Un saggio intende dimostrare che il poema di Dante è un esempio supremo di imitazione delle Scritture.
Un saggio intende dimostrare che il poema di Dante è un esempio supremo di imitazione delle Scritture.
Durante una messa domenicale, l’insegnante di letteratura italiana Lisa Cattaneo è stata colpita da una lettura della Prima lettera ai corinzi: secondo lei, il paolino «Considerate infatti la vostra vocazione, fratelli» ha generato il dantesco «Considerate la vostra semenza» del canto XXVI dell’Inferno. Da questa corrispondenza, ha deciso di indagare meglio il rapporto tra Dante e la Bibbia e ha scritto il saggio Dante tra Paolo e Isaia, pubblicato sul sito Bibbia Cultura Didattica.
Certo, è consapevole che l’Alighieri non fa niente di straordinario nel servirsi delle Scritture, ma, con un’audacia non presente negli altri autori medievali, non si limita a seguirle. Il sommo poeta sembra scrivere ciò che Dio gli detta, come se la Commedia fosse il terzo Testamento. Nel Medioevo, inoltre, c’era un’altissima considerazione per il genere letterario delle visiones, tanto da considerare equivalenti i termini visio e revelatio. Così, la letteratura visionaria veniva vista in un rapporto dinamico e complementare con la rivelazione biblica.
Partendo da ciò, la tesi che l’autrice vuole dimostrare è che la poesia della Commedia è un esempio supremo di imitazione della Bibbia. Limitando l’indagine al rapporto tra Dante e le figure di Isaia e di Paolo, il saggio evidenzia non solo la presenza di puntuali citazioni bibliche nel testo dantesco, ma anche la qualità della sua collatio, grazie alla quale quello che viene preso dalle Scritture sembra essere creato appositamente per la trama e lo sviluppo della storia. L’Alighieri, insomma, riesce a innovare riferimenti consolidati per arrivare a esiti affascinanti e convincenti.
Questo racconto ribalta il perfetto sistema costruito da Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae, che parte da Dio eterno e immobile per poi trattare le creature. Dante, invece, inizia dall’uomo smarrito, in soccorso del quale è mandato non il filosofo Aristotele, ma il poeta Virgilio, che lo condurrà alla verità rivelata e quindi a Dio. Egli, sperduto nella selva oscura della filosofia greca di Ulisse e della retorica classico-borghese di Brunetto, si salva nella divina foresta della parola di Isaia e della teologia di Paolo, che infondono linfa al progetto morale, politico e religioso della Commedia.
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