L’educatore professionale in oratorio / 1

L’intervento di monsignor Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, al seminario “Dalla necessità al progetto. L’educatore professionale in oratorio”.

Vi proponiamo l’intervento di monsignor Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, al seminario “Dalla necessità al progetto. L’educatore professionale in oratorio”, tenutosi il 18 novembre 2016 a Bologna e organizzato dal TECO – Tavolo Educatori Cooperative Oratorio in collaborazione con le cooperative Altra Tensione, AnimaGiovane, Aquila e Priscilla, Curiosarte, Don Bosco, Eidè, ET – Educatori di Territorio, Pepita e con il sostegno di Confcooperative Emilia Romagna, FOI – Forum Oratori Italiani, ReteSicomoro. Di seguito, potete anche trovare alcune riflessioni generate dalle parole di mons. Zuppi.

Come l’oratorio è segno di una chiesa in uscita?

L’oratorio deve sapersi rinnovare senza dar per scontata la continua conversione a cui è chiamato: a tale scopo, sarebbe utile l’impegno nel realizzare le indicazioni contenute nell’Evangelii Gaiudium. Per essere “in uscita”, l’oratorio deve proporsi come una porta larga e intelligente, segno dell’accoglienza di una Chiesa con volto di madre. La criticità non sta nello sviluppo di una dimensione professionale, ma nel credere che tali competenze bastino a dare una giusta risposta alla nostra chiamata e che il rinnovamento stia nella semplice moltiplicazione e diversificazione delle attività: il punto centrale in tale conversione sta nell’essere. A tale scopo, viene proposto l’esempio di don Milani, della sua “santa inquietudine”, della sua paternità.

È un errore pensare che basti la vicinanza, la presenza dei ragazzi nei nostri ambienti per poter mantener fede al compito dell’oratorio. Bisogna aiutarli a crescere, a farli ragionare, a sviluppare un pensiero critico, ad uscire dall’individualismo, ad andare oltre l’esperienza virtuale. Don Milani ci insegna con la sua paternità la centralità della preparazione, della formazione, dell’insegnare all’uso della parola, del favorire il confronto. Tale paternità, tale “santa inquietudine” sono presupposti indispensabili anche per un intervento professionale negli oratori. Come ultima appendice, il vescovo propone di riflettere sull’opportunità di pensare a luoghi “con un po’ meno d’incenso e un po’ più di strada”, anche per favorire un collegamento più forte con il mondo della scuola.

In un discorso professionale quanto e come c’entra la fede?

La professionalità, certo, ha dei rischi. Il vescovo c’invita a riflettere come tutte le nostre azioni debbano costantemente riferirsi alla dimensione della gratuità, la cui priorità è la donazione profonda di sé, il desiderio di aiutare le giovani generazioni. È necessario partire dalla gratuità, e non perderla, per coinvolgere anche altri in essa. Il punto di partenza non dev’essere il bisogno di un lavoro: “faccio il lavoro perché è strumentale al servizio”, non viceversa.

Riguardo la fede, mons. Zuppi afferma: “Fratelli, se non c’abbiamo quella, non andiamo da nessuna parte” e, ovviamente, “la fede è sempre una ricerca”. Questo suscita una fondamentale provocazione rivolta sia ai singoli educatori che alle realtà di cui fanno parte, essendo la fede non solamente una questione personale ma anche di comunità: noi cosa facciamo per essere in ricerca? Nelle nostre storie, poi, la fede ci ha portato al servizio e a volte il servizio ci ha portato alla fede.

Andrea Mondinelli
associazione privata di fedeli e cooperativa Curiosarte

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