Le indicazioni operative della CEI per gli enti ecclesiastici sulla riforma del Terzo settore

L’Ufficio nazionale per i problemi giuridici ha pubblicato un documento utile per orientarsi tra scelte e casi specifici.

Sono passati sei anni da quando la riforma del Terzo settore è entrata in vigore e l’Ufficio nazionale per i problemi giuridici della CEI ha pensato di pubblicare il documento Enti ecclesiastici e riforma del Terzo settore. Prime indicazioni operative, che intende fare il punto della situazione fino alle disposizioni in vigore alla data del 24 gennaio 2024. Il testo inizia con una presentazione della riforma, dalle ragioni alle attività di interesse generale svolte senza scopo di lucro fino alla disciplina del servizio civile universale e del cinque per mille. Poi passa ad affrontare aspetti quali i benefici e i costi dell’adesione, il registro unico nazionale, il regime delle agevolazioni.

Si giunge dunque al caso specifico degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, i quali, «per le loro caratteristiche istituzionali e in conformità al proprio carisma, […] svolgono tradizionalmente numerose attività previste dalla Riforma come proprie del Terzo settore». Oltre alle attività con finalità di religione e di culto, essi possono svolgere specifiche attività di interesse generale, quali ad esempio: interventi e prestazioni sanitarie e socio-sanitarie; interventi e servizi sociali, compresa l’accoglienza umanitaria e la cooperazione allo sviluppo; educazione, istruzione e formazione extrascolastica e professionale; attività culturali con finalità educativa e divulgativa; attività turistiche di interesse sociale, culturale e religioso.

In questa prospettiva, per gli enti ecclesiastici c’è una duplice modalità di adesione alla Riforma. Tramite la costituzione di un ramo, l’ente ecclesiastico accede al regime del Terzo settore «mantenendo la propria natura canonica e conservando i beni e le attività destinate al ramo nella titolarità dell’ente ecclesiastico, con conseguente applicazione delle regole su gestione e controllo previste dal diritto canonico». Oppure, può creare un ente civile collegato (ad esempio un’associazione o una fondazione), giuridicamente distinto ma soggetto al suo controllo, «utilizzando la forma giuridica più adeguata alle singole attività di interesse generale e isolando il patrimonio dell’ente dai rischi dell’attività di interesse generale».

Il documento entra così nello specifico di queste casistiche, per poi fornire criteri e ipotesi di lavoro in relazione alle dimensioni grandi, medie o piccole delle attività di interesse generale, considerando: attivo dello stato patrimoniale, ricavi annui, numero dei dipendenti, rapporti con banche e fornitori, attività in regime di accreditamento o convenzionamento con la pubblica amministrazione. Infine, vengono affrontate alcune situazioni particolari: Onlus, piccoli enti e cinque per mille, scuole paritarie parrocchiali, Caritas, passaggio dei beni, monasteri soggetti all’autorità del vescovo. In ogni caso, è opportuno che queste operazioni siano realizzate sulla base di attente valutazioni giuridiche, nonché di una pianificazione strategica ed economico-finanziaria di breve-medio periodo.

Luca Frildini

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