Oggi abbiamo di nuovo bisogno di una come Maria di Magdala, che la mattina di Pasqua ha svegliato gli apostoli dal loro letargo e li ha messi in moto.
Oggi abbiamo di nuovo bisogno di una come Maria di Magdala, che la mattina di Pasqua ha svegliato gli apostoli dal loro letargo e li ha messi in moto.
Meditiamo su una figura particolare che è quella di Maria Maddalena. Non ci interessa conoscere esattamente l’identità e come la si possa distinguere dalle altre: per secoli si è discusso di questo nella Chiesa. Si è parlato di tre o addirittura quattro Marie, facendo molta confusione. A noi non importa conoscere nel dettaglio la sua vicenda, ma vorremmo meditare sulla storia di Maria Maddalena nel suo rapporto con Gesù. Tralasciamo volutamente le romanzesche e infondate letture scandalistiche “alla Dan Brown”, consapevoli che solo un’attenta rilettura delle testimonianze evangeliche possa rendere piena giustizia a una delle figure più belle del Nuovo Testamento, esempio e modello per ogni credente nella Chiesa.
1. Chi è Maria Maddalena nei Vangeli?
È necessario fare prima una riflessione semplice chiedendoci chi sia Maria Maddalena nella S. Scrittura, perché sia stata menzionata molte volte, anche più di Maria, madre di Gesù. Dunque, chi è Maria Maddalena? Appare già nella vita di Gesù al capitolo 8 di Luca (8,2-3). Luca ha appena raccontato il perdono della donna peccatrice di cui non si sa il nome, in casa di Simone, e poi continua con un breve sommario in cui descrive lo sfondo costante della predicazione di Gesù: ci sono i suoi, per così dire, collaboratori più stretti e poi vediamo improvvisamente apparire un gruppo di donne come collaboratrici stabili al suo seguito. La prima ad essere menzionata è Maria di Màgdala, che viene descritta in maniera sorprendente, perché da lei erano usciti sette demoni.
La seconda menzione si trova soltanto durante la Passione (Mt 27,56-61). Durante la Passione Maria Maddalena viene sempre menzionata come prima presente, quindi probabilmente ha avuto una qualche funzione direttiva. In seguito la ritroviamo di nuovo alla sepoltura (Mt 28,1). Ecco quindi i momenti tipici in cui troviamo Maria di Magdala: la vita di Gesù, la morte e la sepoltura e poi ovviamente la Resurrezione (Gv 20,1). La tradizione ha letto volentieri sotto il nome di Maria di Magdala tante altre cose e ne ha fatto come una specie di simbolo globale dell’amore della donna per Gesù:
– identificazione di Maria, sorella di Marta, con Maria di Màgdala (Lc 10,38-42; Gv 11);
– identificazione della peccatrice con Maria di Màgdala (Lc 7,36-39; Gv 8,1-11);
– identificazione della donna del Ct 3 con Maria di Màgdala.
2. Maria di Magdala, modello del discepolo
Maria di Màgdala compare per la prima volta nel Vangelo di Luca, con l’epiteto di “Maddalena”, originaria, cioè, della piccola città situata sul litorale occidentale del Lago di Tiberiade, centro commerciale ittico denominato in greco Tarichea, “pesce salato”, messo in luce dall’archeologia anche se sprofondato sotto le acque di quel lago. Il nome ebraico, migdol, significa “torre”, in riferimento forse a una torre di difesa attorno alla quale si sviluppò il villaggio. Esiste un’altra possibile etimologia del nome, testimoniata già da Origene, secondo il quale deriverebbe dall’ebraico gadal, “grande”: et erat haec Maria Magdalena de magnificatione. «In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni» (Lc 8,1-3).
Quindi erano tutte un po’ malate, tutte con qualche difficoltà e Maria Maddalena certamente aveva qualche difficoltà più grossa delle altre, qualcosa di nocivo. Ci sono quattro vie che possiamo seguire per cercare di capire di che tipo fosse questa grave infermità. C’è la via della deviazione sessuale (secondo alcuni era una prostituta e questo si accorderebbe con il passo immediatamente precedente nel quale viene descritto il perdono di una prostituta in casa di Simone). Una seconda via che è stata seguita dagli esegeti è quella di una devianza non tanto sessuale ma psicologica e di salute generale, quindi si tratterebbe di una persona depressa o schizofrenica: questo è tipico della presenza demoniaca. È possibile però anche una terza via che interpreta più spiritualmente questa situazione di Maria Maddalena, cioè la schiavitù del peccato, vissuto in occasioni pesanti, da cui non si può sperare di uscire. Infine, si può pensare ad una quarta via, cioè ad una malattia grave, accompagnata da tristezza, depressione, amarezza, non dominio di sé, disordine interiore. Tutte queste vie sono possibili poiché il Vangelo non ne indica nessuna con certezza e quindi Maria Maddalena rimane con il suo segreto.
