Sesto e ultimo appuntamento degli approfondimenti sul tema “Sapienza e intraprendenza al femminile. Donne nella Bibbia”.
Sesto e ultimo appuntamento degli approfondimenti sul tema “Sapienza e intraprendenza al femminile. Donne nella Bibbia”.
Vi proponiamo la relazione del sesto e ultimo incontro dell’edizione 2020 dei Mercoledì della Bibbia della Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto, quest’anno dedicata al tema “Sapienza e intraprendenza al femminile. Donne nella Bibbia”.
1. Il titolo di “sorella nostra”
a) La Chiesa è una fraternità in Cristo, nostro Fratello e Signore
Il Nuovo Testamento non attribuisce a Maria di Nazareth il titolo di “sorella nostra”. Nondimeno, però, evidenzia il valore della fraternità umana e di fede: è testimonianza evidente che sin dagli inizi i cristiani si consideravano fratelli e sorelle nella fede in Cristo. La Chiesa che Gesù ha voluto, infatti, non assomiglia ad una monarchia, né ha voluto che i suoi discepoli assomigliassero ai re o ai governanti di questo mondo (cf. Mc 11,41-45 e par.). La Chiesa è, invece, una fraternità («voi siete tutti fratelli»: Mt 23,8) e – rompendo Gesù con la mentalità patriarcale e maschiocentrica dominante – una sororità: tra coloro che seguivano Gesù c’era, infatti, anche un gruppo di discepole (Maria Maddalena, Giovanna, moglie di Cuza, Susanna «e molte altre»: Lc 8,1-4). Come governo Gesù ha voluto che vi fosse l’adelfocrazia: a Pietro dice: «conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,32), gli conferisce l’autorevolezza di “sciogliere e legare” (cf. Mt 16,18-19) e di presiedere e orientare come il Buon Pastore (cf. Gv 21,15-17).
E non poteva essere diversamente. Gesù stesso si considerava come un fratello per i suoi discepoli (cf. Mt 28,10; Gv 20,17), così come considerava suoi fratelli i poveri, gli stranieri, i carcerati (cf. Mt 25,34-45). Possiamo dire che per Gesù ogni persona, uomo e donna, che ascoltava la Parola di Dio e la viveva nella complessità del quotidiano, era per lui un fratello o una sorella (cf. Mc 3,31-35 e par.), così come per lui era un fratello o una sorella in umanità ogni persona che incontrava sulle strade della Palestina. Per questo l’autore della Lettera agli Ebrei può scrivere che Gesù non arrossì, non si vergognò di chiamarci fratelli (cf. Eb 2,11), perché anche lui è stato un uomo come noi, ha sperimentato le prove della vita (cf. Eb 2,14.17-18) e la fragilità creaturale come tutti noi, eccetto nel fallimento del peccato (cf. Eb 4,15). Perciò possiamo accostarci a lui – che è il «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29) – con fiducia e coraggio, e ricevere da lui misericordia, e trovare in lui grazia e aiuto (cf. Eb 4,16).
b) I padri della Chiesa e la sororità di Maria
Solo alcuni padri della Chiesa d’Oriente e della Chiesa d’Occidente, probabilmente meditando le pagine mariane del Nuovo Testamento nella prospettiva umana ed ecclesiale della fraternità in Cristo, hanno evidenziato in Maria di Nazareth, per la prima volta e in maniera nuova e insolita, la sua dimensione di sororità umana e di fede. Qualche esempio. Nella Chiesa d’Oriente, Atanasio, vescovo di Alessandria (m. 373), scrive che «Maria è nostra sorella, perché noi tutti deriviamo da Adamo, siamo nati da Adamo». Efrem, il siro, monaco, diacono, cantore e poeta (m. 374), rivolgendosi a Gesù bambino, gli chiede che nome dare a Maria, e lo stesso Efrem risponde che Maria è sorella di Cristo e nostra sorella: «È tua madre, è unica ed è tua sorella con tutti gli uomini. Per te è divenuta madre, per te è divenuta sorella». Theotekno, vescovo di Livia in Palestina, in una omelia databile tra i sec. VI-VII, afferma: «La nostra terra è Maria che è nostra sorella e nostra sovrana».
