Nell’opera “Gesù e la folla” di Fernando Botero, Cristo è immerso in un’umanità deformata dal giudizio e dal pregiudizio.
Nell’opera “Gesù e la folla” di Fernando Botero, Cristo è immerso in un’umanità deformata dal giudizio e dal pregiudizio.
«Io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità» (Gv 18,33b-37). Ma, nella folla, nessuno sembra prestare attenzione al suo esempio: le espressioni deformanti dei volti trasformano l’umanità in una calca di mostri; le bocche spalancate e rancorose paiono sparare sentenze fuori dai denti, sicure della propria verità; l’oscura notte in cui viviamo è illuminata da torce come nei quadri sulla cattura di Gesù nell’orto, solo che stavolta si respira un’aria di tradimento collettivo.
Così Gian Carlo Olcuire, su Vino Nuovo, vede l’opera del 2010 Gesù e la folla dell’artista colombiano Fernando Botero. I personaggi, nel suo consueto stile, sono gonfiati, forse per renderli più memorabili, ma Gesù, immerso nell’oggi, non dimostra nulla di caricaturale. È la gente dai volti multicolori tutt’attorno che è deformata a causa dei suoi giudizi e pregiudizi, della cattiveria che non porta aiuto alla sofferenza. Tutto ciò sembra fatto apposta per rimarcare la distanza dall’unico che non smette di restare uomo, ben diverso dai re che si credono Dio.
“E dire che Gesù ha appena confessato: «Il mio regno non è di quaggiù». Quaggiù è assurdo un re che entra in Gerusalemme seduto su un’asina, senza armi, senza eserciti e senza segni del comando. Uno che, pur sapendo d’essere il re dei re, non si definisce mai tale, non si fa valere con modi da sbruffone (tipo «voi non sapete chi sono io»), non mostra i muscoli né combatte. È un re da ridere, per la logica del mondo. E da irridere: non a caso qualcuno gli ha già posato sul capo una corona di spine e qualcun altro starà posando, sulla croce, la scritta Inri. Circondato di ostilità e completamente isolato, questo re viene bullizzato dalla moltitudine, nonostante abbia raccontato come stanno davvero le cose: che c’è un Dio padre di tutti, che ci ama, e che gli altri sono fratelli da amare e da perdonare.”
Davanti a coloro che non gli credono, questo re continua a dare testimonianza alla verità, sapendo quanto ciò sia perdente. Ma chi gli vuol bene, non si dispera e non dimentica la scritta che, sulla croce del Duomo vecchio di Molfetta, volle lasciare don Tonino Bello: «collocazione provvisoria»: dopo il buio, «ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. […] Il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali, e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga».
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