Tuttavia, possiamo capire come lei sia oltremodo riconoscente nei confronti di Gesù, immaginando che sia stata presa in una situazione incurabile, cronica, ripetuta, recidiva e tirata fuori completamente. Sette demoni indicano forse una serie di situazioni brutte e inguaribili, facendoci capire l’amore, l’affetto, la dedizione, la riconoscenza, la tenerezza di Maria verso Gesù. Ciò che è importante, dunque, non è tanto determinare quali siano questi sette demoni, ma il contrario che ne è seguito, cioè la liberazione. Anche se non riusciamo a definire bene il peccato di Maria Maddalena, riusciamo a definire abbastanza bene la sua reazione, il suo modo di essere. Non sappiamo come è stato il suo primo incontro con Gesù, non sappiamo se è bastato che Gesù le desse la mano, come la suocera di Pietro, tirandola fuori dal letto, o se ha dovuto gridare come al ragazzo morto, ma sappiamo che quell’incontro le ha cambiato per sempre la vita. Questa gratitudine di Maria si traduce in “servizio”.
Il servizio di queste donne, e tra loro di Maria di Màgdala, è autentica diakonìa; è un servizio che si traduce in accoglienza e disponibilità; Maria Maddalena, dunque, è una donna che è stata guarita e riportata alla vita da Gesù e che, come i Dodici, è una sua discepola. Lo segue, lo serve, ascolta il suo insegnamento, vive con lui. Nominarla all’inizio della vita pubblica e poi di nuovo sotto la croce mette in evidenza come ella sia stata partecipe dell’intera vicenda di Gesù. Nel Vangelo di Luca le donne sono la realizzazione del “perfetto discepolo” perché camminano con Lui in Galilea, salgono con Lui a Gerusalemme, fino al Calvario, per divenire poi le prime testimoni della sua Risurrezione. Quando, nell’ora della Passione, tutti abbandonano Gesù (Mc 14,50), le uniche che continuano a seguirlo sono le donne. Esse non hanno paura del Vangelo che porta fin sotto la croce. Costanza, fedeltà, abbandono delle certezze, radicalità sono i tratti peculiari della sequela.
L’evangelista Giovanni esprime la “resistenza” di queste donne con il verbo “stare” [stavano (estèkean) presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Magdala (Gv 19,25)], un verbo che indica anzitutto l’esserci, uno stare in piedi, in posizione eretta salda in quell’amore che non l’aveva fatta indietreggiare mai e che l’aveva condotta fin sotto la stessa croce accanto alla Madre. Lo stare di Maria di Magdala evoca dunque fedeltà nella prova, una fedeltà che si contrappone alla fuga di tutti gli altri, di coloro che hanno tradito e rinnegato il Maestro. Stare è espressione di fedeltà, messa alla prova, ma salda. Nemmeno al sepolcro lei verrà meno, ma continuerà a rimanere.
3. Maria Maddalena al Sepolcro: nel giardino… l’Amato!
Nel Vangelo di Giovanni, a differenza dei sinottici (Mt, Mc, Gv), il mattino di Pasqua Maria di Magdala è sola, protagonista di un percorso di fede unico e intensissimo, scandito da una serie di verbi di visione; ed è proprio l’incontro con Gesù Risorto nel Quarto Vangelo a descrivere, a svelare l’identità profonda e autentica di Maria di Magdala. Sono i dieci versetti giovannei a dirci chi ella sia: «Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”» (Gv 20,1-2).
Mentre nei sinottici le donne hanno il compito di portare gli aromi (Lc 24,1) per completare la sepoltura, in Giovanni, invece, Maria viene al sepolcro senza un obiettivo preciso, essendo la sepoltura già stata compiuta da Giuseppe di Arimatea e da Nicodemo. Dunque, l’unica ragione che la spinge ad andare al sepolcro è lo slancio del cuore. Maria sa che Gesù è morto, eppure non riesce a stargli lontana; è un gesto tipicamente femminile, questo cercare appassionatamente la persona amata, andando anche al di là della fisicità dell’incontro, per poter comunque stare vicini a colui che si è perso. Ma giunta lì, vede la pietra rimossa.
Nel Quarto Vangelo il vedere gioca un ruolo particolarmente importante: l’evangelista utilizza tre diversi verbi, perché ciascuno di essi assume un significato particolare e definisce un diverso orizzonte del vedere.
a) Qui Maria scorge con gli occhi (blèpei), nota che la pietra è stata spostata dal sepolcro; si tratta di un vedere fisico, di una pura percezione sensoriale. Da questa percezione deriva alla donna una conclusione altrettanto sensoriale: il cadavere non c’è più, quindi è stato rubato, portato via. Maria non è entrata nel sepolcro, eppure la prima deduzione che ella trae dal vedere il sepolcro aperto non è la Resurrezione, bensì il furto della salma.
