Valori che aprono il mondo

Lettura della “Fratelli tutti” di Papa Francesco, capitolo per capitolo, per riscoprire il volto fraterno dell’umanità. Capitoli III e IV.

1. Premessa

I temi della fraternità universale e dell’amicizia sociale sono la base della proposta del Papa, valori che aprono il mondo. Questi due termini non costituiscono una proposta politica specifica e neanche una valutazione morale concreta, ma esprimono due atteggiamenti fondamentali, che dovrebbero essere alla base di ogni politica e di ogni etica. A dire il vero l’ispirazione di Fratelli tutti, tanto nelle sue analisi quanto nelle suggestioni che offre per l’ideazione di un nuovo e diverso ordinamento della socialità umana, non è affatto esclusiva del Papa. Infatti, intorno al testo dell’enciclica si potrebbero convocare tutta una serie di riflessioni nell’attuale panorama culturale occidentale che si muovono in maniera sintonica rispetto ad alcune delle sue tematiche centrali.

Ciò che è proprio del pensiero del Romano Pontefice è il tema centrale dei poveri e della povertà come stile di vita. Fraternità e povertà sono due facce della stessa medaglia, fondanti l’architettura bergogliana, assai lontana se non in contrasto con quella teologia e spiritualità disincarnate tanto in voga tra i devoti delle sacrestie ecclesiastiche. Un’architettura che è chiaramente ispirata al santo di Assisi. San Francesco, infatti, creò un nuovo tipo di fraternità dedita, oltre che alla predicazione itinerante, alla condivisione con i più poveri. Una fraternità di minores incentrata sul carisma della povertà. La scoperta spirituale dell’umiltà di Dio, anzi che Dio stesso è umiltà, spinse san Francesco a vivere radicalmente come minor, attirando da subito a sé altri seguaci per vivere, come lui, da fratelli.

Il Papa sogna una Chiesa povera e fraterna al servizio dei poveri, i quali non sono una categoria astratta, ma persone concrete con volti, storie e nomi. I poveri sono uomini e donne senza terra, senza casa, senza lavoro, senza pane, senza speranza; migranti clandestini e rifugiati; anziani soli scartati. Le idee di fraternità universale e di amicizia sociale sono dunque ideali che possono guidare il nostro pensare e il nostro agire. Se tutte le persone si decidessero per questa forma di apertura ciò sarebbe un fatto reale di enorme potenza con conseguenze a ogni livello sociale: interpersonale, familiare, locale, regionale, nazionale, internazionale, globale. Si farebbe sentire anche a livello delle scelte partitiche: qualcuno che sinceramente decidesse di assumere un atteggiamento di apertura primordiale come potrebbe poi coerentemente votare per un partito populista o per un partito chiuso ai migranti?

2. Pensare e generare un mondo ospitale: una visione inclusiva (cap. 3)

Le prime parole del capitolo ruotano intorno a tre termini: dono, amore e uscita da sé. L’uomo non trova se stesso se non si dona, se non ama e se non esce da sé. Il capitolo è molto ampio e prevede due grandi filoni: prima di tutto prevede idee madri e poi ci sono i campi di impegno. Sulle idee madri c’è il valore dell’amore. Non soltanto è importante amare ma è importante aprirsi all’amore per coltivare l’idea di un mondo che sia vissuto nell’amore. Tutto questo ha dei grandi campi di impegno: l’universalità, il bene morale e l’impegno sociale.

a) Il valore-amore

Nessuno può sperimentare il valore della vita senza volti concreti da amare. Qui sta un segreto dell’autentica esistenza umana (cf. n. 86). L’amore crea legami ed espande l’esistenza. È essenziale, per essere persone coinvolte nella dimensione dell’amore agapico, saper uscire da se stessi e porsi verso l’altro (cf. n. 88) realizzando quel noi che va oltre la relazione del piccolo gruppo e della mia famiglia o delle persone che stimo che hanno «l’apparenza di relazioni intense […] fino ad accogliere tutti» (n. 89). Anche il legame di coppia e di amicizia deve essere educato «ad aprire il cuore attorno a sé» (ivi) per non essere un rapporto meramente autoreferenziale tanto da costituire «un noi contrapposto al mondo» (ivi).

