Tra l’8 settembre 1943 e la primavera del 1945 in molti si trovarono a dover scegliere se impegnarsi nella causa di liberazione dal nazifascismo.
Tra l’8 settembre 1943 e la primavera del 1945 in molti si trovarono a dover scegliere se impegnarsi nella causa di liberazione dal nazifascismo.
Nei drammatici anni di guerra tra l’8 settembre 1943 e la primavera del 1945, molti preti morirono perché andarono contro le indicazioni che raccomandavano la massima prudenza oppure perché si impegnarono nella causa di liberazione su spinta dei loro superiori. Essi si trovarono a dover scegliere se e come accettare tali decisioni mentre imperversava un conflitto fratricida. Come racconta L’Osservatore Romano, secondo una ricerca centonovanta sacerdoti furono uccisi dai fascisti (alcuni dopo terribili torture), centoventi dai tedeschi e, forse, centodiciannove dai partigiani (in particolare in terra emiliana).
Alcuni parroci salirono in montagna per svolgere la funzione di cappellano militare presso le formazioni partigiane, ma non tutti poterono fare questa scelta. Ad esempio, il vescovo di Modena Boccoleri minacciò la sospensione a divinis a coloro che si recavano sui monti, mentre quello Brescia, monsignor Tredici, nominò padre Luigi Rinaldini “curato di tutte le parrocchie della diocesi”, con il permesso speciale di predicare, confessare, comunicare, celebrare la messa con o senza i paramenti sacri in qualunque ora e luogo della diocesi. Altri preti diedero il proprio contributo ai perseguitati e fuggiaschi con azioni il più possibile nascoste, rischiando e talvolta subendo la fucilazione.
L’emiliano don Pasquino Borghi non esitava a manifestare il proprio dissenso alla guerra e al regime fascista, attirandosi le ire dei gerarchi locali. Il 21 giugno del 1944 si ritrovò al centro di uno scontro tra le milizie fasciste e i partigiani nascosti nella sua parrocchia di Corrano-Tapignola. Poco dopo venne arrestato e malmenato, per poi essere fucilato nella notte fra il 29 e il 30 gennaio a Scandiano, assieme ad altri prigionieri.
Il frate domenicano Giuseppe Girotti, insegnante presso il Seminario teologico domenicano di Torino le cui lezioni furono sospese dalle autorità fasciste a causa della sua libertà di pensiero, trovò in gran segreto nascondigli e documenti di identità falsi per resistenti ed ebrei. Dopo la delazione di una spia, fu arrestato il 29 agosto 1944 e trasferito nel campo di concentramento bolzanino di Gries prima di essere internato nel lager di Dachau, da cui non ritornerà più. Ora è “giusto tra le nazioni” e beato della Chiesa.
Padre Placido Cortese, francescano conventuale, svolgeva attività di apostolato nella basilica di Sant’Antonio a Padova ed era direttore del periodico Messaggero di Sant’Antonio. Dopo l’armistizio, aiutò sbandati, ebrei e ricercati dal regime nazifascista, anche in azioni clandestine, ma fu denunciato da due infiltrati e arrestato l’8 ottobre del 1944. Dopo essere stato torturato in una cella della Gestapo a Trieste, morì durante la detenzione. Il presidente Sergio Mattarella gli ha conferito alla memoria la medaglia d’oro al merito civile.
E ancora: don Francesco Babini della diocesi di Sansepolcro, don Giuseppe Donadelli della parrocchia reggiana di Vallisnera, don Eugenio Grigoletti della lunigiana Adelano, don Ludovico Sluga di Circhina nell’arcidiocesi di Gorizia, il cappuccino padre Biagio Trani ucciso a Terracina… I preti, con la loro visibilità nelle comunità, furono un facile bersaglio. Per una memoria completa della sanguinosa lotta per la liberazione dell’Italia, è giusto ricordare queste figure che cercarono di portare il messaggio cristiano di amore in una guerra in cui tutti erano contro tutti.
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