È mattino sì, ma era ancora buio… A un’indicazione cronologica l’Evangelista accosta un tempo dell’anima: è buio nel cuore di Maria Maddalena, oscurato dal dolore; c’è l’angoscia di una donna che cercava il maestro tanto amato, di cui anelava almeno la tomba e adesso ha perso anche questo punto di riferimento. Maria corre, sconvolta, a riferire quanto ha visto a Pietro e al discepolo che Gesù amava. Nelle parole di Maria ai discepoli si avverte un inconsapevole spiraglio di luce. Ella infatti non dice: «Hanno portato via il Corpo di Gesù», bensì: «Hanno portato via il Signore (Kyrios), dal sepolcro». Senza saperlo, Maria parla del Signore come di un vivente.
I due discepoli corrono al sepolcro, e anche loro vedono quanto ella ha visto; entrano nel sepolcro e Giovanni specifica che il Discepolo Amato vide e credette (20,8). Se nella tomba vuota e nelle bende piegate con cura Giovanni vede il segno che lo conduce a comprendere che il corpo non è stato rubato né portato altrove, tuttavia scrive che i due discepoli se ne tornarono di nuovo a casa (Gv 20,10). I discepoli vanno via – il sepolcro sembra non avere più interesse per loro – e nulla viene detto delle loro reazioni, se e cosa abbiano annunciato agli altri; sembra quasi di poterli immaginare andare via restando in silenzio.
Al sepolcro, come sotto la croce, resta invece Maria: «Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva» (Gv 20,11). Il pianto esprime tutto il suo affetto e il suo attaccamento a Gesù, ma anche il suo restare legata al passato. Il suo sguardo è di nostalgia per l’assenza di Gesù. Insieme, però, il pianto di Maria è il pianto dell’“amata” in cerca del suo “amato”. Come la sposa del Cantico dei Cantici ella cerca nella notte l’amato del suo cuore e non lo trova: «Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato, ma non l’ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amore dell’anima mia» (Ct 3,1-2).
Nel pianto compie lo stesso movimento che Pietro aveva compiuto poco prima: si china all’interno del sepolcro e l’assenza comincia ad essere colmata da alcune “presenze”. Maria, infatti, vede (theoréi, v.12) due angeli in bianche vesti seduti a capo e ai piedi del luogo dove giaceva il corpo di Gesù. Essi sono come i “custodi” di un sepolcro inviolato ma vuoto. Alla loro domanda, ella risponde così come aveva annunciato ai discepoli il presunto furto, aggiungendo una nota più affettiva e personale: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto» (20,13). Non si è mossa di un passo dall’interpretazione data alla pietra rimossa. È rimasta bloccata, ferma al sepolcro aperto. È invece necessario “voltare le spalle” al sepolcro – simbolo di morte.
E, difatti, quando ella si volta indietro (estràfe opìso), vede (theorèi) «Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù» (v. 14). È questo un sguardo diverso dal primo, da quello rivolto alla pietra rotolata via dal sepolcro! Nel Quarto Vangelo il verbo theoréin è strettamente connesso ai segni che Gesù opera (Gv 2,23;6,1-2;7,3) e diverse volte serve a descrivere lo sguardo scrutatore del discepolo che è già consapevole del mistero di Gesù. È un vedere che scatena in qualche modo una reazione – più o meno immatura – di fede; è insieme visione e riconoscimento, mista a un senso di smarrimento; la conoscenza non è totale, profonda e immediata. Infatti, Maria non riesce a riconoscerlo, i suoi occhi sono ancora appannati; è ancora alla ricerca di un morto e non è ancora capace di riconoscere colui che è vivo. Lo prova la sua insistenza nel chiedere a colui che è scambiato per il custode del giardino: «dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo» (v. 15). Gesù le ha rivolto la stessa domanda posta dagli angeli, ma con una significativa aggiunta: «Chi cerchi?». È la domanda analoga a quella posta all’inizio del Vangelo ai primi discepoli («Che cosa cercate?»: Gv 1,38), ma insieme più personale e non priva di una certa ironia: colui che ella cerca chiede chi stia cercando. Gesù c’è e sta (estòsa) lì, fuori dal sepolcro!