È la «capacità di accoglienza» (n. 90) progettata e verificata (vedi la regola di san Benedetto) che offre alle persone, alle coppie e ai gruppi quel dinamismo che è foriero della virtù teologale della carità che è la garanzia di «adempiere i comandamenti come Dio li intende» (n. 91) come afferma san Bonaventura. Colui, coloro che sono seriamente orientati ad una solida statura spirituale nella loro esistenza debbono porre al primo posto l’amore «che mai deve essere messo a rischio…il pericolo più grande è non amare» (n. 92). Qui Papa Francesco eleva il suo pensiero circa il rapporto dell’amore agapico, che ha nel concetto di Dio (Deus caritas est) presentatoci da Cristo, quale fonte del vero amore che diviene qualificante, per il credente con il dono della grazia (cf. n. 93). E cita san Tommaso (Summa Theol. II-II, q. 27, art 2 resp). Questo amore che ha le sue radici nella virtù teologale della carità fa tendere il credente «verso la comunione universale» (n. 95) indicataci da Gesù stesso quando disse: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8).

b) L’individualismo: il controvalore

«L’individualismo radicale – afferma Francesco – è il virus più difficile da sconfiggere» (n. 105). L’individualismo non ci rende più liberi, più eguali, più fratelli. La somma degli interessi individuali non dà il bene comune né un mondo migliore per tutti. Qui si entra in dialogo con la autocoscienza moderna della società liberale. In particolare con i tre principi della Rivoluzione francese: Liberté, égalité, fraternitè. Il mondo moderno ha saputo realizzare effettivamente grandi conquiste in fatto di libertà e di eguaglianza, ma sulla fraternità sembra quasi impotente. Un testo risulta qui decisivo: «La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. Benché queste siano condizioni di possibilità, non bastano perché essa ne derivi come risultato necessario» (n. 103). Il punto è che sia la libertà che l’uguaglianza sono valori fragili e che anche se sanciti formalmente – e ciò nel mondo ancora non sempre avviene -, senza la loro cura costante stentano ad inverarsi o peggio degenerano. Libertà ed eguaglianza sono necessarie, ma non sono sufficienti.

c) Oltre «i soci»

Papa Francesco per spiegare allora il concetto di una solidarietà oltre «i soci», riprende la parabola del Buon Samaritano (icona di tutto il documento e presentata al cap. 2). L’interpretazione odierna di questa parabola, dice il Papa, sta anche nel fatto che spesso il nostro vivere sociale si aggrappa ad una identità dove i gruppi non si compromettono con l’identità di chi è diverso da loro (cf. n.102). Secondo questo criterio rimane esclusa la parola «prossimo» (n. 102). Citando la lettera ai Galati dove si presenta che «frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22), Bergoglio esorta alla ricerca del bene «per una maturazione delle persone e delle società nei diversi valori morali che conducono ad uno sviluppo umano integrale» (n. 112). È più che doveroso fare in modo che nel campo educativo, culturale, sociale e spirituale ci si impegni ad esortare per l’acquisizione e «l’esercizio dei valori e non solo il benessere materiale» (n. 112).

Questo richiamo è più che opportuno in quanto un po’ ovunque «siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà» (n. 113). Ogni società infatti, se vuole servire, come è suo impegno precipuo, la promozione di tutta la persona e dell’intera collettività «ha bisogno di assicurare la trasmissione dei valori, perché se questo non succede si trasmettono l’egoismo, la violenza, la corruzione nelle sue varie forme, l’indifferenza» (ivi). Tra i valori che sembrano da sottolineare vi è la solidarietà che «si esprime concretamente nel servizio, che può assumere forme molto diverse nel modo di farsi carico degli altri. […] Il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a soffrirla, e cerca la promozione del fratello» (n. 115). La chiave è «saperci responsabili della fragilità degli altri cercando un destino comune» (ivi). Aver cura della fragilità è un punto chiave di questa Enciclica.

d) La destinazione universale dei beni della terra

La solidarietà non ha solo come obiettivo la condivisione con quanti soffrono tra le persone (n. 116) ma anche la «cura della casa comune che è il pianeta» (n. 117). Qui Papa Francesco palesa la sua attenzione singolare per la tutela della creazione, opera di Dio e primo libro che ci richiama la saggezza e la bontà del Creatore. «Come comunità – scrive ancora il Papa – siamo tenuti a garantire che ogni persona viva con dignità e abbia opportunità adeguate al suo sviluppo integrale» (n. 118). Francesco richiama il pensiero di san Giovanni Crisostomo e di san Gregorio Magno che chiaramente sostengono il fatto che il sovvenire ai bisogni primari verso gli ultimi è «un restituire ciò che ad essi appartiene» (n. 119). Citando Paolo VI e Giovanni Paolo II, l’Enciclica afferma che: «Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società» (n. 120).

