Il racconto dei drammatici giorni successivi alla presa della capitale dell’Afghanistan da parte dei talebani.
Il racconto dei drammatici giorni successivi alla presa della capitale dell’Afghanistan da parte dei talebani.
Nei drammatici giorni successivi alla presa della capitale dell’Afghanistan da parte dei talebani, le religiose che operano per l’associazione intercongregazionale Pro Bambini di Kabul, che gestiva nella città un centro per cinquanta ragazzi con disabilità lieve, sono state in preda all’ansia per capire come poter lasciare il Paese assieme ai quattordici orfani disabili gravi tra i sei e i vent’anni da loro accuditi. Suor Shahnaz Bhatti della congregazione di Santa Giovanna Antida e quattro missionarie di Madre Teresa si sono trasferite nello stabile assieme ai loro assistiti, in una situazione di caos in cui la città era in preda al panico. Molti conoscenti chiedevano loro lettere di referenze a nome dell’associazione nella speranza che servissero per fuggire, anche se quasi sicuramente sono state inutili.
Le religiose hanno provato a prendere contatto con diverse organizzazioni, dalla Nato alla Croce Rossa, per trovare un passaggio per l’aeroporto, ma, anche quando il trasferimento sembrava imminente, all’ultimo momento ricevevano una telefonata che le avvisava della mancanza delle condizioni di sicurezza per potersi spostare. Intanto, nelle suore come in altri religiosi e nei cittadini che avevano collaborato con loro saliva la paura dei talebani. Ad AsiaNews suor Shahnaz racconta:
«Da noi sono venuti a bussare una volta al portone, con violenza, nei primi giorni dell’occupazione. In casa c’eravamo ancora soltanto io e l’altra suora che lavorava con me nella scuola per bimbi disabili di PBK. Abbiamo sentito un forte trambusto e il pianto di alcune persone fuori dal cancello. Ci siamo nascoste, anche se eravamo consapevoli che se avessero sfondato la porta non ci saremmo salvate, e per fortuna dopo pochi minuti se ne sono andati. Esperienze simili sono capitate a persone del nostro staff, così come al gesuita indiano responsabile del Jesuit Refugee Service che è stato poi aiutato a nascondersi in un altro edificio da alcuni collaboratori locali».
Pochi giorni fa, il responsabile della missio sui iuris in Afghanistan padre Giovanni Scalese le ha avvertire che la sera sarebbe passato a prendere loro e i quattordici disabili assieme ad Alberto Cairo della Croce Rossa. In un pullman scortato da un’auto della polizia (costituita comunque da talebani), le suore hanno attraversato le strade verso l’aeroporto completamente al buio, tra gente che correva per raggiungere lo scalo e spari dei fondamentalisti, uno dei quali ha raggiunto una persona che è caduto a terra davanti a loro. Grazie all’inserimento dei loro nomi da parte della comunità di Sant’Egidio tra gli elenchi dei beneficiari dei corridoi umanitari, sono riuscite a prendere il volo del ponte aereo e ora sono in Italia. In un luogo sicuro, rimane l’apprensione per tutti i bambini della scuola che potrebbero diventare forzatamente guerriglieri, le ragazze in lacrime e le loro famiglie impaurite che rischiano ritorsioni.
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