L’urgenza di uno sguardo contemplativo

Lettura della Laudato si’, capitolo per capitolo, per capire la proposta di papa Francesco di una ecologia integrale. Capitolo II.

Il capitolo primo ci ha offerto la possibilità di fermarci a considerare quello che possiamo chiamare lo “status quaestionis”. Si è trattato di elencare tutte le gravi problematiche, che interessano “la casa comune” per giungere alla conclusione che il tempo che ci sta di fronte non può essere occupato a semplici dibattiti, ma che, invece, è quanto mai urgente avviare un serio ripensamento degli stili di vita e dello stesso modo di produrre.

Il capitolo secondo si propone di offrire, innanzitutto ai credenti, ma anche a coloro che si dichiarano lontani da una fede esplicita, la possibilità di poter assumere uno sguardo diverso e non necessariamente opposto a quello che proviene dalla scienza e dalla tecnica. L’universo, del resto, non si presenta a noi come un puro oggetto da decifrare, da studiare o semplicemente da utilizzare per aumentare il benessere dell’umanità: «quando si propone una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse, ciò comporta anche gravi conseguenze per la società» (n. 82). L’universo, invece, è più comprensibile, se si impara ad accoglierlo come “mistero”, come realtà che ci parla di un progetto di amore e che tutto il movimento esistente in esso sia causato dalla forza dell’amore. Il documento fa riferimento alla Divina Commedia di Dante Alighieri, il quale «parlava dell’amor che move il sole e l’altre stelle» (n. 77).

Questo diverso sguardo sull’universo è reso ancor più necessario di fronte ai grandi disastri provocati da un approccio, come quello tecnico-scientifico, che ha reso il mondo sempre meno abitabile. Non si tratta di contrapposizione, ma di unire sguardi diversi per meglio accostarsi alla verità dell’universo. Il documento sottolinea che «se teniamo conto della complessità della crisi ecologica e delle molteplici cause, dovremmo riconoscere che le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. E’ necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità. Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa» (n.63).

1. Saremo ancora capaci di meraviglia?

Molti anni fa A. Heschel nella sua opera L’uomo non è solo faceva la seguente considerazione: «L’umanità non perirà per mancanza di informazione, ma per mancanza di apprezzamento. L’inizio della nostra felicità sta nel comprendere che una vita senza meraviglia non vale la pena di essere vissuta. Quello che ci manca non è la volontà di credere, ma la volontà di meravigliarci». Solo un animo che sa meravigliarsi, che sa cogliere l’ineffabile presente nelle cose, proprio lui è capace di abitare la terra con vera sapienza, perché il suo rapporto con essa e con l’universo intero è vissuto essenzialmente sul piano del dono, a cui corrisponde la presa di coscienza di un compito da assumersi. Leggiamo nella Laudato si’: «Dire creazione è più che dire ‘natura’, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore ed un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono, che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale» (n. 76).

Chi si lascia sconvolgere dalla presenza dell’Ineffabile fa l’esperienza di come essa sia in grado di suscitare in lui uno sguardo di meraviglia ed allo stesso tempo di operare un vero spogliamento del suo essere, che lo riporti alle sue misure di creatura umana. Afferma papa Francesco nell’enciclica: «il modo migliore per collocare l’esser umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore ed unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi» (n.75). Ricondotti alla propria condizione di creature l’uomo e la donna scoprono che «tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amore di Dio, del suo affetto smisurato per noi. (…) Dio ha scritto un libro stupendo le cui lettere sono la moltitudine di creature presenti nell’universo. (…) Dai più ampi panorami alle più esili forme di vita la natura è una continua sorgente di meraviglia e di reverenza» (nn. 84-85).

2. La sapienza dei racconti biblici

Per educarci al dono della meraviglia non si può fare a meno di ritornare al libro delle Scritture, che hanno la capacità di condurci ad uno sguardo diverso. La prima pagina della Bibbia si apre con queste parole: «In principio Dio creò il cielo e la terra. (…) Dio disse e la luce fu». Quel principio di cui parla la Bibbia non vuole riferirsi ad un inizio cronologico, ma a ciò che costituisce il fondamento di tutto il reale. Così per la Bibbia a fondamento di tutto sta il “dire” di Dio, la sua Parola, che chiama all’esistenza le cose che non sono. Giovanni aprirà il suo Vangelo dicendo che «in principio il Verbo», riprendendo così l’apertura del libro della Genesi e sottolineando che la ragione ultima delle cose sta in questa Parola che è verbo e quindi agisce creando o salvando.