Oltre dunque a ripensare così la proprietà privata, già patrimonio della Dottrina sociale cristiana, il Papa pone l’attenzione in questa Enciclica ai diritti senza frontiera, chiedendo anzitutto che i diritti secondari non si pongano al di sopra di quelli prioritari e originari. Nessuno può essere impedito dalle frontiere degli Stati (n. 121) di potersi emancipare emigrando e vedersi considerato come persona che «abbia meno diritti per il fatto di essere donna» (ivi) o per il suo luogo di nascita.

La destinazione comune dei beni della terra, scrive Papa Francesco, «richiede che oggi essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse» (n. 124). Qui vi è un implicito richiamo anche al messaggio del Sinodo per l’Amazzonia e alla Laudato si’. Se ci si orienta a realizzare questa attenzione fraterna, allora bisogna acquisire «un altro modo di intendere le relazioni e l’interscambio tra Paesi» (n. 125). Già Paolo VI nella Populorum progressio aveva indicato la via di questo sviluppo degno di una umanità intesa come fraternità planetaria. Questo tipo di interscambio solidale, che ovviamente non può fermarsi al pagamento del debito del Paesi poveri, che è certo un diritto alla sussistenza e al progresso, però «non deve portare a compromettere la loro sussistenza e la loro crescita» (n. 126). È importante oggi più che mai, «accettare la sfida di sognare e pensare ad un’altra umanità. È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace» (n. 127) e dello sviluppo fraterno e concreto che garantisce la giustizia e la solidarietà.

Tuttavia, lo stesso Pontefice percepisce, a questo punto, il rischio di un fraintendimento, quello del falso universalismo di chi non ama il proprio popolo. È forte anche il rischio di un universalismo autoritario e astratto, che mira a omogeneizzare, uniformare, dominare. La custodia delle differenze è il criterio della vera fraternità che non omologa, ma accoglie e fa convergere le diversità, valorizzandole. Si è fratelli perché nel contempo si è uguali e diversi: «C’è bisogno di liberarsi dall’obbligo di essere uguali» (Amoris laetitia, n. 139).

Al termine del capitolo quanto mai incalzante e dirompente, formulato a tamburo battente, l’enciclica riconosce che «Senza dubbio, si tratta di un’altra logica» (n. 127). Si tratta, infatti, di un’alternativa radicale alla logica che governa il nostro mondo, di una grande utopia concreta rigorosamente fondata nei suoi valori e nei suoi obiettivi e storicamente legittimata dalle derive drammatiche, ricorrenti, via, via più gravi del nostro tempo. Il capitolo è notevole per la profondità di analisi e di proposta. Prossimità, individualismo, solidarietà, fratellanza, libertà, eguaglianza, funzione sociale della proprietà, scambi internazionali, etica globale di solidarietà e cooperazione, pace duratura, il tutto mirabilmente compendiato in un’altra logica, in un’utopia concreta che offre ad un modello di economia e di società al capolinea storico la possibilità dell’uscita salvifica di sicurezza.

3. Un cuore aperto al mondo intero (cap. 4)

Fratelli tutti nel capitolo quarto parla anche delle sfide da affrontare perché la fraternità non resti solamente un’astrazione, ma prenda carne.

a) La sfida dei migranti

La prima sfida è quella delle migrazioni, da sviluppare intorno a quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Non si tratta, infatti, «di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni» (n. 129). Si tratta di costruire una cittadinanza universale che respinga l’idea stessa di minoranza che incorpora i semi del tribalismo e dell’ostilità perché il volto dell’altro è la maschera del nemico. Impostazione che sovverte le teologie politiche apocalittiche oggi diffuse. La trattazione del tema della migrazione è la più diffusa in tutta l’Enciclica e trova specialmente spazio in questo capitolo. L’ideale sarebbe evitare i processi migratori e consentire ad ognuno di vivere con dignità e realizzarsi nel proprio territorio. Finché l’ideale non sarà realizzato è, tuttavia, un dovere inderogabile rispettare il diritto di ogni persona a trovare un luogo nel quale realizzarsi pienamente.

