In un’indagine emerge che l’espressione “niente sarà più come prima” significherà per loro un nuovo modo di vivere le relazioni.
In un’indagine emerge che l’espressione “niente sarà più come prima” significherà per loro un nuovo modo di vivere le relazioni.
La pandemia che stiamo vivendo oramai da un anno rende ancora più complessa la relazione tra la fede e i giovani, i quali difficilmente guardano al futuro con fiducia. In questo periodo, per i ragazzi la rielaborazione di molti significati della vita è particolarmente impegnativa, tanto che il Covid rappresenterà probabilmente una frattura generazionale. L’espressione “niente sarà più come prima” significherà per loro un nuovo modo di rapportarsi alla realtà, di vivere le relazioni, di scegliere le priorità. La dott.ssa Paola Bignardi, coordinatrice dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, ha presentato alcune testimonianze raccolte in indagini realizzate tra i giovani e le riflessioni a riguardo durante l’incontro nazionale online della Pastorale universitaria, tenuto il 3 marzo scorso.
Nella sua relazione I giovani, la fede e il futuro. Esercizi di discernimento nel tempo della pandemia, si legge che la crisi pandemica ha aumentato in loro il senso di apprensione e incertezza, ma, allo stesso tempo, li ha costretti a guardare alla vita da un altro punto di vista: quello della fragilità, dell’empatia, del limite, dell’imprevedibile. Tra chi dice che «La morte ti fa capire che si può morire. Pensare questa cosa cambia la prospettiva. […] Cadrà un po’ tutto quello che ti sei costruito e rimarranno solo le cose importanti veramente» e chi afferma che «La nostra vita non ce l’abbiamo in mano. […] la vita non è data per scontata, è un dono, e per questo ogni giorno è prezioso», si sta insinuando una nuova consapevolezza che genera conseguenze sul modo di vivere.
Queste esperienze hanno fatto emergere la questione della fede, anche se in maniera quasi sommessa. Per i ragazzi, il Covid è un problema della scienza, perché Dio non ha nulla a che vedere con ciò che accade nella storia umana. Essi non Gli danno alcuna colpa, quindi, ma nemmeno Lo interrogano. Dio è visto più che altro come una forza consolatoria nei momenti difficili e il rapporto con Lui è inteso in modo individualistico e intimo: «Ognuno di noi ha un rapporto singolare col proprio Dio. Ognuno di noi è unico e quindi ognuno di noi ha la sua idea di Dio»; «Preferisco sempre la preghiera in camera mia o comunque in posti privati e preferisco le preghiere non prestabilite. L’Ave Maria e il Padre Nostro sono preghiere bellissime, e ovviamente non si toccano, però mi piace anche un discorso diretto con Dio».
A fronte di queste e altre testimonianze, la ricercatrice arriva a queste conclusioni:
– i giovani non respingono la prospettiva di fede, casomai la interpretano soggettivisticamente al di fuori di ogni riferimento istituzionale, storico e oggettivo;
– manca loro qualsiasi elaborazione della trascendenza, in quanto l’esperienza di Dio la fanno dentro di sé in maniera emotiva;
– il loro atteggiamento religioso è quello di chi guarda a Dio dentro il proprio orizzonte, in funzione del proprio benessere soggettivo.
I giovani non paiono quindi persone di poca fede, ma di una fede diversa e individuale, all’interno della quale farsi tante domande e affrontare le proprie inquietudini. È sbrigativo, dunque, valutarli a partire dalla pratica religiosa tradizionale. Occorre invece trovato loro una collocazione nel sistema pastorale della comunità cristiana, anche perché, nella generalità dei casi, essi non sono né ostili né indifferenti alla spiritualità. Ora, i ragazzi non hanno parole per raccontare il loro mondo interiore e non hanno luoghi dove portare i loro interrogativi confusi. Siccome nelle indagini è emerso che il senso della vita si trova soprattutto nelle relazioni, servono figure adulte che abbiano la credibilità e l’autorevolezza nel portare loro calore, protezione e rassicurazione.
Leggi qui il testo competo della relazione I giovani, la fede e il futuro
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