Secondo una sentenza dell’Alta corte, essi possono esprimersi con le parole religiose della lingua malese di origine araba.
Secondo una sentenza dell’Alta corte, essi possono esprimersi con le parole religiose della lingua malese di origine araba.
In Malaysia, il vocabolo “Allah” potrà essere utilizzato anche dai cristiani per riferirsi a Dio. Lo ha deciso l’Alta corte della capitale Kuala Lumpur in una sentenza che si può definire storica. Come si legge su Avvenire, nel multietnico Paese del sud-est asiatico, nonostante la libertà della pratica religiosa sia garantita dalla Costituzione, la discriminazione è spesso presente nella vita di tutti i giorni. Questo impiego del termine arabo per invocare il Signore da parte dei battezzati è contrastato dai musulmani radicali, che, forti di una maggioranza del credo islamico nella nazione (anche se non prevalente), negli ultimi anni stanno facendo un uso politico della religione.
I cristiani rappresentano complessivamente il 9,2% della popolazione e si trovano soprattutto nelle comunità cinesi, indiane o delle minoranze etniche del Borneo. Da tempo, essi lamentano la violazione del proprio diritto a esprimersi con le parole correnti della lingua malese di origine araba con esplicite connotazioni religiose. I giudici dell’Alta corte hanno dato loro ragione, valutando il divieto finora imposto come incostituzionale. La sentenza non riguarda solo il vocabolo “Allah”, ma anche “Kaabah” (il santuario islamico più sacro situato alla Mecca), “Baitullah” (Casa di Dio) e “Solat” (preghiera).
La decisione avrà importanti conseguenze sui tribunali di livello inferiore, quelli che nel corso degli anni hanno emesso sentenze discriminatorie sulla base del fatto che l’etnia prevalente nel Paese è quella malese, in maggioranza di fede musulmana. Ma sta già suscitando forti polemiche, in particolare dai politici islamisti che hanno già chiesto l’annullamento della sentenza. D’altronde, entro l’anno dovrebbero tenersi le votazioni e i partiti islamisti Pas e Umno hanno appositamente creato la coalizione Muafakat Nasional.
Qualche anno fa era già successo un caso simile. Il quotidiano cattolico The Herald aveva intrapreso la strada giudiziaria per vedersi riconoscere il diritto all’utilizzo, nelle pagine dedicate all’informazione religiosa, del termine “Allah” per indicare anche il Dio cristiano. Il processo aveva avuto conseguenze nei rapporti tra le comunità musulmana e cristiana, con devastazioni e incendi di luoghi di culto e aggressioni. Nel 2009 l’editore ottenne la vittoria, ma, cinque anni dopo, il tribunale di appello aveva ribaltato la sentenza, reintroducendo il divieto.
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