In quest’ottica l’universo non è il frutto di forze caotiche, ma esso trova il suo senso in una Parola, che lo chiama all’esistenza e questo suo esistere non è altro che una risposta a questa chiamata. Afferma la Laudato si’: «L’universo non è sorto come risultato di un’onnipotenza arbitraria di una dimostrazione di forza o di un desiderio di autoaffermazione. La creazione appartiene all’ordine dell’amore. L’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato» (n. 77). Non solo le creature umane, ma tutto l’universo si trova coinvolto in questa vocazione alla vita e vivendo si dà lode a Colui, che creando ha visto tutto come “Tov”, cioè come “buono e bello”.

3. Cosa dice la Bibbia dell’uomo

La lettera/enciclica si sofferma brevemente sulla creazione dell’uomo, sottolineando come per il libro della Genesi ogni uomo e ogni donna sono un frutto di amore, fatti ad immagine e somiglianza di Dio: «Siamo stati concepiti nel cuore di Dio e quindi ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario» (n. 65). Questa affermazione ci mostra l’immensa dignità di ogni persona umana, che non si può ridurre ad una “cosa”, ma che è una realtà di un valore infinito. Essa è capace di possedersi, di liberamente donarsi, di entrare in comunione con altre persone.

In effetti per i racconti biblici l’uomo è posto al culmine di tutto il processo creativo, costituendone il vertice ed in un certo senso il punto in cui il mondo trova la propria autocoscienza, in quanto capacità di riflettere e di decidere in libertà, senza dover sottostare pienamente a determinismi biologici. Questa particolare costituzione dell’uomo, dotato di libertà, ma allo stesso tempo delimitato nel tempo e nello spazio, lo pone in una posizione molto scomoda, per cui non è difficile che oscilli tra profonde depressioni e grandiosi deliri di onnipotenza.

4. Noi non siamo Dio

Per la Bibbia davvero grande è il mistero dell’uomo, che nella sua povera consistenza di argilla impastata, contiene in sé una scintilla divina, che lo pone al vertice del creato. Dice la Laudato si’: «Questi racconti suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra» (n. 66). Nella sua verità più profonda l’uomo e la donna si realizzano in quanto capaci di aprirsi alla relazione nelle sue diverse forme, perché nel momento in cui essi si chiudono in se stessi, essi tradiscono la loro vocazione alla vita ed oscurano quella luce presente in essi.

Riprendendo il dato biblico l’enciclica così si esprime: «Secondo la Bibbia queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per aver noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate. Questo fatto ha distorto anche la natura del mandato di soggiogare la terra e di coltivarla e custodirla» (n. 66). I grandi cambiamenti climatici, che ormai sono sotto i nostri occhi e che per alcuni di noi costituiscono una grave minaccia alla vita, sono certamente da inserire in questa “rottura” della relazione dell’umanità con il suo “habitat”, che è costituito dalla terra. Se il termine “peccato” nel suo riferimento ebraico vuol dire principalmente “sbagliare bersaglio”, allora bisogna concludere che l’uomo ha fallito il suo compito di “custode” del creato.

Nel racconto della Genesi il termine “soggiogare” è meglio definito dagli altri due verbi: “coltivare” e “custodire”, che impegnano l’uomo e la donna non tanto a spadroneggiare nei confronti della terra e di quanto contiene, ma a prendersi cura di tutto il giardino o, come direbbe oggi papa Francesco, della casa comune. Questa relazione è subito saltata, mettendo in crisi anche le altre due. Da qui la prima grande domanda che l’uomo si sente rivolgere da Dio: «Dove sei?» (Gen 3,9). Quest’uomo interpellato è Adamo, un nome che viene da “adamah”, che significa “terra rossiccia”, “argilla”. Egli non è distinto dalla Terra, ma è parte di essa, è composto dei suoi stessi elementi, ma il suo essere dotato di intelligenza gli ha fatto smarrire quale stretto legame intercorre tra lui e quel giardino che lo ospita.

