Un quarto della popolazione è uscito dal Paese, con la Chiesa praticamente sola nell’accoglienza lungo la dura rotta verso nord.
Un quarto della popolazione è uscito dal Paese, con la Chiesa praticamente sola nell’accoglienza lungo la dura rotta verso nord.
Hanno ormai superato i sette milioni i venezuelani usciti dal Paese colpito da una tragica situazione economica e dall’isolamento internazionale conseguente al regime del presidente Nicolás Maduro. Si tratta addirittura di circa un quarto della popolazione, un vero e proprio esodo. Se inizialmente questi migranti si sono spostati negli Stati vicini, soprattutto quelli andini, dall’anno scorso si dirigono prevalentemente verso gli Stati Uniti. La loro marcia richiede il difficile attraversamento di tutta l’America Centrale e spesso vengono bloccati con modi sia legali che illegali, talvolta in aperta violazione dei diritti umani.
A Panama, la prima tappa centroamericana del tragitto, non si aspettavano l’arrivo di così tante persone (anche haitiani ed ecuadoriani), in particolare perché una via passa attraverso la giunga del Darién. La Chiesa locale si è organizzata per l’accoglienza e il supporto. Jorge Ayala, segretario esecutivo della Pastorale della mobilità umana a livello nazionale, ha raccontato all’Agenzia S.I.R.: «Dall’inizio dell’anno sono già entrate cinquantamila persone e certamente supereremo il numero di duecentoquarantottomila con cui abbiamo chiuso il 2022. […] Quasi tutti attraversano il Paese in autobus, quasi nessuno passa per la capitale, e poi il viaggio prosegue in Costa Rica. In pochi si fermano, qui le normative sono molto restrittive e i tempi per le richieste di asilo sono anche di cinque anni».
Arrivati in Honduras, Paese che non è mai stato terra di immigrazione, i migranti vengono accolti nei centri d’accoglienza di quattro parrocchie in comunità tra le più povere, che cercano di far evitare loro le violenze delle mafie e le estorsioni dei funzionari pubblici. Descrive così la situazione mons. José Antonio Canales Motiño, vescovo di Danlí: «Passano a migliaia, a volte il flusso aumenta, in altri momenti diminuisce, impossibile tenere un registro. Chiedono aiuto, la maggioranza cerca di proseguire il cammino. […] Non eravamo preparati a gestire un fenomeno di questo tipo».
Una volta giunti in Messico, i venezuelani si trovano ad avere a che fare con la durissima politica anti-migratoria del governo. Se prima ai richiedenti asilo agli Stati Uniti non veniva chiesto il visto, dall’anno scorso la politica si è fatta restrittiva e i migranti rimangono bloccati al confine, con tempi di attesa lunghissimi e permessi di soggiorni provvisori che ne restringono la mobilità e, in alcuni comuni, vengono letteralmente strappati. Poi, c’è la possibilità di finire nelle mani del crimine organizzato, che organizza trasporti nei camion in situazioni disumane e talvolta, in aperta violazione dei diritti umani, separa le famiglie. Lo rivela Padre Julio López, segretario esecutivo della Pastorale della mobilità umana della Conferenza episcopale messicana, che aggiunge: «Io la chiamerei persecuzione. […] Un tempo, il Messico protestava quando pratiche come queste venivano messe in atto dagli Usa. Ora si comporta allo stesso modo».
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