Negli inferi della storia sono emersi testimoni di speranza e il confronto delle loro esperienze aiuta a capire l’attualità. Parte 2
Negli inferi della storia sono emersi testimoni di speranza e il confronto delle loro esperienze aiuta a capire l’attualità. Parte 2
1. Il grido che sale dall’umanità nella notte oscura della storia
“Dov’è Dio?”. È la domanda, spesso rivolta come un grido, che drammaticamente affiora nella coscienza e sulle labbra dei cristiani di fronte alle catastrofi umane causate dalla guerra o da altri tragici avvenimenti (pandemie, terremoti, alluvioni, terrorismo, stragi, genocidi…). È una domanda che interpella direttamente Dio, esigendo da Lui una giustificazione (teodicea) riguardo alla sua assenza, al suo mancato intervento nel mondo e nella storia. Le risposte a tale domanda sono varie e riflettono per lo più l’immagine di Dio che ognuno ha o pensa di avere; come pure riflettono la propria maturità (o immaturità) di fede, il proprio cammino di ricerca o anche la propria presunzione di avere pronta una risposta (spesso di comodo e strumentale) per ogni tragedia. Tuttavia, accade anche di non saper trovare una risposta adeguata e convincente, di rimane muti e silenziosi, come di fronte ad un enigma ad un mistero. E questo non è sempre un male.
Ma, assieme alla domanda “Dov’è Dio”, affiora drammaticamente anche un’altra domanda, anche un altro grido: “Dov’è l’uomo?”, “Che ne abbiamo fatto della nostra umanità?”. È una domanda che interpella la nostra responsabilità, il nostro modo di essere e di agire; è una domanda che esige da noi umani – ieri come oggi – una giustificazione (antropodicea) riguardo ai nostri silenzi, omissioni e irresponsabilità, alla nostra indifferenza e al nostro cinismo. Qui la risposta non può essere elusa o ignorata da nessuno. E va anche detto: per un credente le due domande si tengono insieme, perché la passione per Dio non può essere separata dalla passione per l’umanità e dal ricordo delle vittime dell’ingiustizia e dell’oppressione, di ieri e di oggi. Se infatti guardiamo al secolo passato e a quello presente, forte è la sensazione di essere avvolti da una notte oscura che rende stanca la nostra fede e arido il nostro amore, il nostro senso di umanità e di ospitalità. Facciamo, allora, memoria delle vittime che giorno e notte gridano davanti a Dio (cf. Lc 18,7). Raccogliamo questo grido, e ascoltandolo, lasciamoci liberare, noi cristiani dell’Occidente, dalla tentazione di continuare a fare del cristianesimo una religione per smemorati. Ricordiamo, dunque.
Le vittime della follia del nazismo, del fascismo e del comunismo.
Le vittime della follia della guerra in Ruanda, nell’ex-Iugoslavia e delle 378 guerre in atto nel mondo, compresa quella tra Russia e Ucraina, e quella in Myanmar (Birmania). E si deve tenere presente che alcune di queste guerre sono state messe in atto da cristiani, con la sfacciataggine di giustificarle (ovvero strumentalizzarle) in nome di Dio.
Le vittime della migrazione politica, economica e climatica: vale a dire i migranti rifiutati e tenuti oppressi (dietro compenso milionario dell’Italia e dell’Europa) nei campi di detenzione della Libia, del Sudan, della Turchia e della Grecia, e quelli poi fatti morire nel Mar Mediterraneo, il cimitero più grande del mondo. Anche qui è bene ricordare che alcuni Paesi implicati nella oppressione e mercificazione degli emigranti sono cristiani.
Le vittime della globalizzazione iper-liberista e senza regole, che crea povertà e grandi disuguaglianze, dove la concentrazione della ricchezza mondiale è sempre più marcata: lo 0,7% della popolazione controlla il 41% delle risorse disponibili e il 68,7% della popolazione ha la possibilità di accedere soltanto al 3% delle risorse. E così muoiono bambini, adulti e anziani per fame, per mancanza di accesso alle cure e a servizi igienico-sanitari adeguati. Nell’ultimo rapporto della Caritas Italiana si afferma che nel 2021 i poveri assoluti in Italia sono stati circa 5,6 milioni, di cui 1,4 milioni di bambini.
Le vittime di democrazie malate di autoritarismo, di violenza e incline al disprezzo per i diritti umani e civili, diffuse in tutto il mondo, dove a volte certe forze politiche utilizzano il nome di Dio e i simboli religiosi per raccogliere consensi ed escludere gli altri, perché per loro, nonostante si vantano di credere in Dio, la vita degli altri vale niente.
