Nell’odierna precarietà del mondo del lavoro, è necessario abitare nella perenne bellezza che rigenera di Dio: la Provvidenza.
Nell’odierna precarietà del mondo del lavoro, è necessario abitare nella perenne bellezza che rigenera di Dio: la Provvidenza.
“«Guardate come crescono i fiori dei campi: non lavorano, non si fanno vestiti…» (Mt 6,28): la frase di Gesù apre gli occhi sulla Provvidenza del Padre che nutre la vita e agisce creando. Non è un invito a non lavorare, ma semmai a riconoscere che non tutto dipende dall’uomo! […] L’uomo può seminare la terra, ma la crescita del fiore non è semplicemente il risultato dell’impegno di chi lavora. C’è un di più che sfugge all’opera dell’uomo, sempre precaria…”
Sulla rivista Vocazioni, padre Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI, riflette sul fatto che l’esperienza quotidiana ci dice che abbiamo bisogno di progettare la nostra esistenza, per trovare il percorso formativo e l’occupazione più adatti con cui contribuire all’opera creatrice di Dio. Ma dov’è l’attività della Provvidenza in questa pianificazione? Come può il messaggio evangelico incrociare il mondo del lavoro?
Oggi, i giovani sono sempre più disinteressati alla questione temporale, all’avere un lavoro per la vita e temono di essere sottopagati e di rimanere invischiati in mestieri disumanizzanti. Precarietà e flessibilità sono sentiti come meno drammatici rispetto a inutilità e isolamento sociale, ma rischiano di ridurli a scarti sociali, recidendo la capacità di sognare e sperate, come ricorda Papa Francesco nell’esortazione apostolica Christus vivit (270).
Per p. Bignami, in questa moderna condizione, più che attendere il lavoro è fondamentale crearlo mettendosi in gioco. La creatività genera la speranza e il sogno di una vita dignitosa, in termini di inserimento sociale e di responsabilità. Certo, c’è sempre qualcuno che si accontenta di quello che trova perché sente come priorità quella di non allontanarsi dal proprio territorio, dai legami familiari e di amicizia, da certi meccanismi di vita. Ma c’è anche chi cerca il nuovo, la connessione con idee nate a chilometri di distanza, la collaborazione generativa con altre persone: «Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19).
“Il lavoro originale assomiglia così alla bellezza dei gigli nei campi. In fondo, quei fiori sono dono gratuito. Abbelliscono la creazione, facendola uscire dalla monotonia! Così è anche il lavoro dei giovani che si ingegnano e si mettono in gioco, fanno squadra e si pensano al servizio. […] Contribuiscono all’opera creatrice di Dio. Impreziosiscono i luoghi e le relazioni. Contestano un’economia che riduce tutto a merce, per valorizzare le persone. Il lavoro apre nuove strade di risposta al progetto di Dio.”
Dall’ordinaria domanda «cosa fai per vivere?» bisognerebbe passare a «cosa fai per migliorare questo mondo?». Di sottofondo c’è un implicito riferimento alla precarietà, perché non si sa mai dove si arriva in un tale percorso. «Prega come se tutto dipendesse da Dio e lavora come se tutto dipendesse da te», insegnava sant’Ignazio di Loyola: nelle sue parole c’è la precarietà evangelica, necessaria per abitare nella perenne bellezza che rigenera di Dio, detta Provvidenza.
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