Ella, che non lo ha riconosciuto nel vederlo, riconosce Gesù quando si sente chiamata per nome. È la voce dell’Amato che chiama l’amata, ed è quella voce, quel richiamo, che permette a lei di riconoscerlo: «Una voce! L’Amato mio!» (Ct 2,8;5,2). Nell’incontro di Gesù con Maria Maddalena avviene una cosa eccezionale, che Egli non fa per nessun’altra donna nel Vangelo di Giovanni: la chiama per nome. E così facendo la risveglia e, in un certo senso, la risuscita. «Gesù le disse: “Maria”. Ella si voltò e gli disse: “Rabbunì”». In questo dialogo è riassunto, l’incanto, il mistero, l’avventura dell’incontro dell’umanità con il suo Sposo, il Redentore. È la voce del Pastore che conosce le Sue pecore e chiama ciascuna per nome, così come le Sue pecore ascoltano e riconoscono la Sua voce! (Gv 10,3.4b.27). Il voltarsi di Maria è rivelativo della sua nuova comprensione, della sua conversione della mente, degli occhi e del cuore. Quella voce la fa volgere definitivamente in un movimento che esprime la pienezza della conversione e lo slancio di colei che finalmente ha trovato Colui che cercava.
Maria vive un attimo di “beatitudine”, che però cade subito nell’equivoco di poter riprendere con Gesù i rapporti di prima. Rabbunì non è infatti un titolo per Gesù risorto, ma quello che gli si dava durante la sua vita pubblica e Maria adopera d’istinto l’appellativo che le era consueto. «Non mi trattenere – le dice Gesù – perché non sono ancora salito al Padre, ma va dai miei fratelli e di’ loro…». Non è più possibile ristabilire il rapporto di prima. L’affetto di Maria Maddalena la spingerebbe, come la sposa del Cantico ad abbracciare l’amato: «Trovai l’amore dell’anima mia. Lo strinsi forte e non lo lascerò» (Ct 3,4). Gesù con questa proibizione vuole chiarire a Maria il cambiamento che si è operato in lui, nel Suo passaggio al Padre con la morte-risurrezione; così l’ascensione comporterà un nuovo tipo di relazioni. Per la prima volta nel Quarto Vangelo i discepoli sono chiamati fratelli. È grazie alla Risurrezione che si potrà instaurare quel rapporto di figliolanza tra Dio Padre e l’umanità.
E di questo annuncio è messaggera una donna: Maria di Magdala. Ella esegue il comando, si stacca per sempre dal sepolcro e annuncia ai discepoli: «Ho visto (eòraka) il Signore». L’itinerario di fede di Maria si è completato: solo ora può dire ho visto, che l’Evangelista esprime con il verbo che rappresenta la forma più consapevole e profonda del vedere, un vedere perfettamente, contemplare il senso profondo di ciò che si vede. Con questo verbo si descrive ciò che lo sguardo attento e stupito ha scoperto, e di cui si conserva, nella memoria, la scoperta. Il vedere, qui diventa sguardo di fede. Maria ha visto il Signore e ha compreso la pienezza della rivelazione pasquale. Tornata alla comunità, Maria non comunica più il tormento del dubbio, e non chiama al sepolcro, ma attesta che Gesù è vivo, continua a interessarsi dell’uomo e interpella l’uomo perché lo segua. Attraverso la trasformazione delle ambigue, deboli percezioni e azioni di questa donna (i successivi modi di vedere, il doppio voltarsi, la diversità degli annunci) l’Evangelista indica al lettore l’esperienza della conversione come dono di uno sguardo d’amore, di un’intelligenza profonda, di una confidenza libera.
La vicenda di Maria di Magdala nel Quarto Vangelo rappresenta il passaggio dal lutto e la disperazione alla speranza e alla gioia. Scriveva il cardinal Martini: «Quando la voce di Gesù risorto di scuote, allora anche gli occhi si aprono e possiamo dire con Maria di Magdala: Ho visto il Signore». Scriveva ancora il cardinal Kasper: «La risposta ai “segni dei tempi” in definitiva non arriverà né da Roma, né dalla conferenza episcopale; la risposta saranno donne profetiche, carismatiche, sante che speriamo Dio ci donerà. I carismi non sono pianificabili e organizzabili; la maggior parte delle volte arrivano inattesi e spesso diversamente da come ce li eravamo immaginati. Forse oggi abbiamo di nuovo bisogno di una apostola apostolorum come Maria di Magdala, che la mattina di Pasqua ha svegliato gli Apostoli dal loro letargo e li ha messi in moto. Molte grandi sante donne sono riuscite a fare questo nella storia della Chiesa».
P. Fabio Cattafi
Mercoledì della Bibbia 2019, Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto
Leggi anche La diaconia delle donne nelle lettere di Paolo
Leggi anche Ruth la moabita e l’amore che mette in movimento
Associazione Rete Sicomoro | direttore Enrico Albertini
Via Fusara 8, 37139 Verona | P.IVA e C.F. 03856790237
Telefono 351 7417656 | E-mail info@retesicomoro.it
Privacy policy | © 2024 Rete Sicomoro