Un percorso all’interno del Libro dei Salmi, per un cammino di maturità umana e di fede. Salmi dal 3 al 41.
Un percorso all’interno del Libro dei Salmi, per un cammino di maturità umana e di fede. Salmi dal 3 al 41.
1. Il primo Libro dei Salmi (Sal 3-41)
Ricevuta in dono la vocazione di figlio/figlia di Dio e di fratello/sorella in umanità e nella fede, a somiglianza del Messia Figlio di Dio («Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato»: Sal 2,7), è giunto il momento per il credente di affrontare l’impegnativo cammino della storia umana, la durezza della vita quotidiana, la faticosa arte del vivere da credenti umanizzando la propria esistenza. Si tratta di imparare, formato dalla Parola e dalle situazioni della vita, a saper coniugare con sapienza la fede con la quotidianità e con i movimenti della storia, realtà – lo sappiamo – di per sé complesse e complicate, realtà che l’orante nel Salmo 23,4 qualifica come «valle oscura», immagine simbolica efficace che riassume ogni umana difficoltà, incertezza, tormento e sofferenza patite dal credente nell’impatto con le varie forme di idolatria e di mondanità che abitano nella sua coscienza e nel mondo.
Certo, la consapevolezza di essere stati generati da Dio come suoi figli/figlie e come fratelli/sorelle di tutta l’umanità, ad immagine della forma o stile di vita del Messia – che per noi cristiani è l’uomo Gesù, Figlio di Dio e nostro Fratello, il quale ha voluto che la sua Chiesa fosse una fraternità-sororità nella fede (cf. Mt 23,8; Lc 8,1-3) – è indubbiamente un progetto, un cammino di vita affascinante ed entusiasmante. Ognuno di noi può fare memoria della propria generazione in Dio, tramite l’incorporazione nel Figlio Gesù e nella Chiesa popolo di Dio, avvenuta nell’evento sacramentale-generativo del Battesimo e confermata nella Cresima; ognuno di noi può fare memoria del momento in cui ha preso esplicita consapevolezza di tutto questo e dei momenti entusiasmanti del proprio cammino umano e di fede che si sono succeduti nel tempo.
Ma poi è avvenuto il primo impatto con le complessità della vita, con le prime difficoltà, le prime illusioni, i primi dubbi, i rifiuti, i distacchi, i ripensamenti, le visioni distorte di Dio e della vita: insomma, le difficoltà degli inizi di un cammino di vita cristiana che vuole essere responsabile e consapevole. Ebbene, noi ritroviamo tutto questo travaglio nel Primo Libro dei Salmi (Sal 3-41), con il quale siamo chiamati a confrontarci. Tale confronto sarà più fecondo, se ci accostiamo a queste pagine bibliche da persone credenti a cui sta a cuore l’umanizzazione del mondo e l’autentico senso della vita cristiana.
Per un aiuto alla nostra lettura, è opportuno evidenziare la struttura redazionale del Primo Libro, per renderci conto che i singoli salmi stanno l’uno accanto all’altro non in modo accidentale, ma legati da un filo rosso che li unisce, da una trama esistenziale che li vincola l’uno all’altro. Da uno sguardo d’insieme, il Primo Libro del Salterio appare suddiviso in tre sezioni. La prima sezione va dal Sal 3 al Sal 14, dove l’orante prende coscienza che la vita del credente in questo mondo è una dura lotta quotidiana nella fede contro numerosi nemici, che abitano dentro di sé e fuori di sé. La seconda sezione va dal Sal 15 al Sal 24 (sezione centrale del Primo Libro), dove l’orante si confronta con le esigenze della vocazione: stare nella storia alla presenza di Dio, centralità della sua Parola, fiducia nella vittoria del Messia. La terza sezione va dal Sal 25 al Sal 41, dove la lotta si fa ancora più dura e gli stati d’animo dell’orante si alternano tra angoscia e pace, tra confessione di colpa e protesta di innocenza, tra sconforto e fiducia, tra disperazione e speranza e impegno risoluto e generoso di proseguire facendo la volontà di Dio. Cerchiamo, ora, di entrare nel mondo vitale di questo Primo Libro.