Giovanni di Tessalonica (m. 630), in una omelia per la festa della Dormizione di Maria, facendo parlare le donne, si rivolge così a Maria: «Sorella nostra, che sei diventata Madre di Dio e Signora dell’universo, se noi tutte abbiamo timore, tu invece che cos’hai da temere, dal momento che sei la madre del Signore? Sei tu la sola nostra speranza!». E Giovanni fa rispondere a Maria, per poi intervenire lui stesso: «Tacete, fratelli miei, e non piangete. Piuttosto glorificate colei che in quest’ora è in mezzo a voi». Nella Chiesa d’Occidente, Agostino, vescovo di Ippona (m. 430), scrive: «Quanto a Maria, essa adempì la volontà del Padre e in tal modo se fisicamente fu soltanto la madre di Cristo, spiritualmente gli fu pure sorella e madre». E commentando la pagina di Mt 12,46-50, scrive: «Se sono madre, sorella, fratello, coloro che fanno la volontà di Colui che invia il Cristo, tra questi c’è Maria, sua madre».
Paolino, vescovo di Nola (m. 431), in un poema canta di Maria: «Anch’ella è sorella del Signore e sposa ammirevole; e come madre riceve il seme della Parola eterna, porta i popoli in grembo e li mette alla luce. La sposa rimane veramente sorella nell’amore che nessuno ha toccato; il suo abbraccio è lo Spirito poiché colui che la ama è Dio». Ildelfonso di Toledo (m. 667) così prega: «Ecco te beata fra le donne, integra fra le puerpere, signora fra le ancelle, regina fra le sorelle». Pascasio Radberto (m. 813) esorta: «Amate la madre del Signore, perché vi ha generato uno sposo immortale, mentre lei stessa gli è sorella insieme a voi. In quanto ha fatto la volontà del Padre per essere madre, Maria è sorella nella carne come nello spirito». Dunque, nei padri della chiesa è sottolineata la sororità di Maria: 1) a motivo della natura umana, che ella condivide con tutti noi, uomini e donne, da cui proviene anche la natura umana del suo Figlio Gesù; 2) a motivo del suo essere ebrea, quindi figlia del popolo d’Israele. 3) E in rapporto al Figlio, oltre che madre, Maria gli è anche sorella, perlopiù in senso spirituale, così come sorella in relazione all’Amato è detta la sposa del Cantico dei Cantici.
c) Il Carmelo e la sororità di Maria per consonanza di vita
Particolare attenzione alla sororità di Maria di Nazareth hanno avuto i Frati Carmelitani, sorti agli inizi del sec. XIII da una comunità di frati-eremiti dimoranti sul Monte Carmelo, ai quali il patriarca Alberto di Gerusalemme, su loro richiesta e secondo il loro propositum o carisma, consegnò una Regola di vita che denominò “formula di vita”, ovvero un progetto di vita religiosa finalizzato a consolidare la loro forma di sequela di Cristo in una fraternità contemplativa – sull’esempio del contemplativo Elia profeta –, testimone dell’evangelo della pace e della nonviolenza in una terra, la Terra Santa, ferita da violenze e guerre a motivo dell’occupazione dell’islam e dei disastri delle crociate.
Per la preghiera comunitaria e l’eucaristia quotidiana i carmelitani edificarono sul monte Carmelo una cappella che dedicarono a Maria “Signora del luogo”. La loro esperienza di fraternità e di familiarità con Maria la espressero nel titolo di “Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, che assunsero già dalla metà del sec. XIII. Ma è tra i sec. XIV-XV che alcuni autori carmelitani – in particolare l’umanista Arnoldo Bostio (m. 1499) – tematizzarono la sororità di Maria, evidenziando gli aspetti di consonanza di vita, di affinità spirituale, familiarità e vicinanza con Maria, soprattutto riguardo a quelle scelte che la rendono riflesso della Bellezza di Dio, vale a dire: primato dell’ascolto della Parola di Dio, verginità come adesione a Dio con cuore puro e indiviso per contemplare la sua Presenza nella storia (cf. Mt 5,8), e vita di fraternità in Cristo. Scriveva il Bostio: «Ricordati che il nome “sorella” viene da “sorte”. Raccomando che abbiate relazioni di amore casto: non preferite niente a lei [Maria], se vuoi essere da lei riamato»; «Si manifesti in te la fraterna carità per poter rispondere sinceramente a quel dialogo di amore: “Hai ferito il mio cuore, sorella mia sposa, hai ferito il mio cuore” [citazione di Ct 4,9] […] Quanti la dimenticano [Maria sorella], la sostituiscono con amori bugiardi e pervertono i loro costumi».
