Nella terra palestinese vessata dai coloni ebraici una famiglia cristiana ha creato un luogo di resistenza nonviolenta.
Nella terra palestinese vessata dai coloni ebraici una famiglia cristiana ha creato un luogo di resistenza nonviolenta.
Con l’intervento militare dell’esercito di Israele a Gaza che sta producendo una catastrofe umanitaria, anche in Cisgiordania la tensione è salita. La situazione di questa terra teoricamente palestinese era già complicata prima dell’inizio della guerra. Estese aree occupate dagli insediamenti ebraici, aggressività dei coloni, zone militarizzate rendono sempre più difficile la quotidianità. Ma c’è chi non accetta questo stato di conflitto permanente. Mondo e Missione racconta la storia della famiglia Nassar, che ha dato vita nella sua fattoria con quaranta ettari di terreno coltivabile, situata su una collina a sud-ovest di Betlemme, alla Tenda delle Nazioni.
Tre fratelli palestinesi di fede cristiana, Daoud, Daher e Amal, hanno creato questo luogo di speranza ventiquattro anni fa. Ci si arriva tramite un percorso tortuoso tra i villaggi, visto che l’unica strada asfaltata accessibile ai residenti è chiusa da un blocco stradale e la vicina nuova carrozzabile è riservata ai cinque insediamenti ebraici nei dintorni. Dice Daoud: «Le città e i villaggi palestinesi sono tagliati fuori l’uno dall’altro e noi siamo sistematicamente separati dalle nostre terre». I terreni dei Nassar sono oggetto di vessazioni e continui tentativi di esproprio, ma la loro resistenza nonviolenta continua a opporsi alla logica della separazione etnica e religiosa. All’ingresso della fattoria, infatti, campeggia la scritta «Ci rifiutiamo di essere nemici».
Quindi, aggiunge il cinquantatreenne, «Rifiutiamo di essere vittime, così come rifiutiamo di odiare: nessuno può obbligarci a farlo. Come cristiani crediamo nella nonviolenza e nella giustizia. E così, abbiamo cominciato a considerare tutti gli ostacoli come sfide da superare: non abbiamo energia elettrica? Installiamo pannelli solari. Ci tolgono l’acqua per irrigare i campi? Montiamo cisterne per raccogliere quella piovana. Ci vietano di costruire sul terreno? Creiamo spazi sottoterra». La cappella e l’appartamento per gli ospiti, ad esempio, sono state ricavate in grotte esistenti nella proprietà.
La fattoria accoglie anche visitatori, pellegrini e volontari, diventando un luogo aperto a chiunque. Cristiani, musulmani e anche ebrei impegnati per i diritti umani, provenienti dai dintorni e da lontano, vengono per incontrarsi e aiutare nelle attività agricole, che seguono il metodo biologico. Questo luogo è diventato un’oasi di pace in mezzo alla rabbia crescente dei giovani, alla frustrazione dei palestinesi, alle restrizioni imposti dagli ebrei, come dice Daoud: «A tutti vogliamo fare respirare una ventata di speranza, trasmettere il messaggio che collaborare è possibile».
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