amato totalmente.
Il nostro salmista era partito con l’intento di trovare la soluzione allo scandalo del successo degli empi, soluzione che da solo non trova, seppure si sia impegnato con una riflessione approfondita. Ma pellegrinando nella sua interiorità incontra il Dio vivente che lo porta a guardare la storia e gli eventi della vita con gli occhi illuminati dalla sua luce. Egli gioisce perché Dio lo ha preso per la mano destra (v. 23). Guidato da lui, adesso cammina sicuro. Non è terrorizzato né dagli scandali, né dalle ingiustizie, anche se continuerà a combatterle; e neppure è terrorizzato dalla prospettiva della morte, come accade ai malvagi, perché è sicuro che Dio non lo abbandonerà mai. Ripete con convinzione: «La vicinanza di Dio è per me il bene» (v. 28). Per lui è l’unicum che conta veramente. Gli scandali, le ingiustizie e le sofferenze della vita permangono. Quanti cercano di vivere nella via della giustizia, continueranno ad andare incontro ogni giorno a fatiche e contraddizioni d’ogni genere. «Ma io nel Signore ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le sue opere» (v. 28), conclude il salmista. Pertanto arricchito e fortificato da una tale esperienza vitale, egli si propone di raccontare ad altri, con la sua vita più che con le parole, la bellezza di un incontro che lo rende felice: Misericordias Domini in aeternum cantabo!
5. Per concludere
All’inizio del Terzo Libro del Salterio, un credente di Israele ci racconta il cammino interiore che ha fatto per superare la sua crisi di fede di fronte al successo e alla arroganza degli empi. Egli propone la sua esperienza a tutta la comunità di Israele alle prese con una montagna di problemi che sta affrontando al ritorno dalla schiavitù di Babilonia: la ricostruzione di Gerusalemme, l’assenza di un re nella reggia diroccata, i ruderi del Tempio da riedificare e ancor più l’unità sociale e spirituale del popolo da rinsaldare. Il salmista dice alla comunità del suo tempo, e oggi dice anche a noi: se vi impegnate in un cammino sapienziale nel santuario del vostro cuore, potrete incontrare il Signore della vita che rinvigorisce le forze, ridona la speranza e con la sua luce vi aiuta a camminare nei sentieri impervi della storia.
Per l’Israele di allora i sentieri impervi erano le rovine materiali e sociali di Gerusalemme. Per noi, oggi, i sentieri impervi sono i dissesti della sanità, dell’economia e dell’ambiente, aggravati dalla pandemia del covid ancora tutta da debellare. Nel contesto di tutto il Salterio, il nostro salmista invita tutti i credenti ad orientare i cuori verso un luogo sicuro di rifugio: il Dio dell’Alleanza. Questo invito sarà raccolto dai salmisti del Quarto e del Quinto Libro del Salterio, dove incomincerà a risuonare sempre più forte la lode al Dio fedele, Signore della storia e dell’universo, fino a raggiungere il grido fortissimo dell’ultimo versetto del Salmo 150: «Ogni vivente dia lode al Signore!» Vogliamo unirci anche noi a questo coro: Ogni vivente lodi il Signore!
Aurelio Antista
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