2. Prima sezione: Salmi 3-14. La vita è una lotta continua
Entusiasta di essere stato generato figlio/figlia di Dio e fratello/sorella con tutti nella fede e in umanità, ecco che l’orante si sveglia di buon mattino e si accorge di avere numerosi nemici («Signore, quanti sono numerosi i miei avversari…»: Sal 3,2), che lo mettono alla prova, lo perseguitano giorno e notte. La lotta inizia al mattino (cf. Sal 3) e segue la sera (cf. Sal 4), prosegue ancora il giorno dopo, al mattino (cf. Sal 5) e alla sera (cf. Sal 6). È come se dicesse: “Ogni giorno è una lotta continua!…”. Nel dialogo interpersonale con Dio, l’orante sta prendendo coscienza che la vita del credente in questo mondo è una lotta, un combattimento duro e sfiancante, perché deve ogni giorno combattere contro numerosi nemici che abitano dentro di sé (desideri, pulsioni, visione della vita, pregiudizi…) e intorno a sé (condizionamenti culturali, sociali e religiosi…), e, di conseguenza, trascorre notti insonni nel lamento e nel pianto (cf. Sal 6,7). Provato dal dolore, l’orante in questi salmi di supplica, che si susseguono a ritmo incessante, chiede l’aiuto, la protezione e il sostegno di Dio, perché sa che il Dio dell’Alleanza è un Dio affidabile, è degno di fiducia, non delude e non inganna; egli vede le malvagità, odia il male e sta sempre dalla parte del povero e dell’oppresso (cf. Sal 3,4.6.9; 4,4.9; Sal 5,12-13; 12.6-8; 14,2.5-6…).
Già da questi salmi ci rendiamo conto che i protagonisti di tutto il Salterio sono tre: Dio, l’orante e i nemici. Riguardo a Dio, abbiamo già detto, e altro ancora diremo in seguito. Anche dell’orante qualcosa abbiamo già detto, ma qui c’è da aggiungere che egli, pur ritenendosi giusto e innocente, a differenza dei nemici che stanno fuori di sé, nondimeno riconosce di essere un peccatore, poiché i nemici abitano anche nella sua interiorità, stanno anche dentro di sè (cf. Sal 6,2-4; 7,4-6; 9,14-15). Ma cosa dire dei nemici? Essi sono numerosi e sono qualificati come avversari, malvagi, malfattori, menzogneri, corrotti, si vantano del male che fanno, pensano che Dio è distratto e non vede nulla, che comunque a loro tutto andrà sempre gli andrà; per questo spiano il giusto e il povero e cercano di metterlo in difficoltà, di approfittare di lui e di farlo cadere (cf. Sal 5,10; 7,15: 10,2-32; 14,1).
Di fronte a questa situazione insopportabile, l’orante supplica Dio perché intervenga con la sua ira («Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi…, fina a quando su di me prevarrà il mio nemico?»: Sal 13,2-3; cf. 6,4) e distrugga il male compiuto dall’empio (cf. Sal 5,11; 9,16-18). Ci domandiamo: perché l’orante supplica Dio con parole forti e violente contro il nemico? E in che cosa consiste l’ira di Dio? Sono domante legittime, in quanto una supplica di questo tipo rivolta a Dio è perlopiù inconcepibile, tanto più per un cristiano. Così normalmente si pensa. In realtà, questi salmi di supplica (o “imprecatori”) vanno capiti, poiché ci aiutano a stare di fronte a Dio e di fronte agli avversari, interni ed esterni, non alla maniera umana, bensì alla maniera di Dio; vale a dire ci aiutano a pregare ed agire in verità.
E allora, quando l’orante, affranto dall’oppressione del suo nemico, si rivolge a Dio perché lo annienti, egli sta ponendo la sua vita nelle mani di Dio, si sta affidando a Lui, perché l’orante sa bene che Dio non reagisce alla maniera umana – cioè rispondendo alla violenza con la violenza, al male con il male –, bensì alla maniera Sua: rispondendo al male con il bene, alla violenza con la nonviolenza, vale a dire cercando di correggere il nemico e di convertirlo al bene. Così ha pregato (anche con i salmi imprecatori) e agito Gesù di fronte ai suoi avversari e persecutori. Così ha pregato e agito il diacono Stefano. Così l’apostolo Paolo – che fu presente e approvò la lapidazione di Stefano – comprese perfettamente il modo sapiente con cui Dio lotta contro il male, modo che deve diventare anche il nostro. Scrive, infatti, in Rm 12,17-21 (dove si evocano varie pagine dell’Antico Testamento: cf. Gen 50,19; Lv 19,18; Dt 32,35; Pr 20,22; 25,21-22):
«Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene».