Sul versante dei Paesi riceventi, Francesco dichiara di comprendere che di fronte ai migranti alcuni nutrano dubbi o provino timori, come effetto dell’istinto naturale di autodifesa. Ammonisce però a non cedere a queste pulsioni: «Una persona e un popolo sono fecondi solo se sanno integrare creativamente dentro di sé l’apertura agli altri» (n. 41), giacché «le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo». Un’affermazione davvero emblematica e per certi versi profetica. Anche all’interno della Chiesa cattolica il Papa non si nasconde difficoltà e resistenze, ma dichiara inaccettabili modi di trattare i migranti che li considerino «di minor valore, meno importanti, meno umani».

Il capitolo è piuttosto propositivo sull’argomento, includendo una lunga lista di misure che potrebbero facilitare l’integrazione dei migranti nei Paesi d’arrivo. Francesco, infatti, offre indicazioni molto precise (cf. n. 130): incrementare e semplificare la concessione di visti; aprire corridoi umanitari; assicurare alloggi, sicurezza e servizi essenziali; offrire possibilità di lavoro e formazione; favorire i ricongiungimenti familiari; tutelare i minori; garantire la libertà religiosa e promuovere l’inserimento sociale. Ma in particolare si sofferma sul tema della cittadinanza, così come era stato declinato nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi. Parlare di cittadinanza allontana l’idea di minoranza, che porta con sé i semi del tribalismo e dell’ostilità, e che vede nel volto dell’altro la maschera del nemico. L’approccio di Francesco è sovversivo rispetto alle teologie politiche apocalittiche che si vanno diffondendo.

D’altra parte, il Papa pone in evidenza il fatto che l’arrivo di persone che provengono da un contesto vitale e culturale differente si trasforma in un dono per chi le accoglie: è un incontro tra persone e culture che costituisce un’opportunità di arricchimento e di sviluppo . E questo può avvenire se si permette all’altro di essere se stesso. Le convinzioni di fede devono far prevalere «l’inalienabile dignità di ogni persona» e «la legge suprema dell’amore fraterno». Nel pensiero del Papa, rifugiati e migranti non sono però soltanto i beneficiari di azioni di accoglienza intraprese da altri. Devono invece essere resi «protagonisti del proprio riscatto» (n. 39).

Quando si dice “aiutiamoli a casa loro” spesso è un modo sbrigativo e superficiale per lavarsi le mani. Per poter dare la possibilità agli immigrati di poter rimanere a casa loro bisognerebbe smettere di vendere armi e tecnologie militari ai regimi autoritari. Sospendere ogni tipo di sostegno economico ai governi corrotti. Interrompere lo sfruttamento delle regioni da cui provengono gran parte delle materie prime di cui hanno bisogno le nostre industrie. Il criterio guida del discorso è sempre il medesimo: far crescere la consapevolezza che o ci salviamo tutti o nessuno si salva. Ogni atteggiamento di isolazionismo è un ostacolo all’arricchimento proprio dell’incontro.

b) Una governance globale

L’altro diverso da noi è un dono ed un arricchimento per tutti – scrive ancora Francesco – perché le differenze rappresentano una possibilità di crescita. Quello che occorre soprattutto – si legge nel n. 132 – è una governance globale, una collaborazione internazionale per le migrazioni che avvii progetti a lungo termine, andando oltre le singole emergenze, in nome di uno sviluppo solidale di tutti i popoli che sia basato sul principio della gratuità. In tal modo, i Paesi potranno pensare come una famiglia umana. La dimensione globale allarga l’orizzonte, ma noi viviamo nella dimensione locale. «Pertanto la fraternità universale e l’amicizia sociale all’interno di ogni società sono due poli inseparabili ed essenziali. Separarli conduce ad una deformazione e ad una polarizzazione dannosa» (n. 142). L’apertura è feconda solo se non rinuncia al proprio tesoro identitario, alla propria appartenenza ad una terra, ad una cultura, ad un popolo.