Accogliere Maria come sorella, vuol dire anche considerarla come un modello di vita consonante con le attese del nostro tempo, altrimenti ella rimane lontana da noi. È la critica costruttiva, riguardo a certe prediche su Maria, che la nostra Teresa di Lisieux rivolgeva negli ultimi colloqui, qualche mese prima di morire (30 settembre del 1897): «Che i preti ci mostrino delle virtù praticabili! È bene parlare delle sue prerogative, ma soprattutto bisogna poterla imitare. Ella preferisce l’imitazione piuttosto che l’ammirazione, e la sua vita è stata così semplice! Per quanto bella sia una predica sulla Santa Vergine, se si è obbligati tutto il tempo a fare: Ah!… Ah!… se ne ha abbastanza. Come mi piace cantarle: Visibile hai reso la stretta via al Cielo, praticando sempre le virtù più umili».
d) Paolo VI: Maria nostra vera sorella
Chi ha riproposto nella Chiesa, con insistenza e in maniera nuova, il titolo mariano di “nostra sorella” è stato Paolo VI. Numerose furono le occasioni in cui il papa fece riferimento a “Maria nostra vera sorella”. Ma è nella sua esortazione apostolica Marialis cultus, pubblicata nel 1974, al fine di rinnovare il culto della Vergine Maria, che per la prima volta il suddetto titolo entra in un testo del magistero della Chiesa. Di fronte al bisogno di fraternità nella chiesa e nel mondo, Paolo VI trovò in Maria nostra vera sorella il modello di fraternità autentica e operosa da proporre agli uomini e alle donne del nostro tempo. Per cui, più che un titolo, il papa presentò, con profondità di riflessione culturale e di meditazione biblico-teologica, una visione nuova di Maria, attuale anche per i tempi che viviamo oggi, caratterizzati da un ritorno nostalgico al devozionismo.
Scrive il papa: «La Vergine Maria è stata sempre proposta dalla Chiesa alla imitazione dei fedeli non precisamente per il tipo di vita che condusse e, tanto meno, per l’ambiente socio-culturale in cui essa si svolse, oggi quasi dappertutto superato; ma perché, nella sua condizione concreta di vita, ella aderì totalmente e responsabilmente alla volontà di Dio» (Marialis cultus, n. 35). Più avanti scrive: «La Chiesa, quando considera la lunga storia della pietà mariana, si rallegra costatando la continuità del fatto culturale, ma non si lega agli schemi rappresentativi delle varie epoche culturali né alle particolari concezioni antropologiche che stanno alla loro base, e comprende come alcune espressioni di culto, perfettamente valide in se stesse, siano meno adatte a uomini che appartengono ad epoche e civiltà diverse» (n. 36).
Dopo aver citato i vv. 4-6 del cap. XXXIII del Paradiso di Dante («Tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura»), Paolo VI mette in risalto la sororità di Maria: «Maria, infatti, è della nostra stirpe, vera figli di Eva, benché esente dalla colpa di questa madre, e vera nostra sorella, la quale ha condiviso pienamente, donna umile e povera, la nostra condizione» (n. 56). Considerando l’insieme di questo testo del magistero, possiamo dire che in Maria di Nazareth la dimensione di vera sororità si esprime: nella sua appartenenza sia alla nostra condizione umana (Maria non è una dea!), sia al popolo di Israele e alla sua fede, sia alla Chiesa come membro eminente di essa e come discepola del Signore che ha compiuto un cammino umano e di fede, spesso non esente da prove e difficoltà. Su questi aspetti vogliamo ora soffermare la nostra meditazione biblica.
2. Maria, sorella in umanità
a) Nell’evento dell’Annunciazione Maria riceve la visita di Dio – tramite il suo Messaggero – nella sua dimora di Nazareth (cf. Lc 1,26), nella sua vita quotidiana, nello scorrere feriale della sua esistenza normalissima. Nazareth, infatti, è un piccolo villaggio della Galilea che non conta nulla (cf. Gv 1,46). La Galilea è la regione situata a nord della Palestina, dominata dall’impero romano. Una regione per lo più fertile, dove fioriva l’agricoltura e abbondante era la pesca nel Lago di Galilea (o Tiberiade). Di conseguenza l’attività commerciale, che richiamava i popoli stranieri di cultura e religione diverse confinanti al nord, era molto sviluppata, ma era anche occasione di “contaminazione” culturale e religiosa con i pagani; per questa ragione, la Galilea veniva denominata con disprezzo dagli ebrei della Giudea, regione del sud, “Galilea delle genti” (cf. Mt 4,15-16), regione dalla quale non può sorgere né il Messia né alcun profeta (cf. Gv 7,41.52).