Da qui, inoltre, comprendiamo che l’ira di Dio non è simile a quella dell’uomo, tendente ad annientare moralmente e/o fisicamente l’avversario. No, l’ira di Dio è l’altra faccia della sua misericordia: egli non resta indifferente di fronte al male, ma con forza manifesta tutto il suo sdegno e nel contempo risponde al male con il bene al fine di correggere e convertire il nemico alla pace e alla giustizia, cioè a saper tessere relazioni di fraternità-sororità e a prendersi cura del povero e del debole. «Io – dice Dio per bocca del profeta Ezechiele – non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva» (Ez 33,11; cf. 18,23). Le parabole della misericordia narrate da Gesù in Lc 15 sono un commento approfondito ed esaustivo ad Ezechiele, come pure il Discorso della Montagna e in particolare quei versetti che riguardano l’amore verso i nemici (cf. Mt 5,38-48; Lc 6,27-36), il cui apice rivelativo lo contempliamo nell’evento pasquale della Croce, dove Gesù, disinnescando su di sé l’inimicizia e la violenza umana, apre a noi la via alla riconciliazione con il Padre e con ogni persona umana (cf. Rm 5,5-11; Ef 2,1-10.14).
Ecco, i Salmi di supplica (anche imprecatori) ci aiutano a pregare e ad agire in verità contro i nostri avversari esteriori. Infatti, questi salmi ci insegnano: 1) a non essere indifferenti di fronte al male ma a saper esprimere tutta la nostra indignazione; 2) ad affidarci a Dio e ad interiorizzare il suo modo di reagire contro il nemico, sia disarmando noi stessi (è la lotta quotidiana contro i nemici che ci abitano dentro: cf. Mi 7,6; Mt 10,36), sia reagendo al male facendo il bene; e poiché confliggere contro gli avversari alla maniera di Dio è sempre più impegnativo che confliggere alla maniera umana (più sbrigativa…), questi salmi ci insegnano anche (3) a perseverare nella via della vita e a non cadere nella tentazione di fuggire dal Signore e di abbandonare la lotta (cf. Sal 11,1-3).
In questa situazione di dura oppressione, dove l’orante supplica l’aiuto di Dio, senza perdere la fiducia in Lui, si pone come riferimento centrale il Salmo 8, il quale loda la grandezza di Dio e la grandezza dell’essere umano. La grandezza di Dio (vv. 1-3.10) è cantata, oltre che dalla creazione (terra, cielo e mare), anche e in particolare dall’essere umano fragile e mortale, la cui cifra simbolica è rappresentata dagli infanti e dai bambini, ovvero dalle persone più deboli e fragili, più esposte ai pericoli e agli ostacoli della vita, ma che sono anche le persone che più sentono il bisogno di affidarsi agli altri. È, dunque, attraverso i poveri che Dio mostra la sua grandezza e riduce al silenzio l’arroganza degli avversari. Da qui lo stupore del salmista riguardo alla grandezza dell’essere umano, che per statuto creaturale è fragile e debole (vv. 4-9). L’essere umano è grande nel suo limite creaturale – «l’hai fatto poco meno di un dio», ovvero è creatura e non dio –, e per questo Dio si prende cura di lui e gli affida la responsabilità («il potere») di curare e custodire il mondo e il creato. Chi è, dunque, l’essere umano? È colui che, posto in un mondo complesso e pieno di travagli, coltiva i sogni e i progetti di Dio per collaborare con Lui a costruire un mondo redento, riconciliato e umanizzato.
