In quest’opera le scelte virtuosistiche di El Greco non sono fine a sé stesse, ma creano una scena che stravolge le logiche umane.
In quest’opera le scelte virtuosistiche di El Greco non sono fine a sé stesse, ma creano una scena che stravolge le logiche umane.
Faceva parte di un grande retablo (la versione spagnola del polittico), ora smembrato, questo dipinto con la risurrezione di Cristo eseguito da Domenikos Theotokopoulos, detto El Greco per le sue origini cretesi. La commissione del 1596 da parte del collegio dell’Incarnazione di Madrid, il seminario agostiniano fondato dalla nobildonna Maria di Aragona, comprendeva anche l’annunciazione, l’adorazione dei pastori, il battesimo di Cristo, la crocifissione e la pentecoste. All’epoca il pittore risiedeva a Toledo, sua città d’adozione dopo che ebbe lasciato l’Italia nel 1577, e la sua fama era tale che non riusciva a far fronte a tutte le richieste, nonostante non fosse riuscito, giunto in Spagna, a diventare pittore di corte di Filippo II.
Come si legge su Luoghi dell’infinito, dalla Penisola egli aveva assorbito il colorismo veneto e il trionfalismo romano, cosa che cambiò il suo stile, ma verso il volgere del secolo il suo stile si trasformò ulteriormente, divenendo «personalissimo, drammatico e dal forte impatto spirituale». In questa Risurrezione, «il corpo nudo e allungato del Salvatore sale al Cielo come fiamma immacolata», appena celato dallo stendardo bianco che rimanda al telo sindonico che lo aveva avvolto nel sepolcro. Appena dietro emerge un drappo rosso, richiamo al sangue redentore da lui versato pochi giorni prima. Così vengono simboleggiati due tra i temi preferiti della Controriforma: il sacrificio e la gloria.
Anche i netti colori degli abiti dei soldati, collocati in cerchio nella fascia inferiore del dipinto, contribuiscono alla potenza emotiva dell’opera. Il milite in primo piano che cade ha una preziosa lorica giallo oro, che riflette il fulgore del soprastante Cristo in gloria. Le figure con le vesti azzurre e argentee, quasi trasparenti, indirizzano lo sguardo verso l’alto, aumentando la vertigine nei confronti del Mistero. In basso, quello con l’abito rosso sembra contorcersi tra dolore e richiesta d’aiuto, proprio sotto il drappo porporato del Signore che sembra garantirgli perdono e misericordia. La luce, messa ancora più in evidenza dalle ombre scure, sembra quella vibrante delle candele. Questa esasperazione coloristica e formale porta «lo spettatore a riflettere sull’inconsistenza delle sicurezze umane di fronte all’incandescente forza della grazia divina».
I corpi dei soldati, poi, assumono posizioni contorte che servono anche a creare la spazialità della scena, la quale, a parte un piccolissimo lembo di terreno, non mostra riferimenti ambientali. El Greco non si era dimenticato la prospettiva o il modo di costruire uno spazio rinascimentale, come aveva imparato in Italia. Infatti, nella sua biblioteca erano presenti numerosi trattati sull’argomento. La sua scelta, comunque in linea con la corrente manieristica del tempo, fu fatta per porre la risurrezione «al di fuori di ogni rapporto di spazio e tempo», in quanto «Il rivelarsi del Risorto stravolge le logiche umane, come sono stravolte le figure dei soldati». Questi sono posizionati in modo da creare un vortice che sale al Risorto, qui e ora un vortice di salvezza.
Associazione Rete Sicomoro | direttore Enrico Albertini
Via Fusara 8, 37139 Verona | P.IVA e C.F. 03856790237
Telefono 351 7417656 | E-mail info@retesicomoro.it
Privacy policy | © 2024 Rete Sicomoro