Un percorso all’interno del Libro dei Salmi, per un cammino di maturità umana e di fede. Salmi da 42 a 72.
Un percorso all’interno del Libro dei Salmi, per un cammino di maturità umana e di fede. Salmi da 42 a 72.
I. L’insieme del secondo libri del Salterio (Sal 42-72): la giovinezza
In questa riflessione ci occuperemo del secondo libro dei Salmi (dal 42 al 72), dove viene messa in evidenza la giovinezza nel cammino spirituale con il suo entusiasmo giovanile ma anche con le sue cadute. Il tema unificante di questo secondo libro, comunque, è quello del desiderio di Dio, espresso subito all’inizio del Sal 42,2-3: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?». Questo desiderio della comunione con Dio è caratteristica della giovinezza, della giovinezza d’Israele, della chiesa e del singolo credente. È il mattino del mondo, è il tempo del canto: «Canterò e inneggerò: svegliati, mia gloria, svegliati arpa, cetra, sveglierò l’aurora» (Sal 57,8-9).
Ma dove si cerca Dio? Certamente nel tempio: «Così nel santuario ti contemplo» (Sal 63,3), nello spazio liturgico, ma anche nello spazio comunitario: «Il Signore degli eserciti è con noi nostro rifugio è il Dio di Giacobbe» (Sal 46,8). Tra questi salmi levitici, quasi all’inizio troviamo un salmo messianico: è quelle per le nozze del Messia. Le nozze sono un richiamo in più alla giovinezza. Infatti, viene cantata la bellezza dello Sposo: «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la tua grazia: ti ha benedetto Dio per sempre» (Sal 45,3). E la sposa, la creatura umana, viene invitata all’ascolto: «Ascolta figlia, guarda porgi l’orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua bellezza. Egli è il tuo Signore: prostrati a lui» (Sal 45,11-12).
Al centro del secondo libro, come uno spartiacque tra i salmi levitici e quelli davidici, è presente la grande supplica del Miserere (cf. Sal 51). Tutto il salmo è una lezione di contrizione del cuore, per i propri peccati, una preghiera insistente per il dono di un cuore puro, di un cuore nuovo, della gioia di essere salvato (vv. 12-14). È la preghiera per la nascita dell’uomo nuovo, per la cancellazione dell’uomo vecchio, con tutti i suoi appesantimenti, le sue ossa spezzate. Questo secondo libro termina con la visione messianica del Sal 72: le montagne da cui scende la pace, le colline da cui scende la giustizia, un regno che dura quanto la luna, il nome del Messia che è più antico del sole. Siamo ancora in un’età di grandi speranze e di sogni. In questo incontro ci fermiamo a riflettere in modo particolare sul Sal 51.
II. «Crea in me, o Dio, un cuore puro»
Il Sal 51 è strettamente legato al Sal 50. Per comprenderlo è opportuno evidenziare anche il contenuto di quest’ultimo, e cogliere anche l’orizzonte nel quale tutti due si collocano. I due salmi sono, infatti, elementi di un’unica composizione che accompagna una liturgia penitenziale. Essi corrispondono a due momenti di una tipica liturgia penitenziale che è facile trovare nell’AT: quella del giudizio bilaterale. Si tratta di un confronto diretto, non si fa ricorso a una terza persona: un giudice che sia estraneo e neutrale. Qui due personaggi litigano e la soluzione del contenzioso avviene all’interno del dibattimento. L’offeso convoca colui che l’ha offeso e chiede che venga riconosciuta la sua innocenza e il torto di chi l’ha offeso. Quale decisione prenderà l’innocente? Quando il colpevole riconosce la propria colpa e desidera cambiare condotta e riparare, la parte innocente ha a disposizione tre soluzioni, tutte e tre giuste: 1) esigere la riparazione; 2) accettare una composizione a metà strada, ribassando la pena; 3) stracciare il documento del debito e perdonare generosamente la pena.
I salmi 50 e 51 si muovono all’interno di questo sfondo giudiziario. Il Sal 50 contiene la requisitoria con cui Jhwh propone la propria accusa, si rivolge al suo popolo per contestargli un comportamento che ha contraddetto gli impegni presi con l’Alleanza. Non ci deve sorprendere, perché: «JHWH corregge chi ama» (Pr 3,12; Ap 3,19). «Chi riprende a viso aperto procura pace» (Pr 10,10) ci ricorda la Sapienza. Per questo san Basilio ci ricorda: «È più spietato chi lascia andare e trascura di chi rimprovera…». Il Sal 51 contiene la risposta con cui il popolo (David) fa la propria confessione. È confessione di peccato e insieme invocazione di perdono. Diamo uno sguardo ai due salmi.