L’interrogativo che Dio rivolge a questo “Adam” non è di natura speculativa, ma riguarda l’aspetto empirico, come a dirgli: “in quale mondo abiti?”, oppure: “dov’è la tua casa?”. Il testo della Genesi fa notare che “i due” a cui Dio rivolge questo interrogativo di fatto si erano nascosti per la vergogna dopo aver creduto possibile diventare “dio per se stessi”. Bisogna dire che la vergogna di Adam e della sua donna sono oggi la nostra vergogna, perché abbiamo creduto nell’onnipotenza della scienza ed oggi non sappiamo renderci conto “in quale mondo abitiamo” e di quale storia siamo responsabili. Se riuscissimo a ripartire da questa vergogna, essa potrebbe costituire il punto di svolta per un itinerario pedagogico di ricostruzione del nostro modo di abitare la terra ed allo stesso tempo di avviare processi di cambiamento, che ci permetta di vivere per la vita e non dando morte.

Abbiamo preso alla lettera il diritto romano che parla di “uti et abuti” nei confronti delle proprietà che si posseggono e così abbiamo pensato di non essere per nulla responsabili della vita, della bellezza delle cose e degli esseri viventi presenti sulla terra. Nel funzionamento del creato la collocazione dell’uomo è finalizzata a rendere visibile quell’economia della gratuità, che sottostà all’agire di Dio e che si traduce nella custodia della vocazione, che interessa ogni creatura, ma l’umanità di ieri e di oggi si è avvitata in quell’idea di progresso infinito, che non tiene in alcun conto i limiti della stessa terra. Per la Bibbia la terra è di Dio ed Egli l’ha donata agli uomini, perché si rapportino con essa con piena responsabilità. Dice la Laudato si’: «Questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo»» (n. 68).

5. La mancata custodia del fratello

Il racconto di Caino e Abele, che nel libro della Genesi occupa il quarto capitolo, parla dell’altro grande fallimento, che riguarda la vocazione dell’uomo ad aprirsi a relazioni fraterne, vissute nell’accoglienza e nella condivisione con l’altro. La storia di Caino e Abele è lì a dimostrare l’incapacità dell’uomo a costruire rapporti di vera prossimità. L’altro, il prossimo viene colto più come una presenza che disturba, invece di essere accolto come occasione di crescita e di arricchimento reciproco. Così nelle prime pagine della Bibbia risuona il secondo grande interrogativo da parte di Dio. «Dov’è Abele, tuo fratello?». Il none Abele, vuol dire “soffio”, perché la vita dell’uomo è davvero come un soffio, che gli altri possono soffocare o custodire. Caino ha scelto di non essere il custode del soffio del fratello, per questo ha preferito toglierlo di mezzo.

Riprendendo questo racconto di Caino e Abele la Laudato si’ così commenta: «Trascurare l’impegno di coltivare e mantenere una relazione corretta con il prossimo, verso il quale ho il dovere della cura e della custodia, distrugge la mia relazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la terra. Quando tutte queste relazioni sono trascurate, quando la giustizia non abita più sulla terra, la Bibbia ci dice che tutta la vita è in pericolo. (…) In questi racconti così antichi, ricchi di profondo simbolismo, era già contenuta una convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione e che la cura autentica della nostra vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri» (n. 71).

L’eliminazione del fratello da parte di Caino, un avvenimento che è un tutt’uno con la scomparsa del prossimo, e la grande omologazione linguistica e culturale, che interessa la costruzione della torre di Babele, sono per la Bibbia dei fatti emblematici, che rivelano la durezza del cuore umano. Siamo, così, di fronte al paradosso di ogni esistenza umana: siamo fatti per la relazione, ma o per paura o perché presi da grandi deliri alla resa dei conti restiamo incapaci di rispondere a ciò che costituisce il vero senso della nostra avventura umana. Annota la Laudato si’: «Non è un caso che nel cantico in cui loda Dio per le creature san Francesco aggiunga: “Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore” Tutto è collegato. Per questo si richiede una preoccupazione per l’ambiente unita al sincero amore per gli esseri umani e un costante impegno riguardo al problema della società» (n. 91).

Il capitolo secondo dell’enciclica si chiude facendo riferimento allo “sguardo” di Gesù: «Gesù invitava a riconoscere la relazione paterna che Dio ha con tutte le creature, viveva una piena armonia con la creazione. (…) Era distante dalle filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e le realtà di questo mondo» (n. 96). A motivo della sua resurrezione Gesù è anche la parola ricapitolativa di tutta la creazione, perché le cose, il tempo e lo spazio, tutto è avvolto dalla luce del Signore Risorto.

Gregorio Battaglia
Mercoledì della spiritualità 2019, Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto

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