La fede non è una dottrina, ma un amore

Dalla Cambogia una storia sulla necessità per un cristiano di partecipare ai riti buddisti senza vedere la cosa come un peccato.

La signora Chantha è una cambogiana cattolica e spesso confessa peccati che al suo sacerdote padre Alberto Caccaro sembrano più degli scrupoli. Il missionario, come racconta a Mondo e missione, spiega che, vivendo in una società a maggioranza buddista, i cristiani come lei sono frequentemente invitati a partecipare nelle pagode o nelle case degli amici a cerimonie buddiste. Prendere parte a questi riti implica a volte dover compiere, per correttezza e rispetto, gesti prescritti per un altro credo.

Quanto arriva al proprio turno, però, Chantha prova dentro di sé un conflitto con la propria fede. Ad esempio, sente l’atto di riverenza verso i monaci come un tradimento a Gesù. Il sacerdote la assolve sempre, spiegandole che si tratta solo di rispetto e che è importante non lasciarsi emarginare, ben sapendo che nel suo cuore ella ami solo Cristo. Ma il problema non è così semplice, perché, per una coscienza come la sua, partecipare a due tradizioni religiose non è facile, considerando anche che in Cambogia non è infrequente che una persona si rivolga, a seconda delle circostanze e dei problemi, a divinità diverse.

Così, p. Caccaro ha chiesto a due giovani donne che si sono convertire dal buddismo al cristianesimo, Sray Lay e Khana, se anche loro sentissero come un tradimento il dover compiere pratiche religiose non legate al proprio credo oppure se, come disse il monaco Thomas Merton, sia possibile, almeno sotto il profilo dell’esperienza del credente e non dal punto di vista teologico, arrivare a una comprensione delle due identità che porti a una loro interazione in modo complementare. Le due donne gli hanno risposto che la fede non è una dottrina, ma un amore.