Nel dipinto di Guido Reni “Atalanta e Ippomene” la mitologia è interpretata con lo sguardo dell’umanesimo cristiano.
Nel dipinto di Guido Reni “Atalanta e Ippomene” la mitologia è interpretata con lo sguardo dell’umanesimo cristiano.
In una lettera, Guido Reni scrive: «Vorrei aver avuto pennello angelico, o forme di Paradiso per formare l’Arcangelo, o vederlo in Cielo: ma io non ho potuto salir tant’alto, e invano l’ho cercato in terra. Sicché ho riguardato in quella forma che nell’idea mi sono stabilita». Per dipingere il bello, dunque, il pittore seicentesco si affidava a un ideale che gli permettesse di innalzare l’estetica terrena della natura. È quello che ha fatto nell’Atalanta e Ippomene, quadro conservato al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli (un’altra versione è al Museo del Prado a Madrid) e datato tra il 1615 e 1618 circa, dove i protagonisti sembrano incarnare delle perfette statue classiche in marmo.
Come riporta Finestre sull’Arte, l’opera rappresenta il momento culminante di un mito raccontato nelle celebri Metamorfosi di Ovidio. I due giovani stanno gareggiando in una corsa, perché lei, avvenente vergine a cui un oracolo aveva predetto una vita infelice nel caso si fosse sposata, aveva deciso di sfidare così i suoi pretendenti, conscia della sua insuperabile velocità. Se Atalanta avesse perso, si sarebbe concessa in matrimonio, se avesse vinto, lo spasimante sarebbe stato ucciso. Fino a quel momento, a tutti era capitata questa brutta sorte. Così Ippomene, puntando sulla vanità di lei, mentre corre getta a terra alcuni pomi d’oro raccolti nel giardino delle Esperidi e, distrattala, vince la gara, ottenendo la sua mano.
Si può notare come il corpo di Atalanta si trovi quasi completamente al di sotto della linea dell’orizzonte, che divide la terra dal cielo, mentre Ippomene si staglia con la parte più nobile del corpo, ovvero il busto e la testa, sopra quella linea, trovandosi dunque nella zona celeste. Da un punto di vista allegorico, l’eroe è in connessione con il divino e, in una trasposizione di senso frequente nell’arte secentesca, personifica l’anima del cristiano che è in contatto con il Signore e allontana le passioni.
Infatti, il gesto della sua mano destra non va inteso come fase finale del lancio dei pomi d’oro, ma come rifiuto dei desideri materiali che essi rappresentano. Lui scava un solco morale tra sé e Atalanta, che invece si lascia tentare dai sensi. Come si poteva leggere all’epoca nella libera traduzione delle Metamorfosi di Giovanni Andrea dell’Anguillara, per lei il matrimonio con Ippomene diventa dunque santo, una via per raggiungere la salvezza dell’anima. L’antico episodio mitologico, quindi, è diventato espressione dell’umanesimo cristiano.
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