Ecuador, per i vescovi l’attuale conflitto armato non riguarda solo i governanti

La Conferenza Episcopale locale chiede la pace dopo gli attacchi delle bande criminali legate al narcotraffico.

Da una settimana l’Ecuador sta subendo un attacco interno da parte dei gruppi criminali e la Conferenza Episcopale locale si è rivolta così a tutti abitanti di buona volontà che stanno assistendo a questa drammatica situazione, riporta l’Agenzia Fides: «Viviamo tempi di angoscia nel nostro Paese. La criminalità organizzata sta seminando caos e disperazione nella nostra vita quotidiana. La violenza, da qualsiasi parte provenga, deve trovarci uniti, con lo sguardo rivolto al futuro e con la forza necessaria affinché l’Ecuador sia quello che è sempre stato, un luogo di pace, di lavoro, di fraternità. […] Non perdiamoci nel panico sterile che fa il gioco dei violenti, dando credito a qualsiasi immagine allarmistica condivisa sui social network, né nell’ingenuità di arrenderci, credendo che questa lotta riguardi solo chi ci governa».

Dopo lo stato di emergenza e il coprifuoco per sessanta giorni proclamato in seguito alla fuga di Adolfo Macías detto Fito, considerato il principale capo di una banda criminale, il 9 gennaio il presidente Daniel Noboa ha dichiarato l’esistenza di un conflitto armato interno tra le forze militari e ventidue gruppi criminali organizzati transnazionali, definiti organizzazioni terroristiche. La polizia è dovuta intervenire in più di seicento situazioni di emergenza, come nelle strade di Guayaquil dove otto persone hanno perso la vita in attacchi contro pedoni e veicoli. Inoltre, centottanta persone sono ostaggio dei detenuti in rivolta in sette carceri.

Direttamente alle bande criminali ecuadoregne, in stretti rapporti con organizzazioni di narcotrafficanti colombiani, messicani e albanesi, si è rivolto monsignor David Israel de la Torre, vescovo ausiliare di Quito e segretario generale della Conferenza episcopale del Paese. Come si legge su Vatican News, con un appello ha chiesto di deporre le armi, rinunciare al crimine e volgersi a Dio. Ma la situazione non è così semplice, perché, afferma il prelato, esiste anche la complicità di moltissimi attori: l’Ecuador «sta vivendo la narco-politica». Egli continua: «La Chiesa cattolica in Ecuador è presente dove lo Stato non è ancora arrivato, nei quartieri dove la criminalità e il narcotraffico sono diffusi. L’unica oasi di pace, di incontro e di dialogo continua a essere la Chiesa. Dobbiamo riconoscere il coraggio della vita religiosa, della vita consacrata dei sacerdoti e dei laici che rischiano la vita ogni giorno».