Di Maria, donna ebrea, sposa di Giuseppe e madre di Gesù, storicamente non sappiamo quasi nulla. Stando al Protovangelo di Giacomo, un testo apocrifo del II sec. d.C., probabilmente è nata a Gerusalemme, vicino al Tempio, dai genitori Gioacchino e Anna. Pochissimo sappiamo del rapporto di Maria con il suo figlio Gesù. Certamente, assieme a Giuseppe, ha avuto un ruolo educativo e formativo umano e di fede, come era uso nelle famiglie ebree credenti. A quel tempo, infatti, la donna aveva un posto importante nella casa, quasi fosse un piccolo tempio (oggi per noi cristiani la famiglia non è per vocazione “chiesa domestica”?), riguardo alla preghiera del mattino e della sera, alla liturgia domestica del sabato con le norme di purità alimentare, l’accensione delle luci come segno del dono della vita, di pace e di gioia.
b) Certamente, come in tutto l’antico oriente, dove era dominante la cultura patriarcale e maschiocentrica, la donna non aveva una soggettualità riconosciuta: era sempre considerata subalterna al maschio; non poteva parlare in pubblico, anzi la sua parola non aveva valore nemmeno come testimonianza né nella vita quotidiana né in sede processuale; non gli erano consentiti ruoli di responsabilità al di fuori dell’ambiente domestico (non così se era regina o un personaggio carismatico); nelle sinagoghe e nel tempio le era concesso uno spazio ristretto. Al riguardo, in Galilea, però, vi era una particolarità: a quanto pare, non solo gli uomini, ma anche le donne partecipavano attivamente alla sinagoga (ricerche archeologiche testimoniano che non c’erano balconate o zone riservate per loro), dove si leggeva, si commentava, si pregava e si studiava la Parola di Dio contenuta nelle S. Scritture.
In genere la donna veniva lodata come sposa fedele, madre accurata, dedita alla vita famigliare, silenziosa e di poche parole; a volte veniva lodata anche per la sua sapienza, per la sua esemplarità nella fede e nella partecipazione ai momenti della vita religiosa di Israele. Purché sempre subalterna e sottomessa al maschio, e senza il riconoscimento di quella giusta autonomia e libertà che si deve ad ogni persona. E tutto questo, nonostante che nella Torah, ovvero in Gen 1,26-27, è scritto che l’umanità – cioè maschio e femmina insieme – è stata creata ad immagine e somiglianza di Dio, e perciò con pari dignità tra uomo e donna.
c) Ritorniamo a Maria. «Nato da donna, nato sotto la Legge» (Gal 4,4). Così, in modo indiretto, l’apostolo Paolo ci presenta Maria: una donna ebrea credente. Già la sottolineatura che Gesù, il Figlio di Dio, è nato da una donna, è significativa: Gesù ridona dignità e soggettualità a Maria e, attraverso di lei, a tutte le donne. Già poco prima l’apostolo aveva scritto che in Cristo Gesù le differenze maschio-femmina non sono annullate ma ricondotte all’unità in lui, alla piena uguaglianza e dignità in lui (cf. Gal 3,28). E come tutte le donne – secondo la concezione biblica – sono poste in relazione ad Eva, la donna “capostipite”, «la madre di tutti i viventi» (Gen 3,20), allo stesso modo anche Maria.
Anzi, in lei si concentra tutta la “stirpe della donna”, ovvero dell’umanità rappresentata dai giusti, che, secondo Gen 3,15, schiaccerà la testa dell’astuto serpente, simbolo dell’idolatria di sé, eccentrica e mortifera – “origine” di ogni peccato e di ogni agire mortifero conseguente (cf. Sap 2,24) – che seduce l’umanità, illudendola di poter superare ogni suo limite creaturale mettendosi al posto di Dio e al centro del mondo con fare arrogante e padronale (= mondanità). Ma l’umanità posta in questa condizione perversa, si ritrova “nuda”, spoglia di ogni dignità. Essa deve accettare il suo limite creaturale, perché non è Dio, ma creatura creata “ad immagine di Dio”, e deve ogni giorno lottare contro sé stessa per la mondanità che si porta dentro in sé. Chi, in questa lotta permanente contro il male, “schiaccerà la testa del serpente”?
Maturando con il tempo, Israele, nella sua esperienza e riflessione di fede, ha compreso che il soggetto che schiaccerà la testa non sarà la “stirpe” intesa in senso generico, bensì la “stirpe” in senso personale, vale a dire un soggetto qualificato, ovvero il Messia promesso da Dio. Con lui la lotta contro il male riceverà una svolta decisiva: il Messia, abitato dallo Spirito del Signore, giudicherà e agirà con giustizia, aprendo una prospettiva di pace e di fraternità, dove il lupo e la pecora staranno insieme, il bambino giocherà con la vipera e il lattante metterà la mano nel covo dei serpenti velenosi (cf. Is 11,3b-8; Sal 72).
