Impatti e opportunità della riforma del Terzo settore per gli enti religiosi

Costituire un ente del Terzo settore comporta vantaggi e obblighi e può essere visto come uno stimolo.

Come può un ente ecclesiastico o religioso rientrare nella riforma del Terzo settore? È vantaggioso farlo? Quali obblighi ne derivano? Queste e altre questioni sono state trattate nell’incontro “Stabilità, efficacia e gestione del Rischio. Enti religiosi e non profit: impatti e opportunità offerti dalla riforma del Terzo settore”, organizzato dalla Business Unit Enti Religiosi e Terzo Settore di Cattolica Assicurazioni e che si è svolto durante la nona edizione del Festival della Dottrina Sociale conclusasi questa domenica.

Il professore Andrea Perrone, direttore del Centro Studi sugli Enti Ecclesiastici e ordinario di Diritto commerciale all’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha spiegato che un’organizzazione può scegliere di istituire un ente distaccato o creare un proprio ramo. Entrambi vanno poi considerati enti civili, che come tali possono aderire alla riforma e quindi essere iscritti nel registro dedicato, rispettando determinate condizioni. Infatti, l’istituzione di un ente del Terzo settore fornisce vantaggi (un regime fiscale favorevole, la possibilità di progettare azioni con gli enti pubblici), ma pone anche obblighi (un’organizzazione più complessa, l’adattamento alle sue logiche).

Suor Vilma Tallone, economa dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ha sottolineato l’importanza di passare dall’amministrazione alla gestione di un ente, cosa possibile attraverso molta formazione, un cambio di mentalità, nuovi strumenti operativi (come il controllo di gestione, spesso mancante ma essenziale per la sostenibilità economica) e digitali. Per lei, costituirsi ente del Terzo settore per avere contributi è di certo utile, ma più che altro va visto come un’occasione per mettersi in rete con altre organizzazioni al fine di condividere i costi e per stimolare la propria efficienza ed efficacia.

Infine, Piero Fusco, direttore del BUERTS, ha detto che gli enti ecclesiastici e religiosi dovrebbero puntare di più sulla formazione riguardante la gestione del rischio, che può essere, ad esempio, relativo agli immobili, alla responsabilità civile, agli infortuni. Una maggiore conoscenza di questo argomento permetterebbe loro di capire meglio se le realtà assicurative siano in grado di comprendere i carismi e le attività della Chiesa e proporre soluzioni adeguate.