Il padre redentorista della Chiesa greco-cattolica Bohdan Geleta è stato un anno e sette mesi nelle mani degli invasori.
Il padre redentorista della Chiesa greco-cattolica Bohdan Geleta è stato un anno e sette mesi nelle mani degli invasori.
«C’era un altoparlante in un angolo della minuscola stanza. E per tutto il giorno da lì uscivano canzoni sovietiche. Ecco come si riesce a far impazzire le persone. Ed ecco perché così tanti prigionieri di guerra si tolgono la vita durante la detenzione». Il racconto del padre ucraino Bohdan Geleta sulla sua prigionia nelle mani dei militari russi durata un anno e sette mesi è agghiacciante. Nell’intervista di Avvenire si legge ancora: «Quando mi hanno messo per la prima volta in cella, c’era un giovane in piedi che guardava fisso nel muro. Ed è rimasto così per l’intera notte. Poi ho capito che era stato sottoposto all’elettroshock. E gli avevano intimato che, se non avesse saputo a memoria l’inno russo, lo avrebbero ucciso la mattina dopo. Lo ha imparato in una sorta di stato di trance».
Il redentorista e sacerdote della Chiesa greco-cattolica è stato catturato assieme al confratello Ivan Levitskyi, col quale svolgeva servizio a Berdyansk, città nella parte della regione di Zaporizhzhia ora occupata dai russi, il 16 novembre 2022 dai servizi segreti di Mosca senza un’accusa specifica, che più avanti è stata legata alla presenza di armi nella sua chiesa. Prima di quella data, l’invasione aveva reso l’abitato un luogo desolato: tutti i negozi erano chiusi, l’ottanta percento dei parrocchiani se n’era andato e il monastero accoglieva chi fuggiva da Mariupol. Poi, non avendo voluto collaborare, i due religiosi hanno passato diciannove mesi in tre diversi luoghi di detenzione, fino allo scorso 27 giugno quando sono stati liberati in occasione di uno scambio di prigionieri a cui ha contribuito anche la Santa Sede.
Dopo l’arresto in chiesa al termine di un funerale da pare di persone armate col volto coperto, per padre Bohdan è iniziato l’incubo della prigionia: «Eravamo in sette o otto in un locale per due reclusi. Dormivamo sul pavimento. I muri erano fradici di umidità. Nei quattro mesi che abbiamo trascorso lì, abbiamo visto passare molti reclusi: alcuni rimanevano una settimana, altri mesi. Si udivano anche le grida provenire dai corridoi perché c’erano persone che venivano torturate: era orribile». Successivamente, ci sono stati i trasferimenti alla colonia penale di Berdyansk e, dopo tre giorni passati in uno scantinato, in quella di Horlivka, dove padre Ivan è stato picchiato fino a perdere due volte conoscenza.
Qui, rasati e in uniforme, è iniziato il periodo da prigionieri di guerra segnato dagli abusi. «Molti dei nostri compagni erano giovani militari: ragazzi di ventuno o ventidue anni catturati dopo le prime settimane di invasione. Poi c’erano i soldati del battaglione Azov che erano i più maltrattati. […] Le giornate erano scandite dal lavoro: in realtà scavavi una buca, la riempivi o strappavi l’erba». I due religiosi riuscivano a incontrarsi per pochi minuti al mattino e alla sera per leggere un brano della Bibbia e recitare alcune preghiere. Oggi, padre Bohdan si sente chiamato a continuare a pregare e a servire le persone che hanno vissuto e vivono questi traumi.
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