I cristiani, poi, nella loro esperienza e riflessione di fede, hanno identificato il Messia annunciato dal profeta nella persona di Gesù di Nazareth, a motivo del suo modo di essere, di parlare, di “lottare” e di agire (cf. Mc 1,12-13; Mt 3,11-12; Lc 4,16-21). E proseguendo ancora nella riflessione, i cristiani nella drammatizzazione del “segno grandioso” della donna posto nel cielo (cf. Ap 12,1-16) hanno inteso che nella “stirpe della donna” è inclusa la Chiesa, cioè il popolo di Dio dell’Antica Alleanza – la comunità di Israele – e della Nuova Alleanza – la comunità dei discepoli del Messia Risorto. E, inoltre, associata al Messia Risorto, non può non esserci anche la madre del Messia, colei che il Messia dall’alto della Croce indicò al discepolo amato essere la Madre della Chiesa, vale a dire la Donna Maria di Nazareth.
Dunque, nella «Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle» (Ap 12,1) i cristiani hanno incluso Maria, perché l’hanno sentita anche come sorella colmata della tenerezza e dell’umanità di Dio, impegnata anch’ella, assieme alla Chiesa e ad ogni uomo e donna, in modo attivo e tenace nella lotta permanente contro il male («il serpente antico»: Ap 12,9) e a vincerlo nel nome di Cristo, affinché il mondo si umanizzi sempre di più, aprendosi a Lui, Agnello Immolato e Risorto (cf. Ap 5,6; 12,11), il quale ispira pensieri e progetti di giustizia e di pace.
3. Maria, sorella nella fede
a) Di Maria di Nazareth i vangeli mettono in risalto la sua esperienza di madre di Gesù e di madre della Chiesa. Nello stesso tempo, con grande cura e attenzione tracciano anche la trama della sua esperienza di discepola del Signore, del suo cammino di fede, fatto di fatica e di riposo, di luci e di ombre; un cammino di ricerca spesso vissuto nella “notte oscura della fede” – come intuì Teresa di Lisieux (cf. Poesia 34,15) e che Giovanni Paolo II evidenziò nella enciclica Redemptoris mater al n. 17 – che l’avvicina al cammino di fede di ogni cristiano e cristiana chiamati con il battesimo-cresima alla sequela di Cristo.
Di Maria, infatti, è scritto che nell’Annunciazione non rimase spettatrice passiva dell’evento, ma interagì nel dialogo con il Messaggero per comprendere il progetto di Dio. Nel suo intimo ella si chiede il senso del saluto del Messaggero (cf. Lc 1,29), ma poi a lui chiede «come avverrà questo, perché non conosco uomo» (Lc 1,34), al fine di poter dare una risposta consapevole e responsabile, commisurata alla singolarissima vocazione di madre del Messia promesso, chiamato a generarlo “senza conoscere uomo”, vale a dire come puro dono di Dio per l’umanità, nei confronti del quale né lei né Giuseppe potranno avanzare alcun tipo di pretese. E la risposta personale e consapevole di Maria è la risposta di una vera discepola: si affida all’efficacia potente della Parola-evento di Dio (cf. Lc 1,38), la quale “ciò che dice lo fa” (cf. Is 55,10-11; 1Ts 2,13), a condizione, però, di ritenere Colui che parla un Dio autorevole (non autoritario!) e affidabile, un Dio che ha preso l’iniziativa, perché vuole rinnovare l’Alleanza di comunione e di amore sponsale con il suo popolo, stabilita nel tempo antico al Sinai con Israele libero dalla schiavitù d’Egitto.
Maria risponde, non in un’oscura solitudine, ma sostenuta dalla comunione e dalla fede di tutti coloro che nella storia della salvezza, prima di lei, hanno risposto a Dio, dicendo: “sì, eccomi, mi affido alla tua Parola”: è l’“eccomi” di Abramo (cf. Gen 22,2.11), chiamato a riconsiderare il figlio Isacco (che significa “Sorriso di Dio”) come dono della promessa di Dio e non come sua proprietà; è l’“eccomi” di Mosé al roveto ardente (cf. Es 3,4), chiamato ad essere testimone della presenza di “Dio-Io-sono-con-te” nostro compagno di viaggio (cf. Es 3,6.12.14-15); è l’“eccomi” dei profeti Samuele (cf. 1Sam 3,4.6.8.10) e Isaia (cf. Is 6,8). E sarà anche l’“eccomi” di Gesù, suo figlio, quando verrà nel mondo per fare la volontà del Padre (cf. Eb 10,9 che cita Sal 40,8). Quello di Maria è, dunque, l’“eccomi” di chi si affida a Dio e alla sua Parola. Perciò sua cugina Elisabetta, può dire: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45).