3. Seconda sezione: Salmi 15-24. Le esigenze dell’essere figli e fratelli
Siamo nella sezione centrale del Primo Libro dei Salmi. Qui l’orante, nel suo cammino esistenziale e di fede, ostacolato dalla presenza di numerosi nemici (all’interno e all’esterno di sé), concentra la sua l’attenzione sulle esigenze della vocazione ricevuta in dono. Che consa comporta il fatto di essere diventati figli/figlie di Dio e fratelli/sorelle in umanità e nella fede? Ecco il Sal 15, che apre la sezione, e il Sal 24, che la chiude, a mo’ di inclusione. Diventare figli/figlie di Dio significa stare alla sua Presenza, dimorare in Lui, vivere una relazione di comunione interpersonale con Lui, vivere un cammino di ricerca del suo Volto (Sal 15,1: “abitare nella sua tenda”, “dimorare sulla santa montagna”; Sal 24,3: “salire il monte del Signore”, “stare nel suo luogo santo”, “generazione che cerca il volto di Dio”). E deve essere chiaro per noi, come lo è chiaro al salmista (cf. Sal 24,1-2), che la Presenza del Signore non è soltanto nel tempio, ma anche nella nostra persona, nella nostra umanità e nella nostra storia, dove siamo chiamati ogni giorno a cercare il Volto di Dio. Sì, anche noi ed in particolare i poveri, tutti creati ad immagine di Dio e a somiglianza del Figlio Gesù, siamo luogo e dimora esistenziale della sua Presenza, e, per un cristiano, della presenza di Dio Trinità, che è presenza di comunione (cf. Gv 14,23), siamo tempio di Dio e del suo Spirito (cf. 1Cor 3,16-18; 2Cor 6,16; Ef 2,21; Eb 3,6).
Per questo il Sal 15, nei vv. 2-5, ci dice come essere dimora di Dio nella vita quotidiana, nel mondo e nella storia: agendo con giustizia; vale a dire, essere trasparenti e non ambigui con gli altri, essere attenti e solidali con il povero, con l’impoverito reso tale per l’avidità dei ricchi, e con l’indifeso, e nel contempo tessere relazioni di autentica fraternità-sororità umana e di fede. Allo stesso modo, il Sal 24,4, afferma che la trasparenza del cuore e l’agire con mani innocenti, cioè senza arroganza e violenza, ci rendono luogo di accoglienza di Dio e suo tempio esistenziale. Centrale in questa sezione e, significativamente, il Sal 19. È una lode alla Parola di Dio, che al credente parla in modo implicito attraverso la creazione (vv. 2-7) e in modo esplicito attraverso il dono della Torah (vv. 8-15), la Parola scritta consegnata al popolo di Dio al Monte Sinai, come Parola che illumina, orienta e sostiene il cammino della vita. Dobbiamo notare che questo salmo è preceduto dal Salmo 18, il quale sottolinea l’amore dell’orante verso Dio e l’amore di Dio per il giusto perseguitato, amore di un Dio che si abbassa e si umilia e che per questo apre, nell’ultimo versetto, all’evocazione del Messia vittorioso sui nemici,
4. Terza sezione: Salmi 25-41. La lotta si fa più dura e l’obbedienza alla Parola più esigente
Questa sezione chiude il Primo Libro dei Salmi. L’orante sperimenta che giorno dopo giorno la lotta contro gli avversari (interni ed esterni) si fa sempre più dura e più aspra, fino ad invocare così il suo Dio: «Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza. Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto. […] Non gettarmi in preda ai miei avversari. Contro di me si sono alzati falsi testimoni che soffiano violenza» (Sal 27,9-10.12). In questa condizione esistenziale gli stati d’animo dell’orante si alternano con un ritmo asfissiante a ondate alte e basse: ora sentimenti di pace, ora di angoscia; ora protesta di innocenza, ora confessione di colpa; ora fiducia in Dio, ora sconforto; ora speranza in Dio, ora disperazione; ora la certezza che è meglio il poco dei giusti perché i giusti sono gli unici capaci ad abitare e curare la terra, ora invece la tentazione di imitare il malvagio al quale gli si invidia che ogni impresa gli va bene… (cf. Sal 37).
Questa fase del faticoso cammino di crescita dell’orante nella figliolanza e nella fraternità si conclude comunque con l’impegno a compiere la volontà di Dio: il vero sacrificio che chiede Dio è compiere la sua volontà, in conformità alla sua Parola che merita attento ascolto e meditazione. E così l’orante, in obbedienza alla Parola santa, dichiara a Dio la sua disponibilità, nonostante il clima di oppressione, ad abitare questa terra secondo lo stile dei poveri e dei giusti. Perciò dice: «Ecco io vengo…» (Sal 40,7-9). Così come, in obbedienza al Padre, lo dirà il Figlio Gesù entrando nel nostro mondo complesso e complicato… (cf. Eb 10,5-7).
Egidio Palumbo
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