1. Il Salmo 50
vv. 1-3: Dio parla, non sta zitto, non si vela indispettito, ma avanza e protesta. Dio parla non cova i suoi risentimenti: apre il discorso.
v. 4: il cielo e la terra assistono al processo come testimoni naturali.
v. 5: il Signore convoca il popolo che si era impegnato a custodire l’alleanza e promuove il dibattimento.
v. 7: ascolta! Israele deve riscoprire il ruolo di ascoltatore con atteggiamento docile.
vv. 8-13: il Signore ripropone temi e rimproveri cari ai profeti: che senso ha il culto, se manca la giustizia? L’ingiustizia non ha nessuna via d’uscita, di fronte al culto che la maschera (cf. Is 1,10-20; Ger 7; Os 6,6; Am 5,21-24).
vv. 14-15: consegnarsi a Dio! Questo è quello che ti chiedo, e questo è quello che tu non mi dai: un sacrificio di lode, di confessione. Confessione di quella che è la realtà umana: presenta la tua realtà di creatura. Non ti chiedo giovenchi, chiedo che tu ti consegni a me, questo è il sacrificio di lode. Questo è il comandamento fondamentale.
vv. 16-20: all’empio dice Dio… Colui che è stato convocato è rivelato: è empio. E qui vengono contestati tutti gli altri comandamenti che si compendiano nell’amore del prossimo. Ti ho convocato per dirti che tu non ami, e non cerco soluzioni che non passino attraverso la tua conversione. Beato chi è contestato da Dio: tu non ami Dio e non ami il prossimo. Non è vero che la mia parola è luce ai tuoi passi, ma tu la getti dietro le spalle ed è per te un fardello, ti pesa, ti schiaccia.
v. 21: tu non ami! E pensavi che io fossi come te. Che, come te, anch’io non ami? Questa è la requisitoria di Dio che non rinuncia ad amare.
vv. 22-23: io non sono un Dio complice, ma un Dio che ti contesta. La correzione è per la salvezza. L’ultima parola è salvezza di Dio. Perché «Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva» (Ez 18,23).
2. Il Salmo 51
Il Sal 51 è attribuito a David, dopo il peccato (cf. 2Sam. cc. 11 e 12); si capisce quindi il quadro oscuro. È di una ricchezza inesauribile. Esso attraversa tutta la storia della Chiesa e della spiritualità: costituisce lo schema interiore delle Confessioni di Agostino. Il Miserere è la preghiera dell’uomo di sempre, appartiene alla storia dell’umanità. Meditandolo noi entriamo nel cuore dell’uomo e nel cuore della storia dell’umanità. Il Sal 51, allora, va letto congiunto al Sal 50. Nel Sal 50 è convocato il popolo, nel Sal 51 la risposta è personale. Se si esclude l’aggiunta finale (vv. 20-21), il Sal 51 si divide in due sezioni:
– vv. 3-11: descrizione del regno del peccato;
– vv. 12-19: descrizione del regno della grazia: lo Spirito che crea.
Il v. 12 è il perno attorno a cui si avvita e ruota il salmo: «crea in me, o Dio, un cuore puro…».
Prima parte: il cuore grande di Dio (vv. 3-11)
Ha una costruzione concentrica, in cui al centro è posta la confessio dell’innocenza di Dio: «Tu sei giusto, o Dio, tu hai ragione di rimproverarmi» (v. 6b). Mentre all’inizio (vv. 3-4) e alla fine (vv. 9-11), in forma di inclusione, vi è la supplica a Dio di cancellare il peccato, che più che un’azione è diventato ormai una situazione triste e insopportabile. La prima parte (vv. 3-11) offre un quadro oscuro della realtà dell’uomo così come è rivelata dalla parola accusatrice di Dio (cf. Sal 50). L’uomo è prigioniero e soggiogato dalla signoria del peccato, per questo invoca: «Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia». Al centro di questo quadro oscuro brilla una luce luminosa: Dio è giusto. In risposta, quindi, all’accusa di Dio, l’uomo si apre a una piena confessio, in cui da una parte riconosce la sua colpa e ne chiede la liberazione, e, dall’altra, esalta l’innocenza e la giustizia di Dio.