b) Ma la fede, come relazione di fiducia in Dio, è un cammino di ricerca bello e impegnativo, fatto di luci e di ombre, che coinvolge tutto l’arco della propria esistenza. Anche quello di Maria di Nazareth. Di Maria e Giuseppe, infatti, è scritto nei vangeli che non compresero il figlio Gesù (cf. Lc 2,50). Non compresero la parola che il figlio dodicenne al Tempio – ormai “figlio del comandamento”, cioè maggiorenne e quindi capace di ascoltare e vivere con responsabilità la Parola di Dio – li disse riguardo alla necessità divina di stare “nella casa del Padre suo”, vale a dire, che il suo patire, morire e risorgere farà parte del progetto del Padre e non di una circostanza casuale (cf. Lc 2,49). Si intuisce qui, per Maria e Giuseppe, il significato profondo della ricerca angosciosa di Gesù, dopo averlo smarrito e finalmente ritrovato (cf. Lc 2,41-49): è la ricerca della vera Sapienza, che è Gesù, a cui viene chiamato ogni discepolo; ricerca a volte faticosa, perché al discepolo può accadere di perderlo di vista e di smarrirsi sulle strade della vita… Di fatto, leggendo i vangeli, si potrà notare che molte volte i discepoli che lo seguono non comprendono Gesù, perché altri sono i loro pensieri e progetti…
E ancora. Di Maria e dei famigliari di Gesù in Mc 3,21.31-35 è sottolineata la distanza che per un certo tempo li distingue da Gesù. Dopo che Gesù ha scelto i dodici discepoli perché «stessero con lui» (Mc 3,13-19), vanno a stare dentro una casa a Cafarnao (forse quella di Pietro), dove una gran folla preme per entrare ed ascoltarlo. Maria e i famigliari di Gesù, che stanno fuori della casa, giudicano Gesù come uno che è «fuori di sé» (Mc 3,21), uno che sta esagerando nel modo di dedicarsi alla missione; e perciò lo mandano a chiamare per condurlo fuori e farlo ragionare. D’altronde, già da qualche giorno alcuni farisei e gli erodiani si sono consultati per trovare il modo di eliminare Gesù (cf. Mc 3,6). Non ci deve scandalizzare la presenza di Maria qui, preoccupata per il futuro del figlio, visto che alcuni farisei assieme agli erodiani stavano tramando contro di lui. Anche Maria, come è stato detto, ha dovuto progredire nella fede per comprendere fino in fondo che si diventa famigliari di Gesù, non per legami di sangue, ma per legami di fede, facendo la volontà di Dio (cf. Mc 3,33-35).
c) E Maria, donna tenace, affronta con coraggio e determinazione il suo cammino di fede, lasciandosi sostenere dalla Parola di Dio, che sapientemente custodisce e medita nel suo cuore, assumendola come chiave interpretativa della vita (cf. Lc 2,19.51b), così come facevano gli antichi scribi sapienti di Israele (cf. Sir 38,39c-39,1-3.5-7; Sal 1,2). Non solo. Ella si lascia permeare dello spirito dei “poveri di Yhwh”, i quali, piccoli e senza pretese (a differenza dei potenti oppressori di turno), pregano e confidano nel Signore e nella sua salvezza e liberazione (cf. Sof 2,3), come Giuditta (cf. Gdt 9,11-14) ed Ester (Est 4,17k-l.r-t).
Forte della fede dei poveri del Signore e in comunione con il canto di Mosè (cf. Es 15,1-18) e di sua sorella Miryam, la profetessa, per l’uscita dalla schiavitù di Egitto (cf. Es 15,21), con il canto di Anna, la madre di Samuele (cf. 1Sam 2,1-10), di Giuditta (cf. Gdt 16,1-17) e di Ozia e Ioakim che benedicono Giuditta per la sua opera di liberazione dall’oppressore Oloferne (cf. Gdt 13,18-20; 15,8-10), assieme a queste donne e uomini Maria può senza timore cantare il Magnificat (cf. Lc 1,46-55) e testimoniare la sua fede in Dio misericordioso e liberatore, il quale opera grandi cose nella storia degli uomini: disperde i superbi, rovescia i potenti, spoglia i ricchi, innalza gli umili e ricolma gli affamati. E ancora forte della sua fede, Maria a Cana di Galilea, in una festa nuziale, dove è venuto a mancare il vino, simbolo del vangelo che dona la vera gioia, si rimette alla volontà del Figlio Gesù e con coraggio e determinazione esorta i servi a fare tutto quello che Gesù dirà (cf. Gv 2,5), ad esprimere oggi – come un tempo il popolo di Israele al Sinai (cf. Es 19,8; 24,3.7) – il “si” sponsale al vero Sposo di queste nozze, Cristo Gesù, venuto per rinnovare l’Alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo.
