India, arrestato un sacerdote ottantenne difensore dei diritti tribali

P. Stan Swarmy è stato incarcerato per presunti legami con forze maoiste, ma forse perché è andato contro certi interessi.

Padre Stan Swarmy, gesuita di 83 anni, è un noto attivista e difensore dei diritti forestali della comunità Adivasi, che vive da quasi cinquant’anni nello stato indiano del Jharkhand. Giovedì scorso è diventato la persona più anziana a essere accusata di terrorismo. Il sacerdote è stato arrestato nel centro sociale in cui vive, il Bagaicha, dalle forze di sicurezza della National Investigation Agency e portato in prigione, ma non si sa quale. Un testimone ha raccontato ad AsiaNews che i funzionari governativi sono stati rudi e arroganti e si sono presentati senza un mandato.

È da un po’ di tempo che p. Swamy è nel mirino dell’antiterrorismo. Proprio il giorno prima, il gesuita aveva diffuso una dichiarazione in cui rivelava che tra luglio e agosto era stato interrogato più volte, per un totale di quindici ore. L’ufficiale che gli ha rivolto le domande sosteneva che avesse un legame con “forze maoiste”, perché nel suo computer erano stati trovati file che provavano questa vicinanza. Il sospetto del sacerdote è che qualcuno abbia inserito di nascosto quel materiale per lasciare una prova necessaria per la sua incriminazione, forse legata ai disordini scoppiati nel 2018 a Bhima-Koregaon, nello stato del Maharashtra.

Infatti, la sua lotta in difesa della minoranza tribale, che va dalle critiche verso gli eccessi di violenza della polizia e la mancata applicazione della legge da parte del governo alla difesa dei giovani Adivasi incarcerati in modo indiscriminato, si scontra con i governatori e i politici nazionalisti indù del Bjp, il partito del presidente dell’India Modi. Da p. George Pattery, già superiore gesuita della provincia del Sud Asia, a p. Michael Kerketta, professore al Centro teologico regionale di Ranchi, si moltiplica il sostegno a p. Swamy, considerando soprattutto la sua attività a favore dei diritti umani e i metodi illegali utilizzati nei suoi confronti. Anche la Conferenza episcopale indiana si è espressa a riguardo:

«La Conferenza episcopale lancia un forte appello alle autorità interessate affinché rilascino immediatamente il gesuita e gli permettano di tornare alla sua residenza. La comunità cattolica è sempre stata lodata da tutti come un corpo di cittadini leali, rispettosi della legge e al servizio della “Madre India”. I cattolici hanno sempre contribuito alla costruzione della nazione e continuano a collaborare con il governo per il bene comune di tutti gli indiani e per il progresso del nostro Paese. Chiediamo seriamente che i diritti, i doveri e i privilegi di tutti i cittadini siano salvaguardati e che pace e armonia prevalgano fra tutti.»