La disuguaglianza fondiaria è in crescita

Secondo una ricerca, il 50% più povero della popolazione rurale possiede appena il 3% del valore dei terreni agricoli.

La disuguaglianza fondiaria è la disparità di accesso alla proprietà terriera tra, da una parte, i piccoli proprietari e le aziende agricole a conduzione familiare, dall’altra, gli Stati e le multinazionali. Questa tendenza comporta che le popolazioni indigene e le comunità rurali vengono marginalizzate in appezzamenti di terreno più piccoli o sono costrette ad abbandonare le proprietà, mentre investitori stranieri e grandi imprese agricole si accaparrano sempre più terra, per poi sfruttarla secondo modelli di produzione industriali che impiegano molte meno persone rispetto alle coltivazioni tradizionali e riducono la biodiversità dell’ambiente.

Secondo una recente indagine di cui si parla sul sito della campagna Chiudiamo la forbice, questa disuguaglianza è ben peggiore di quanto si pensasse in precedenza. Considerando fattori come la proprietà degli appezzamenti, il valore dei terreni e gli abitanti senza terra, individuati su un campione rappresentativo di diciassette Paesi, la ricerca ha rivelato che il 10% più ricco della popolazione rurale possiede il 60% del valore dei terreni agricoli, mentre il 50% più povero, quello più dipendente dall’agricoltura, ha appena il 3% di questo valore. Nel mondo, circa l’84% delle aziende agricole sono più piccole di due ettari e gestiscono solo il 12% dei terreni coltivabili.

Questo significa che circa due miliardi e mezzo di persone coinvolte nella piccola agricoltura vedono minacciati direttamente i propri mezzi di sostentamento. Ciò ha conseguenze anche nella stabilità e nello sviluppo di società solidali e sostenibili, strettamente legate alle crisi globali di declino democratico, cambiamento climatico, migrazioni di massa, insicurezza sanitaria. Gli attuali sistemi di proprietà, produzione e consumo che alimentano le disuguaglianze tra le società ricche e quelle che cercano di emergere dalla povertà sono incompatibili con il riconoscimento della terra come bene comune.

Per contrastare questo andamento pericoloso occorrono non solo riforme legislative e sistemi di tassazione adeguati, ma anche regole per la responsabilità sociale e ambientale delle imprese. Una ridistribuzione della terra a lungo termine che prevenga un ritorno alla disuguaglianza fondiaria, tasse che scoraggino l’accumulo di terra in poche mani e nuove norme che obblighino le aziende a rispettare standard sociali e ambientali sembrano, visti gli enormi interessi in campo, difficili da stabilire, ma non sono impossibili. I movimenti dei contadini locali e le azioni collettive globali possono lottare assieme contro gli squilibri di potere, nella direzione di una rivoluzione ecologica integrale.