L’appello alla misericordia di Dio è rivolto, prima di tutto, perché cancelli (machah) il peccato. Il punto di partenza del cammino di conversione del cuore, quindi, è l’iniziativa di Dio. Lui per primo dona la mano. I vocaboli che la versione italiana usa per indicare ciò che l’uomo ha fatto (il peccato, le colpe) non rendono adeguatamente la lingua originale. Infatti, nel testo ebraico sono usate tre parole diverse che andrebbero lette così: cancella la mia ribellione; lavami da ogni mia disarmonia; tirami fuori da ogni mio smarrimento. Il peccato è uno sbaglio fondamentale dell’uomo, una distorsione, una disarmonia, una ribellione, una volontà di progetto alternativo e contrastante il progetto di Dio.
Alle parole che indicano lo sbandamento dell’uomo fanno riscontro tre appellativi divini:
1) channenì: sii benigno con me, riempimi della tua grazia. Si dice che Dio è dono gratuito, è l’essenza della gratuità;
2) ke-chasdek: secondo la tua misericordia, amore. L’insistenza non è sull’uomo peccatore ma sulla bontà di Dio. Lo hesed indica l’atteggiamento tipico di Dio verso il suo popolo, che comporta lealtà, affidabilità, fedeltà, bontà, tenerezza, costanza nell’attenzione e nell’amore. Nulla avviene in me senza un’attenzione della tenerezza di Dio;
3) rachameka: il tuo grande amore, cioè cuore, viscere. È un vocabolo profondamente materno e indica la capacità di portare qualcuno dentro, di immedesimarsi in una situazione così da viverla nella propria carne. È presente quindi l’uomo col suo peccato, col suo fallimento, ma davanti a quest’uomo sta Dio la cui azione viene invocata con tre attributi che richiamano un volto che vede e ama. Nel salmo quindi l’accento non è posto principalmente sulla miseria dell’uomo, ma sul cuore grande di Dio.
Questi tre attributi ci danno il tono del Sal 51, che è un inno a incontrare Dio così com’è. In questa prima parte i soggetti sono tre: il proprio io; il peccato in cui l’uomo si sente inserito; e il tu di Dio, che è la chiave per capire tutto il significato del salmo: ovvero, Dio, nella sua iniziativa di amore e di misericordia, proietta nell’oscurità della mia psiche, nel profondo della mia coscienza, la luce del suo progetto. Così facendo mi porta a scoprire la verità di me stesso, mi dà respiro, mi aiuta a cogliermi rispetto a ciò che sono chiamato ad essere, a ciò che avrei dovuto essere, a ciò che posso essere con la sua grazia
Seconda parte: lo Spirito creatore (vv. 12-19)
Si apre con una triplice invocazione dello spirito (ruach) creatore: «Il mio spirito nel soffio del tuo spirito sarà consolidato». Tutto dipende dall’attività creatrice dello Spirito. Là dove è invocato lo Spirito, la Parola è efficace, è Parola che crea. Manda lo Spirito santo: realizza le tue intenzioni. Vediamo in particolare, i vv.12-14. Il v. 12 è costruito in forma parallela: un cuore puro (leb tahor) crea (berà) in me o Dio, uno spirito saldo (ruach nakon) fa nuovo (chades) dentro di me. Il parallelismo tra cuore e spirito ritorna al v. 19. Il v. 13 è costruito in forma incrociata: «Non cacciarmi dal tuo volto (paneka) e del tuo santo spirito non privarmi».
Al centro del versetto sono posti in stretta relazione volto di Dio e spirito di Dio. Qui il parallelismo tra volto e spirito di Dio è in rapporto con l’azione creatrice e rinnovatrice di Dio. Il cuore puro è creato da Dio attraverso l’azione vivificatrice dello Spirito di Dio legato alla sua presenza (volto). È lo Spirito Santo di Dio che crea il cuore puro. Il v. 14 è costruito anch’esso in forma incrociata. Qui la formulazione negativa del v 13 («non cacciarmi, non privarmi», diventa ora positiva: «Rendimi la gioia della tua salvezza e con il tuo spirito generoso sostienimi». La salvezza è strettamente connessa con lo Spirito generoso di Dio.
