In una meditazione p. Gerhard Lohfink ragiona sul vero, tanto desiderato incontro con il Signore dopo la morte.
In una meditazione p. Gerhard Lohfink ragiona sul vero, tanto desiderato incontro con il Signore dopo la morte.
Nella vita quotidiana possiamo incontrare Dio in diversi modi: nella preghiera, nella liturgia, nel servizio reso agli altri, nella felicità. Però in tutti questi incontri esso rimane nascosto ai nostri occhi, silenzioso alle nostre orecchie. Sembra nascondersi e tacere, ma in realtà ci dà segni della sua presenza, talvolta così piccoli che ci possono sfuggire. Per questo siamo sempre in cammino verso di lui. Solo nella morte avremo il contatto tanto agognato col Padre, colui che ci ha guidato e colmato con i suoi doni, dice p. Gerhard Lohfink in una meditazione pubblicata sul sito di Queriniana.
Nessuno può descrivere come sarà questo vero incontro in cielo. Forse nella nostra mente ritorneranno tutti i momenti della nostra esistenza nei quali il Signore si è inaspettatamente manifestato, consapevoli o meno. Sicuramente, con grande emozione capiremo che ci è stato sempre vicino anche quando lo pensavamo lontano, capiremo che è più infinitamente grande e santo di quanto ce lo eravamo immaginati. Allora, da quel momento in poi Dio riempirà tutta la nostra percezione, tutto il nostro pensiero e tutto il nostro essere, definitivamente e per sempre.
Stando a questo punto di vista, p. Lohfink afferma: «il concetto di “eterno riposo” che noi cristiani applichiamo così volentieri alla vita presso Dio, mi sembra un po’ discutibile. L’incontro con Dio non è un riposo eterno, ma una vita straordinaria, stupenda». Pregando per i defunti si dice infatti: «L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen». I concetti qui espressi sono legati alla Bibbia, come quello in cui Israele, finalmente entrato nella terra tanto desiderata e adempiute tutte le promesse, cerca il riposo (Dt 3,20). Ma questa parola può essere fraintesa, richiamando il sonno, la fiacchezza, l’immobilità. E non è questo ciò che dovrebbe comunicare. Dunque, anche se non si tratta altro che di immagini, sarebbe meglio pensare a una “eterna gioia pasquale”.
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