Dopo tredici anni di guerra e il sisma Aleppo non riparte

Sfiduciata e insicura a causa del vicino conflitto a Gaza, molta gente vive grazie alle rimesse dei parenti emigrati.

«A oltre un anno dal sisma, ci sono bambini che non riescono a dormire da soli», dice padre Bahjat Karakach, francescano della chiesa latina di San Francesco ad Aleppo. Questo drammatico ricordo si somma alle sofferenze causate da tredici anni di una guerra che non può ancora dirsi conclusa. Il cortile della parrocchia, dove si sta tenendo l’oratorio estivo, è un’oasi di serenità nel cuore della città siriana, ancora segnata dalle distruzioni. Ma la vicina guerra nella Striscia di Gaza paventa nuove ombre, continua il parroco: «In questi mesi la violenza ha varcato più volte il confine del Paese e tutti noi ci sentiamo ancora più insicuri. La gente è sfiduciata, non riesce a scorgere un futuro». Infatti, ai droni guidati dai ribelli oppositori del regime di Assad si aggiungono i missili provenienti da Israele che mirano a colpire gli alleati locali degli iraniani.

Tali dichiarazioni raccolte da Mondo e Missione sono lo specchio di una situazione sociale ed economica ancora difficile, dove la gente comune vive la quotidianità in mezzo a molteplici problemi. Dopo il terremoto sono diminuite le case agibili e il prezzo degli affitti è raddoppiato, tanto che lo stipendio mensile medio non basta e molte persone sono tornate nelle proprie abitazioni anche se non sicure. Nell’ultimo anno, poi, l’inflazione ha causato il raddoppio dei prezzi dei generi alimentari. Inoltre, la Siria è sempre più dimenticata dalla comunità internazionale, dalla quale arrivano sempre meno aiuti, e le sanzioni paralizzano il sistema produttivo, un tempo florido.

Per di più lo Stato è assente, spiega il sacerdote: «Dal sistema scolastico alla sanità, le istituzioni non riescono a garantire il funzionamento dei servizi di base». Così, crescono la disoccupazione, la povertà e la carenza di cure mediche. La gente riesce a sopravvivere «grazie alle rimesse dei parenti all’estero: ormai praticamente ogni famiglia ha almeno un membro che è emigrato. E poi attraverso il supporto di ong e istituzioni umanitarie. Oggi l’80% dei siriani ha bisogno di qualche forma di aiuto esterno», la percentuale più alta dall’inizio della crisi nel 2011.

La parrocchia, punto di riferimento per seicento famiglie, dà il proprio contributo nell’assistenza sia spirituale che materiale tramite la fornitura di pasti, il sostegno psicologico per i bambini, attività per i giovani, l’istruzione delle donne, microprogetti imprenditoriali, la ricostruzione di case danneggiate. Lo fa non solo nella comunità cristiana, ma anche in altre zone della città, senza distinzioni confessionali. P. Bahjat afferma: «portiamo avanti un impegno educativo e di riconciliazione che rappresenta un investimento importante per il futuro della società. […] Piccoli segni di cambiamento che portano una ventata di speranza nel contesto di fatica e preoccupazione».