Il significato teologico dei vv. 12-14
Nel v. 12 l’orante chiede in modo audace l’intervento creatore di Dio, intervento che riguarda l’uomo nella sua vita profonda, il cuore, lì, dove l’uomo è se stesso e da dove parte la sua manifestazione esterna. Lo dirà più tardi Gesù. Questa realtà profonda dell’uomo è espressa con due termini paralleli: cuore e spirito, binomio caro specialmente ad Ezechiele. L’opera di Dio, invocata nella preghiera, non consiste semplicemente nel perdonare i peccati, nel senso di chiudere un occhio o non tener conto delle trasgressioni, ma è opera di salvezza: «rendimi la gioia della tua salvezza». Nella teologia dell’alleanza essa è comunione personale con Dio: vedere il suo volto, quindi godere del suo favore, della sua bontà.
Tale salvezza impegna la potenza creatrice di Dio, è una nuova creazione che comincia dalla vita profonda dell’uomo. È Dio, e in particolare il suo Spirito, che opera tutto questo. E l’orante si rivolge a Dio, invocando il suo Spirito di santità (v. 13b) e il suo Spirito di generosità (v. 14b). Lo Spirito santo fa puro il cuore e fa vivere alla presenza di Dio, a tu per tu con lui. Mentre lo Spirito generoso immette lo spirito saldo nell’uomo, uno spirito che lo rende capace di vivere fedele a Dio. Quindi l’orante non chiede solo di essere ri-fatto nel suo intimo, ma chiede lo spirito stesso di Dio; ha bisogno in modo permanente dello spirito santo che lo renda saldo (fedele) con la sua presenza.
Pertanto in Sal 51,12 non si chiede solo la purificazione del cuore dal peccato… ma un cuore nuovo diverso di quello della prima creazione: un cuore non incline al male, puro (tahor), capace di osservare fedelmente i comandi di Dio. La salvezza non è riparare ma far nuovo, cioè, suppone la previa distruzione di ciò che è vecchio Questo è detto con chiarezza in Ez 36,24-28, dove sono presenti due momenti: purificazione prima e poi dono del cuore nuovo e spirito nuovo mediante lo Spirito di Dio messo nel loro intimo che porta a compimento la trasformazione. L’autore della salvezza in una nuova creazione e alleanza è Dio mediante il suo Spirito. Ezechiele, nella famosa visione delle ossa aride (cf. Ez 37,1-14) è il profeta che più di ogni altro evidenzia che il rinnovamento interiore e la salvezza avviene per opera dello Spirito creatore (cf. Ez 37,9), dove si trova in verbo soffiare, lo stesso usato in Gen 2,7 per indicare la creazione dell’uomo. In sostanza lo Spirito di Dio è la presenza attiva del Dio trascendente, la presenza creatrice e vivificante del Dio vivo e creatore. Lo Spirito di Dio salva creando nuovamente l’uomo dal di dentro e ponendolo in un nuovo e duraturo rapporto di alleanza con Dio (vv. 12-13).
Quindi, la salvezza mediante lo Spirito di Dio entra profondamente nell’uomo, partner di Dio, fino a toccarlo nell’intimo (cuore spirito) dove si colloca la risposta responsabile, la libera obbedienza a Dio, senza con questo togliere all’uomo la sua libertà, piuttosto creandola e promuovendola alla fedeltà. Dio così, con la forza del suo Spirito rende fedele e amante il cuore dell’uomo, lo rende capace di amare con amore divino. Allora i Sal 50 e 51 non si pongono in una condizione giuridica del peccato, ma nella prospettiva della storia della salvezza, caratterizzata dall’alleanza, per cui peccare è uscire dalla storia, negare la vita che deriva dall’alleanza. Il peccato così inteso non è un fatto individualistico ma profondamente personale (cuore, decisioni) e perciò comunitario. La novità del Sal 51 rispetto ai testi profetici paralleli, sta nel fatto che la salvezza come “una nuova creazione” non è più solo promessa, ma diventa preghiera ricca di speranza, diventa cioè parola creduta e vissuta; nella preghiera così si tocca già in qualche modo il compimento.
Sal 51,19: L’uomo salvato, col cuore contrito, diventa sacrificio gradito a Dio. L’uomo stesso con il cuore affranto diventa sacrificio perché strappato dalla profondità del peccato, è ricreato nel suo intimo e messo in rapporto di una nuova alleanza con Dio in forza del suo Spirito santo e generoso. L’uomo muore al peccato per vivere fedelmente con Dio e per Dio. Il cuore puro può stare alla presenza di Dio nella vita e nel culto. Il peccatore liberato dal peccato e rinnovato nel cuore e nello spirito viene sottratto alla morte e così la sua lingua ma soprattutto la sua vita diventa sacrificio di lode a Dio.
