Il dolore per il Cristo morto

Il “Compianto sul Cristo morto” di Niccolò dell’Arca fa meditare sui sentimenti umani davanti alla sofferenza di Gesù.

Gesù giace a terra morto e una serie di mani esprimono lo strazio di questa visione: due stringono con forza una veste; altre si giungono in un’intensa stretta; un palmo sostiene la testa per non farla cadere nello sconforto; altre due vogliono allontanare l’insopportabile immagine; le ultime sono lanciate indietro, accompagnate da un urlo sofferente. Vari gradi di disperazione si trovano nei volti di tutti i presenti. Il Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca, gruppo scultoreo in terracotta della seconda metà del Quattrocento posto nella chiesa bolognese di Santa Maria della Vita, suscita nel fedele un’intensa emozione empatica.

Come spiega Salvatore Natoli su Avvenire, la visione di un’opera come questa doveva da un lato essere motivo di consolazione, dall’altro suscitare sentimenti di contrizione. Guardare la rappresentazione del corpo straziato e senza vita di Gesù consolava i sofferenti che vedevano il Lui uno come loro, che poteva davvero comprendere i propri dolori. Per questo l’iconografia del vir dolorum, che qui si associa a quello della mater dolorosa, era molto diffusa all’epoca. Quest’immedesimazione infondeva una singolare capacità di resistenza alla sofferenza, a cui nessuno sfugge: innanzi a un’immagine di dolore tutti gli uomini, anche se in modo diverso, si sentono chiamati in causa perché è qualcosa che li riguarda.

Ma la sofferenza di Cristo, frutto dell’arbitrio e della crudeltà degli uomini, non dovrebbe essere omologata alla sofferenza comune. Il dolore puro che rappresenta è indipendente da dove viene e da chi lo ha provocato. Nei secoli, però, il cristiano, preso dal proprio male, gli ha dato una coloritura sentimentale, enfatizzando un certo patetismo della miseria perché ha trovato nel Gesù piagato un compagno. Tutto ciò, comunque, appare un comportamento abbastanza sano, anche perché Cristo avrebbe volentieri evitato i patimenti che ha subito: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice» (Luca 22,42).

Natoli continua dicendo che, nella pratica devozionale, il Gesù piagato è divenuto il Gesù dei sofferenti, che ha messo sullo sfondo la circostanza che le piaghe Gli sono state inflitte da altri uomini e, quindi, erano evitabili. Ma Cristo dice alle donne che si battevano il petto e piangevano: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli» (Lc 23,28). Il Vangelo allontana, quindi, le lacrime versate per Lui e allarga il senso della meditazione sulla sofferenza. Sofferenza che poteva e può essere evitata: l’uomo dei dolori mostra ciò di cui gli uomini sono capaci e a cui possono giungere.