Letture: Atti 5,27-32.40-41; Salmo 29; Apocalisse 5,11-14; Giovanni 21,1-19;
Che notte quella: notte insonne sulla riva del mare, ognuno da solo coi suoi pensieri, con i suoi rimorsi, con le sue lacrime. Che notte lunga, di quelle che sembra che non passino mai: inutile cercare di dormire, a girarsi e rigirarsi invocando il sonno.
Meglio alzarsi e fare qualcosa, meglio a questo punto, andare a pescare, tenere la mente e le mani occupate per non pensare, per non sentire il dolore. Stanotte però il mare sembra ancora più grande e profondo: è vuoto questo mare senza Te, Signore, che hai trascinato via tutti i nostri sogni.
E tiriamo su le reti, ogni volta sempre più povere e inutili; inutili come noi che ci scambiamo, nella fatica, sguardi desolati, anche noi reti flosce senza di Te, con il vuoto tra le mani e nel cuore. Sta sorgendo il sole, l’acqua comincia a luccicare e brillare e là, sulla riva, si intravede qualcuno, forse è un mendicante che chiede da mangiare. Cosa possiamo dargli se non una brusca risposta negativa? Ma è una voce dolce, ha un’eco gentile: «… figlioli… gettate… e troverete».
Il cuore impazzisce, le mani tremano, gli occhi non credono: dove si erano nascosti tutti questi pesci? Ma poi Giovanni dice sicuro: «È Lui!».
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Don Luigi Verdi
Anche la terza domenica del tempo di Pasqua dell’annata C ha al suo cuore il Cristo Risorto. Nel vangelo (Gv 21,1-14) il Risorto si manifesta presso il mare di Tiberiade a discepoli smarriti e obnubilati; nella prima lettura (At 5,27-32.40-41) il Risorto è annunciato con coraggio e franchezza dagli apostoli incuranti dell’ostilità e della violenza che questa predicazione avrebbe potuto suscitare contro di loro.
La fede nel Risorto diviene in loro forza di disobbedienza alle autorità che vorrebbero impedire loro di parlare nel nome di Gesù. L’affermazione “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29), mostra che la fede nel Risorto è all’origine di una santa ribellione e disobbedienza, di un’obiezione di coscienza che non teme il prezzo da pagare e le conseguenze a cui ci si espone nel perseguire fino in fondo con coerenza la propria missione.
Quando si dice che, dopo essere stati flagellati, gli apostoli se ne andarono “lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù” (At 5,41), non si smaschera una loro presunta vena masochista, ma si rivela la loro fierezza di essere stati là dove anche il loro Signore è stato.
Quando il credente è perseguitato ingiustamente per il nome di Gesù, allora può nutrire l’intima certezza di trovarsi nel cammino percorso anche dal suo Signore.
E questo è all’origine di una gioia profonda, segreta, invincibile.
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Luciano Manicardi
III Domenica di Pasqua
Anno C
Letture: Atti 5,27-32.40-41; Salmo 29; Apocalisse 5,11-14; Giovanni 21,1-19;
Che notte quella: notte insonne sulla riva del mare, ognuno da solo coi suoi pensieri, con i suoi rimorsi, con le sue lacrime. Che notte lunga, di quelle che sembra che non passino mai: inutile cercare di dormire, a girarsi e rigirarsi invocando il sonno.
Meglio alzarsi e fare qualcosa, meglio a questo punto, andare a pescare, tenere la mente e le mani occupate per non pensare, per non sentire il dolore. Stanotte però il mare sembra ancora più grande e profondo: è vuoto questo mare senza Te, Signore, che hai trascinato via tutti i nostri sogni.
E tiriamo su le reti, ogni volta sempre più povere e inutili; inutili come noi che ci scambiamo, nella fatica, sguardi desolati, anche noi reti flosce senza di Te, con il vuoto tra le mani e nel cuore. Sta sorgendo il sole, l’acqua comincia a luccicare e brillare e là, sulla riva, si intravede qualcuno, forse è un mendicante che chiede da mangiare. Cosa possiamo dargli se non una brusca risposta negativa? Ma è una voce dolce, ha un’eco gentile: «… figlioli… gettate… e troverete».
Il cuore impazzisce, le mani tremano, gli occhi non credono: dove si erano nascosti tutti questi pesci? Ma poi Giovanni dice sicuro: «È Lui!».
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Don Luigi Verdi
Anche la terza domenica del tempo di Pasqua dell’annata C ha al suo cuore il Cristo Risorto. Nel vangelo (Gv 21,1-14) il Risorto si manifesta presso il mare di Tiberiade a discepoli smarriti e obnubilati; nella prima lettura (At 5,27-32.40-41) il Risorto è annunciato con coraggio e franchezza dagli apostoli incuranti dell’ostilità e della violenza che questa predicazione avrebbe potuto suscitare contro di loro.
La fede nel Risorto diviene in loro forza di disobbedienza alle autorità che vorrebbero impedire loro di parlare nel nome di Gesù. L’affermazione “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29), mostra che la fede nel Risorto è all’origine di una santa ribellione e disobbedienza, di un’obiezione di coscienza che non teme il prezzo da pagare e le conseguenze a cui ci si espone nel perseguire fino in fondo con coerenza la propria missione.
Quando si dice che, dopo essere stati flagellati, gli apostoli se ne andarono “lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù” (At 5,41), non si smaschera una loro presunta vena masochista, ma si rivela la loro fierezza di essere stati là dove anche il loro Signore è stato.
Quando il credente è perseguitato ingiustamente per il nome di Gesù, allora può nutrire l’intima certezza di trovarsi nel cammino percorso anche dal suo Signore.
E questo è all’origine di una gioia profonda, segreta, invincibile.
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Luciano Manicardi