2. Gridare anche noi oggi?
Avvolti da questa notte oscura della storia, che cosa significa oggi gridare anche noi “dov’è Dio?” e “dov’è l’umanità?”. Che cosa significa per noi popoli dell’Occidente, che ci vantiamo delle nostre radici cristiane, levare questo grido a nome e in solidarietà delle vittime, considerando il fatto che, secondo il vangelo, l’albero lo si riconosce non dalle radici, bensì dai suoi frutti (cf. Mt 12,33-35)? Dobbiamo ammettere che i suoi frutti, purtroppo, in questi tempi sono per lo più frutti cattivi e non buoni: lo sta a dimostrare l’elenco (non esaustivo) delle vittime, poc’anzi indicato, il quale ci dice che il nostro mondo si è incattivito.
a) Con rispetto, di fronte al silenzio di Dio
Elie Wiesel (1928-2016), ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento nazista e premio Nobel per la pace nel 1986, nel suo La notte, diario autobiografico dell’esperienza nei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald, narra dell’esecuzione all’impiccagione di due adulti e di un bambino, a cui dovettero assistere i detenuti. I due adulti gridarono: «Viva la libertà!» e morirono subito. Il bambino invece taceva: «Più di una mezz’ora restò così, a lottare fra la vita e la morte, agonizzando sotto i nostri occhi. E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. […] Dietro di me udii il solito uomo domandare: – Dov’è dunque il tuo Dio? E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: – Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…».
Alla domanda “Dov’è Dio?”, Elie Wiesel sembra rispondere: è Dio stesso la vittima, è lui che muore nel bambino innocente e con il bambino muore l’idea stessa di umanità. Così scrive: «Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai».
Tuttavia, Weisel, fedele alla concezione teologica rabbinica della Shekhînah (l’abbassamento di Dio e la sua partecipazione alle sofferenze dell’umanità), sembra anche affermare che Dio soffre e muore con il bambino, pur rimanendo comunque sempre l’Eterno, allo stesso modo di come ha condiviso la sofferenza della deportazione e dell’esilio d’Israele in Babilonia, facendosi compagno di viaggio del suo popolo. Alla luce del Sal 139,8 («se scendo negli inferi, eccoti») si può dire che negli inferi di Auschwitz Dio era là, a condividere la sorte delle vittime. Si tratta, secondo Weisel e di altri con lui, dell’impotenza di Dio e del silenzio di Dio, ma non della sua negazione. E infatti, fedele ancora alla tradizione rabbinica, egli più volte ha ripetuto che il Dio confessato nella tradizione ebraica è nelle domande e non nelle risposte e nei discorsi. Interrogare Dio è come mettersi dalla parte di Giobbe.
Scrive Weisel: «Giobbe non ha mai capito la sua tragedia che, dopo tutto, era soltanto quella di un individuo tradito da Dio; essere traditi dai propri simili è molto più grave. Tuttavia, il silenzio di quest’uomo solitario e sconfitto durò tre giorni e tre notti, e soltanto dopo, identificandosi col suo male, pensò di aver acquisito il diritto di interrogare Dio. Di fronte a Giobbe il nostro silenzio dovrebbe prolungarsi per secoli». Il semplice fatto di rivolgersi a Dio, nella verità della propria condizione umana, e di avere il coraggio di interrogarLo, di per sé è garanzia della valenza altamente religiosa della domanda e del rispetto di Dio e del suo silenzio, anche se non compreso. D’altronde, con le dovute differenze, in parte è avvenuto così anche per Gesù, quando sulla croce interroga Dio: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). Grida a gran voce con il Sal 22 Gesù: è una domanda rivolta a Dio, gridata a gran voce, e nello stesso tempo è preghiera di lamento e di angoscia, ma non di disperazione e di irriverenza contro Dio, bensì di abbandono e di speranza in Lui (cf. Sal 22,22c-32).
b) Pregare per cambiare il proprio stile di vita
Tra coloro che hanno maturato di più la consapevolezza che da Auschwitz in poi il vissuto della fede cristiana e la riflessione teologica non possono rimanere più gli stessi, vi è il teologo cattolico Johann Baptist Metz (1928-2019). Egli ha interpellato l’occidente cristiano, affinché si liberasse da quella sorta di trionfalismo borghese che inneggia all’onnipotenza di Dio, rimanendo apatico e insensibile di fronte alla sofferenza umana, per riaprirsi invece alla memoria passionis delle vittime della Shoah e di ogni altra tragica catastrofe causata dagli umani. Solo a questa condizione, dopo Auschwitz – da Metz considerata cifra simbolica di ogni catastrofe – diventa credibile il nostro parlare di Dio. Noi possiamo ancora parlare di Lui, rendere testimonianza a Lui e alla sua Parola e continuare ad invocarLo nella preghiera, perché numerosi uomini e donne – ebrei, cristiani e altri – l’hanno nominato e pregato nell’inferno di Auschwitz e di altri campi di sterminio. Questa, dopo la Shoah, è la certezza che dà ancora senso al nostro invocare Dio, al nostro vivere in Lui e per Lui.
Fare memoria e pregare con le vittime delle catastrofi causate dall’insipienza e dall’ingiustizia umane, impegna oggi noi cristiani, persone e comunità ecclesiali, a domandare a Dio Padre, al suo Figlio Gesù e allo Spirito Consolatore il dono della conversione e della responsabilità, affinché ci sia dato il coraggio di cambiare il nostro stile di vita, fondandolo sul vangelo della nonviolenza e della pace, della compassione per il dolore degli altri, della solidarietà e dell’ospitalità. Solo così diventeremo cristiani testimoni della passione di Dio per l’umanità fragile e sofferente e per le vittime dell’ingiustizia.
Fr. Egidio Palumbo
Mercoledì della spiritualità 2022, Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto
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