d) Come fedele discepola, Maria, assieme ad altre donne (Salomè [?], Maria di Cleopa e Maria di Magdala), segue suo Figlio fino all’evento pasquale della Croce (cf. Gv 19,25-27). Qui ella sta in piedi, con fede salda, sotto la Croce, accanto a colui che è stato ingiustamente crocifisso. Forse sta come stava la madre dei sette fratelli Maccabei: accanto a loro, e incoraggiandoli ad essere fedeli alla Legge del Signore, mentre venivano martirizzati dal tiranno Antioco IV Epifane (cf. 2Mac 7,20-23.26-29). Certo, Maria non banalizza il dramma e il dolore, né grida e si agita per la disperazione, ma sta in piedi come madre e come discepola, vivendo il dramma con maturità umana e fede salda, facendosi partecipe del mistero della passione del Figlio, che è rivelazione dell’amore appassionato di Dio per l’umanità, di un Dio che nel suo Figlio Gesù disarma la violenza accettandola su di sé e offrendo in cambio, non altra violenza, ma il dono dello Spirito, il dono della vita nuova: «E chinato il capo, consegnò lo Spirito» (Gv 19,30).
Accanto alla Croce c’è anche il “discepolo che Gesù amava”, figura tipico-rappresentativa di tutti i discepoli amati da Gesù e dal Padre suo, perché che vivono in conformità alla parola del vangelo (cf. Gv 14.21) e seguono Gesù sulla vita della Croce (cf. Lc 9,23). Dall’alto della Croce, Gesù consegna alla madre il discepolo amato, come Madre spirituale di tutti i credenti. Ella, chiamata «Donna», è costituita, per volontà di Gesù, Madre della Chiesa, con la missione di radunare nell’unità in Cristo i figli dispersi (cf. Gv 10,16; 12,32) e diventare per loro un modello esemplare di vita cristiana, com’è compito di ogni padre e madre spirituale (cf. 1Cor 4,15-16; 1Ts 2,7-8). Inoltre, Gesù consegna al discepolo amato la madre, che l’accoglie «con sé», nella sua casa e nella sua esistenza umana e cristiana, come un tesoro prezioso da custodire, come il valore di una testimonianza di fede da interiorizzare.
e) Maria, dunque, per volontà del Signore, viene accolta nella comunità. Nella narrazione del Nuovo Testamento, dopo la Risurrezione e l’Ascensione di Gesù, Maria ritroviamo, infatti, nella comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme, considerata la “chiesa madre” di tutte le chiese cristiane. Nel cap. 1 degli Atti degli Apostoli, al v. 13 è scritto che «nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi», cioè nel Cenacolo, dove Gesù fece la cena pasquale con i suoi discepoli (cf. Lc 22,9-13), vi erano gli apostoli, ognuno ricordato con il suo nome. Al v. 14 è scritto che vi erano anche alcune donne, i fratelli di Gesù e la madre di Gesù, cioè Maria. Tutti insieme «erano perseveranti e concordi nella preghiera» in attesa del dono dello Spirito che avverrà nel giorno di Pentecoste (cf. At 2.1-13), cioè al compimento dei cinquanta giorni dalla Pasqua, indicazione cronologica eloquente del dono dello Spirito come compimento dell’evento della Pasqua del Signore, come il frutto più maturo della Pasqua, perché è il dono di un’esistenza nuova orientata e animata dallo Spirito, che è l’amore del Padre e del Figlio effuso nei credenti (cf. Gal 5,16-26; Rm 5,5; 8,19-13).
Ebbene, nella comunità nascente, come membro eminente di essa, è presente Maria, qualificata come madre di Gesù, ovvero come testimone qualificata di Gesù. Ella, pregando con la Chiesa nascente, sorella tra gli apostoli, le discepole e i fratelli di Gesù in attesa della discesa dello Spirito, li evangelizza riguardo a Gesù, comunica loro ciò che di lui ha custodito e meditato con sapienza nel suo cuore (cf. Lc 2,19.51b). Da qui è facile intuire il valore anche di fonte storica e interpretativa della meditazione sapienziale e contemplativa di Maria: ella ha offerto un apporto significativo alla redazione dei vangeli riguardo all’infanzia di Gesù, agli anni vissuti da lui in Galilea e probabilmente anche all’evento della sua morte.
