La guerra alza il prezzo del grano e mina la sicurezza alimentare dei Paesi africani

Russia e Ucraina sono tra i maggiori esportatori del cereale e a risentirne saranno le persone dall’Egitto alla Nigeria.

In un comunicato dell’Assemblea plenaria ordinaria dell’episcopato di Burkina Faso e Niger, i vescovi di sono detti preoccupati per l’aumento dei prezzi dei generi alimentari. Infatti, a causa dell’invasione che la Russia sta tentando nei confronti dell’Ucraina, i prezzi dei cereali stanno salendo sempre più, a fianco di quelli di altre materie prime come il gas. Come riporta l’Agenzia Fides, proprio i due Paesi coinvolti nel conflitto armato sono tra i maggiori esportatori mondiali di grano, con una quota di mercato globale complessiva che supera il venticinque percento (dati del 2019).

Alla Borsa merci di Chicago, l’ente di riferimento mondiale per quanto riguarda i cereali, il prezzo sta toccando i massimi dal 2008 e di questo ne risentono diversi stati dell’Africa e del Medio Oriente, importatori soprattutto dalla Russia, ma anche dall’Ucraina. Insieme, l’anno scorso essi hanno rappresentato il settanta percento delle esportazioni russe di grano, per cui i problemi legati sia all’offerta che ai costi sono rilevanti per la sicurezza alimentare di ognuno di essi.

In particolare, l’Egitto ha acquistato dai due Paesi in guerra più dei due terzi delle proprie importazioni di grano, per un valore che supera i tre miliardi di dollari. Altre nazioni coinvolte sono il Kenya, che da loro prende i tre quarti del proprio grano, e la Libia, legata all’Ucraina per il quarantatré percento dei propri consumi di questo prodotto agricolo; ma ci sono anche il Sudan, la Nigeria, la Tanzania, l’Algeria e il Sudafrica.

Le difficoltà riguardano pure il mais, l’orzo, l’olio di girasole, i semi di soia e persino i fertilizzanti. Questi ultimi vengono comprati dalle aziende russe (oltre che da quelle cinesi) e la drammatica situazione in corso porterà a un grave innalzamento pure dei loro costi. Se i combattimenti continueranno e l’instabilità non si fermerà a breve, non si potranno garantire la semina primaverile e i successivi raccolti, problemi che si aggiungeranno all’aggravio dei costi di spedizione e di assicurazione e alle complicazioni ad accedere a porti e terminali di stoccaggio.