Lo Spirito di Dio e la missione (vv. 15-17)
L’esperienza della salvezza spinge alla missione: «insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno» (v. 15). Lo Spirito rende missionari. Si può scorgere qui un’analogia con la missione profetica. Il profeta è chiamato l’uomo dello Spirito (cf. Os 9,7), cioè l’uomo abilitato dallo Spirito di Dio a compiere la sua missione (cf. Is 61,1). Il peccatore ricreato si propone come testimone nell’impegno della lode (v. 17). Il salmista esprime il suo impegno missionario in una maniera precisa, che corrisponde all’itinerario da lui percorso: farò capire a chi è senza strada che una strada c’è, anzi che tu, o Signore, gli stai venendo incontro. Lo farò capire non come uno che fa una lezione o una esortazione ma come testimone di ciò che è avvenuto in me. Chi ha percorso un genuino cammino penitenziale, può aiutare altri a capire che c’è una via d’uscita, una via nella quale Dio stesso viene incontro, in Gesù, come è venuto incontro a me. Esemplare, in questo senso è la Samaritana che lascia la brocca e va a raccontare ai suoi concittadini la verità che Gesù ha fatto nella sua vita, e conduce tutti a Gesù (cf. Gv 4).
III. Il Salmo 72
Questo Salmo chiude il secondo libretto dei salmi e porta all’inizio l’indicazione: di Salomone. La tradizione giudaica e cristiana vi ha visto il ritratto anticipato del re messianico predetto da Isaia (9,5; 11,1-6). E la lettura messianica mi sembra la più adeguata, perché né Salomone né alcun altro re della storia d’Israele ha mai potuto assommare in sé le caratteristiche del Messia qui delineato e che solo Cristo Gesù realizzerà effettivamente nella sua persona. Questo è anche il pensiero di S. Agostino: «Le cose cantate in questo salmo si adattano meravigliosamente a Cristo Signore. Si comprende pertanto che anche il nome di Salomone è usato in senso figurativo, in modo che si intenda Cristo. Salomone significa, infatti, pacifico; e tale vocabolo si adatta perfettamente e veramente a Cristo… Poiché dunque abbiamo trovato il vero Salomone, cioè il vero re di pace, prestiamo attenzione a ciò che in seguito il salmo ci insegna».
Nel salmo è presente una simbologia sociale, legata alla funzione del re che è padre del suo popolo. La difesa del povero e del debole è funzione classica del re messia. Il nostro salmo dedica un quadro intero (i vv. 12-14) a questa operazione di giustizia sociale e di riscatto del povero, il difeso da Dio stesso contro i soprusi:
«Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole
e del misero e salvi la vita dei miseri.
Li riscatti dalla violenza e dal sopruso,
sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue».
Allora, nel leggere il Sal 72 non possiamo fare a meno di applicare, come dicevamo prima, le parole, nella loro carica di speranza e nella loro apertura e tensione, al Messia per eccellenza, il Cristo. Il senso vigoroso di giustizia divina e regale nei confronti soprattutto dei poveri (vv. 12-14) è lo stesso della proclamazione di Gesù nella sinagoga di Nazareth sulla base di Is 61,1-2: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato ad annunziare ai poveri un evangelo, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19).
Questo Salmo chiude il secondo libretto del salterio. Il Sal 42 che apre questo libretto è sostenuto da una particolare tensione emotiva: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, / così l’anima mia anela a te o Dio». Questo anelito ora ci conduce a contemplare nel Sal 72 l’avvento del Messia e del suo regno. Colui che è atteso finalmente regna. Direttamente coinvolti nell’attesa, e quindi adesso nella festa per la sua intronizzazione, sono i poveri, gli espropriati, gli esclusi dei quali il Messia si prende particolare cura e darà pace a tutto il popolo. Noi che preghiamo il Sal 72 coinvolti a collaborare con Lui perché per tutti ci sia il pane e a impegnarci per liberare gli oppressi dalla violenza degli sfruttatori. Siamo invitati a crescere nella consapevolezza che siamo tutti figli di Dio, fratelli tra di noi, una sola famiglia nel mondo.
Alberto Neglia
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