4. Con Maria, donna del Sabato Santo
I vangeli non ci testimoniano la presenza di Maria al sepolcro di Gesù. La tradizione cristiana, a partire dal sec. IX, ha avuto l’intuizione di dedicare il sabato a Maria. Invece, il Sabato Santo del triduo pasquale – incastonato tra la morte (Venerdì Santo) e la risurrezione di Gesù (Domenica di Risurrezione), giorno caratterizzato dalla preghiera, dal silenzio contemplativo, dall’attesa e dalla speranza – non ha avuto fino ad oggi connotazioni mariane nella preghiera della Chiesa. Eppure esistono omelie significative dei padri della chiesa (ad es. di Giorgio di Nicomedia, dello Pseudo-Epifanio) che orientano in questa direzione, come pure la bella lettera pastorale del card. C. Martini su La Madonna del Sabato Santo (anno pastorale 2000-2001). Si tratta di vivere il Sabato Santo con Maria, nostra Madre e Sorella, in attesa della Risurrezione del Signore, così come con Maria si vive l’attesa del dono dello Spirito nella Pentecoste.
Va ricordato che il Sabato Santo è il giorno in cui Cristo si riposa nella terra, come il chicco di grano seminato nel terreno in attesa di germogliare (cf. Gv 12,24); ma è anche il giorno in cui egli discende negli abissi più profondi della terra, prende per mano, lui il giusto, tutti gli ingiusti e coloro che sono prigionieri negli abissi delle tenebre del non-senso, li fa risalire e li riconduce a Dio Padre (cf. 2Pt 3,18-19). Ora, vivere il Sabato Santo con Maria, vuol dire viverlo alla luce della sua fede salda. È come se in questo giorno tutta fede della Chiesa si raccoglie in Maria. Mentre i discepoli sono fuggiti e vivono nella tristezza, nello smarrimento e nell’incertezza del futuro (cf. Lc 24,17.19-21), è Maria che mantiene salda e viva la fede e la speranza nella Risurrezione di Gesù, conservando e meditando nel suo cuore gli eventi del Figlio e la sua parola che preannunciava (cf. Lc 9,22 e par.) il suo patire, la sua morte e la sua risurrezione al “terzo giorno” (il “giorno della salvezza”: cf. Os 6,1-2).
Ecco qualche passaggio dell’omelia di Giorgio di Nicomedia (sec. IX):
«Mentre tutti si ritirarono, solo lei, la Madre, con fede e coraggio incrollabile, sedette accanto alla tomba. Era la Madre: a lei furono affidati i misteri dell’incarnazione; a lei sola il Signore mostrò i prodigi della risurrezione. Ella trascorse nel silenzio interiore il tempo che precedette la risurrezione, rievocando e meditando il mistero. […] Era giusto che Maria, come ebbe parte alla passione del Figlio, ne pregustasse la gioia divina. O Signore, che per prima l’hai visto e annunziato, svela anche a noi lo splendore di Cristo, nostra dolcissima Luce!». E così cantava p. Davide Turoldo, frate e poeta-teologo dei Servi di Maria, in una bella laude alla Vergine Maria, dal titolo Ma tu credevi.
«Ecco il silenzio riempire il cielo
da quando il sangue cessò di fluire;
ora anche il figlio, pur vivo, taceva,
la madre invece da sempre taceva.
Nessuno ha nulla da dire, nessuno?
Almeno i giusti si facciano avanti!
Perché non parli tu, madre del giusto?
così consuma il mistero del mondo.
Quando su tutto si infranse il suo urlo,
ecco si infranse il velo del tempio
da cima a fondo, la terra fu scossa:
mai si è udito un simile urlo. […]
E tutto dentro la notte avveniva,
la grande notte discesa nel giorno:
è sempre notte l’assenza di Dio,
la nostra notte che ancora ci avvolge!
Finita, madre, anche tu nella notte?
Ma tu credevi per tutti da sola:
invece noi non abbiamo mai scampo,
sempre a scegliere o fede o paura.
Ti giunga almeno fra tanta rovina
il grido raro di quanti confessano
che il vero figlio di Dio era lui,
e che ogni vittima è sempre tuo figlio.
Egidio Palumbo
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