L’Enciclica ribadisce la sua netta opposizione al dominio standardizzato di un’unica cultura, riproponendo la metafora del polimorfismo e della policromia del poliedro (cf. n 143). «Una cultura senza valori universali non è una vera cultura» (n. 146). Le diverse culture «sono riflessi differenti della ricchezza inesauribile della vita umana» (n. 147). In contrasto o in sintonia, in una dialettica feconda. «Il mondo cresce e si riempie di nuova bellezza grazie a successive sintesi che si producono fra culture aperte, fuori da ogni imposizione culturale» (n. 148). Nell’attuale contesto globale «nessuno Stato nazionale isolato è in grado di assicurare il bene comune della propria popolazione» (n. 153). È una condanna netta del nazional sovranismo e della visione delle relazioni internazionali che sostiene: il bilateralismo ed il suo modello dominante, secondo il quale un Paese ricco e potente o una grande Multinazionale preferiscono trattare con singoli Paesi piccoli e poveri per imporre i loro obiettivi e lucrare il massimo profitto.

Le riflessioni del capitolo quarto risuonano come altrettante domande rivolte anche a noi che, in un modo o nell’altro, cerchiamo di incontrare i nostri fratelli migranti: siamo davvero aperti alle differenze? Sappiamo davvero camminare con l’altro, al suo fianco? Ci lasciamo interpellare dalla loro unicità? Oppure ci limitiamo a dispensare aiuti e consigli dall’alto? L’incontro con l’altro è uno scambio di doni reciproci o penso piuttosto di essere l’unico ad avere qualcosa da dare? Inoltre ci ricorda che se vogliamo essere fratelli di tutti dobbiamo rispettare il diritto di ogni essere umano di trovare un luogo dove poter non solo soddisfare i propri bisogni primari e quelli della sua famiglia, ma anche realizzarsi pienamente come persona.

4. Per concludere

L’ultima enciclica di papa Francesco rilegge nell’oggi l’intuizione conciliare di una Chiesa aperta, in dialogo con il mondo. Non è affatto una proposta utopistica. Alle domande e alle sfide del mondo moderno, il Vaticano II cercò di rispondere con il respiro di Gaudium et spes; ma oggi, proseguendo nel solco di quel cammino tracciato dai Padri conciliari, il Papa evidenzia che occorre non solo una Chiesa che dialoghi col mondo, bensì soprattutto una Chiesa che si ponga al servizio dell’uomo, prendendosi cura dell’umanità, annunciando e realizzando una nuova fraternità universale, in cui i rapporti umani siano guariti dall’egoismo e dalla violenza e siano fondati sull’amore reciproco, sull’accoglienza, sulla solidarietà.

Leggendo Fratelli tutti, infatti, ci si sente chiamati a una decisa assunzione di responsabilità, sia sul piano individuale sia su quello collettivo, di fronte a nuove tendenze ed esigenze della società contemporanea. Il ruolo effettivo della fraternità è dirompente poiché, come ha commentato il cardinale Pietro Parolin, «si lega a concetti nuovi che sostituiscono la pace con gli operatori di pace, lo sviluppo con i cooperanti, il rispetto dei diritti con l’attenzione alle esigenze di ogni prossimo, sia esso persona, popolo o comunità». Abbiamo una grande opportunità per ricominciare da capo, dalla fraternità essenziale, che ci invita ad essere parte attiva nella riabilitazione e nella guarigione delle società ferite. La fraternità – uno dei segni dei tempi che il Vaticano II ha riportato alla luce – è ciò di cui ha molto bisogno la nostra Casa comune, nella quale siamo chiamati a vivere come fratelli e sorelle. La fraternità sarà poi più credibile, se iniziamo anche nella Chiesa a sentirci fratelli tutti, a vivere la sinodalità come occasione per vivere i nostri rispettivi ministeri come servizio al Vangelo e all’edificazione del Regno di Dio e alla cura della Casa comune.

Vittorio Rocca
Mercoledì della spiritualità 2021, Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto

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