Vivono in quartieri degradati, subiscono discriminazioni e violenze, ma nonostante tutto conservano una fede incrollabile.
Vivono in quartieri degradati, subiscono discriminazioni e violenze, ma nonostante tutto conservano una fede incrollabile.
A Karachi, nella zona di Essanagrì, che significa “quartiere di Cristo”, più di mille famiglie cattoliche abitano in case fatiscenti, che danno su vicoli dove scorrono fognature a cielo aperto. I bambini giocano a piedi nudi nella sporcizia e sono costretti a iniziare a lavorare anche dai dieci anni. Nella piccola scuola elementare di St. Mary, gli alunni devono bere l’acqua sporca semplicemente filtrata, con un logico proliferare di malattie.
Il parroco don Joseph Saleem ha raccontato a Missioni Consolata: «Non è raro che i cristiani vengano attaccati. Recentemente in questo quartiere sono stati uccisi cinque ragazzi cristiani. […] Ogni domenica vi sono due messe, ma partecipano talmente in tanti che molti riescono a malapena a sentire le parole del sacerdote». E su ogni porta è dipinta una croce.
In Pakistan, i cittadini cristiani sono di seconda classe. In un Paese in cui il 97% delle persone è musulmano, questa minoranza (circa il 2% della popolazione) incontra difficoltà, ingiustizie e discriminazioni quotidiane a causa della sua religione, ma nonostante tutto conserva una fede incrollabile. Inoltre, gli aspetti più opprimenti della società islamica si intrecciano a quelli del sistema delle caste indiano che emargina quelle inferiori, tra le quali spesso si trovano cristiani
Nel quartiere Kuda ki la chiesa non c’è neanche. Le messe sono celebrate in una piccola sala parrocchiale e la speranza è quella di costruirne una, dedicata a san Barnaba, su un piccolo lotto di terra, perché se c’è i cristiani non vengono facilmente cacciati dalle loro case. Lo afferma don Augustine Soares, parroco di San Giuda, la chiesa più vicina, ma a oltre tre quarti d’ora di macchina. In questa parrocchia, dove vi sono stati diversi episodi di persecuzione, molte famiglie cattoliche se ne sono andate per motivi di sicurezza.
Arrivati a essere accusati di far troppo rumore quando pregano, i cristiani subiscono violenze fisiche, attacchi alle abitazioni, rapimenti e conversioni forzate all’islam di ragazze (ogni anno sono, assieme a giovani indù, almeno mille). Pochi si arrischiano a denunciare, per paura di essere accusati di blasfemia contro il Corano. A tutto ciò si aggiunge la povertà diffusa, frequentemente legata alla schiavitù delle fabbriche di mattoni.
Solitamente, il proprietario della fabbrica presta del denaro e, per farsi ripagare il debito, chiede in cambio lavoro. Ma questo si traduce in paghe infime, inganni sui conteggi del denaro da restituire, condizioni di lavoro invalidanti. Spesso qui i cristiani sono anche analfabeti, per cui è facile farli vivere in piccole stanze anche senza tetto e lavorare per poche rupie al giorno: per guadagnare l’equivalente di un euro occorrono centosessanta mattoni integri. Considerando che sono composti di terra e acqua e vengono fatti asciugare al sole, basta che piova per vedere svanito il proprio lavoro.
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